Marziale - Epigrammi Funerari

Gli epigrammi funerari si possono suddividere in diverse categorie quali:

Epitaffio
(epitaphion - έπιτάφιον): la epigrafe posta sul luogo di sepoltura (dal greco: ciò che stà al di sopra del sepolcro), che ricorda ed eventualmente elogia il defunto.
Epicedio (epicedion - έπικήδειον μέλος): componimento poetico scritto in elogio di un defunto, il cui scopo è di piangerlo e commemorarne i pregi.
Consolatio: componimento poetico il cui scopo è di consolare chi è in vita e di alleviarne il dolore.


Epitaffi

VI.28 Epitaffio di Glauco, liberto e puer delicatus di Meliore
VI.52 Epitaffio di Pantagato, giovane schiavo barbiere
VI.76 Epitaffio di Fusco, comandante morto in Dacia
VII.40 Epitaffio per il padre di Etrusco
VII.96 Epitaffio del bambino Urbico
IX.28 Epitaffio di Latino, l'attore comico
X.53 Epitaffio di Scorpo, l'auriga
X.61 Epitaffio di Erotion
XI.13 Epitaffio di Paride, l'attore
XI.91 Epitaffio di Canace

Epicedi

I.88 Epicedio per Alcimo, servo di Marziale
I.93 Epicedio per Fabrizio ed Aquino
I.101 Epicedio per il fedele schiavo amanuense Demetrio
V.37 Epicedio per Erotion
VI.85 Epicedio per Rufo Camonio
IX.30 Epicedio per Antistio Rustico: il dolore di Nigrina
X.50 Epicedio per Scorpo, l'auriga
Catullo, Carmen 101 In morte del fratello

Consolationes

I.114 Consolatio per Telesforo Fenio: in morte di Antulla
I.116 In morte di Antulla, figlia di Fenio
V.34 Consolatio per sé stesso: in morte di Erotion
VI.18 Consolatio per Prisco: in morte di Salonino
IX.74 Ricordo dell'amico Rufo Camonio
IX.76 Ancora in ricordo dell'amico Rufo Camonio
XII.52 Consolatio per Sempronia, in morte di Rufo
Catullo, Carmen 96 Consolatio per Licinio Calvo in morte di Quintilia

Epigrammi funerari ironici

VIII.57 I tre denti di Piceno
IX.15 Cloe e i sette mariti
IX.29 Epicedio per Fileni
IX.78 A Piacentino: i sette mariti di Galla
X.43 Filero e le sette mogli
X.63 Epitaffio d'una nobil Matrona
X.67 Epitaffio d'una pruriginosa vecchietta
XI.14 Un colono piccolo piccolo

Epigrammi alla vita - carpe diem

I.15 All'amico Giulio: viver domani è già tardi: vivi oggi
IV.54 A Collino
V.58 A Postumo: è saggio chi ha vissuto ieri
V.64 Anche gli dei posson perire
VI.70 La vita non è esser vivi, ma star bene
VII.47 Il ritorno alla vita di Licinio Sura


traduzioni: Filippo Maria SACCA'


Sulla morte

Gli epigrammi funebri si originano nel mondo greco dalla trascrizione della Laudatio Funebris, la lode funebre che veniva pronunciata dai parenti del defunto durante l'orazione funebre (epitaphios logos - έπιτάφιος λόγος).
Era solitamente una breve narrazione della vita del defunto, avente intento elogiativo e commemorativo e veniva solitamente trascritta e conservata per esser utilizzata successivamente in altre occasioni con un fine glorificatorio del defunto e della gens cui apparteneva.

Altri classici che utilizzarono tale genere poetico:
Epicedi: Catullo, [Carmina 101]; Stazio, [Silvae, II, 1, 6; III, 3; V, 1, 3, 5]; Ovidio, [Amores, III, 9; Ponticae, I, 9]; Orazio, [Carmina, I, 24]; Properzio, [Elegie, III, 7, 18; IV, 11]; Ausonio, [Epicedium in patrem; Parentalia]; Virgilio, [Ecloghe, V, 20-44; Eneide, VI, 860-886].
Consolationes: Cicerone per la morte della figlia Tulliola in de Consolatione; Seneca nei dialoghi Consolatio ad Marciam, Consolatio ad Polybium e Consolatio ad Helviam Matrem.

In questa pagina ho raccolto le epigrafi funebri di Marco Valerio Marziale che ho potuto individuare ed altri suoi epigrammi sulla tematica della morte; alcune di queste epigrafi furono dedicate a fanciulli e fanciulle, schiavi o liberti o liberi; alcuni epitaffi furono dedicati a piccoli schiavi di Marziale morti prematuramente, altri furono probabilmente commissionati allo stesso dai parenti dei defunti o forse semplicemente dedicati al defunto, altri sono invece ironici.

Eròtion era una piccola schiava di Marziale morta quando ancora non aveva compiuto sei anni e i cui genitori (ma altri sostengono che questi fossero i genitori di Marziale stesso), Frontone e Flaccilla, erano morti anni prima; Marziale scrisse tre epigrammi per la bimba, che sono un epicedio un epitaffio ed una consolatio; in particolare quello che [Hanc tibi Fronto pater...] è probabilmente il più noto epigramma del poeta. Molto noti sono anche i due epicedi per due suoi giovani schiavi: Alcimo e Demetrio; il secondo, reso libero in punto di morte, era un suo amanuense, cioé si occupava di trascrivere i suoi volumi, in modo da poterli poi portare a vendere nelle botteghe, delle quali Marziale ne descrive nei suoi libretti due in Roma; anche molto noto è l'epitaffio per Canace, bimba morta forse per le complicazioni di un ascesso dentale.

...e sulla vita

Per affinità ho anche inserito alcuni epigrammi dedicati alla vita in cui generalmente Marziale esorta il lettore a vivere il presente il più pienamente possibile, senza condizionamenti dettati da ipotetici avvenimenti futuri in quanto il domani è comunque incerto; lo stesso concetto del carpe diem espresso da Orazio nella ode I.11.8:

«Dum loquimur fugerit invida aetas:
carpe diem, quam minimum credula postero.»


Mentre stiamo parlando il tempo, carico d'odio, fuggirà via:
cogli l'attimo, confidando il men possibile su quel che verrà dopo.


Questi sono i pensieri ispirati dal fatalismo pagano greco-romano: l'oggi esprime la transitorietà della vita, che è precaria, effimera, vola via in un attimo, e quindi va colta, vissuta intensamente e consapevolmente; tale pensiero va la di là del semplice materialista godimento della vita in cui si da' libero sfogo al piacere dei sensi ma piuttosto invita a vivere giorno per giorno con gioia e dignità cercando di afferrare e realizzare nel presente qualcosa che sfidi e superi il tempo fugace e la precarietà della effimera vita e possa provare a dare un senso di compiutezza all'esistenza.
Il tema viene anche affrontato da Seneca nel dialogo De Brevitate Vitae:

«[...] Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus. Satis longa vita in maximarum rerum consummationem large data est, si tota bene collocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit, ubi nulli bonae rei inpenditur, ultima demum necessitate cogente, quam ire non intelleximus transisse sentimus. Ita est: non accipimus brevem vitam, sed fecimus, nec inopes eius sed prodigi sumus. [...]»

[...] Non (è vero che) abbiamo poco tempo, ma molto (ne) abbiamo perso. Ci è stata data una vita adeguatamente lunga, (sufficiente) per il compimento delle più grandi imprese, a patto che venga tutta ben organizzata; ma quando scorre via (trascorsa) nella lussuria e nella negligenza, quando non viene consumata per alcuna buona occupazione, (quando) alla fine siamo spinti dalla estrema necessità, (solo allora) ci accorgiamo che è passata quella vita che non percepivamo stesse (inesorabile) trascorrendo. Dunque questa è (la verità): non riceviamo una vita breve, ma la creiamo (tale), e non siamo bisognosi di questa, ma sciuponi. [...]





Epigrammaton Liber V Carmen 34, De Erotio: consolatio
Hanc tibi, Fronto pater, genetrix Flaccilla, puellam
oscula commendo deliciasque meas,
parvola ne nigras horrescat Erotion umbras
oraque Tartarei prodigiosa canis.
Impletura fuit sextae modo frigora brumae,
vixisset totidem ni minus illa dies.
Inter tam veteres ludat lasciva patronos
et nomen blaeso garriat ore meum.
Mollia non rigidus caespes tegat ossa nec illi,
terra, gravis fueris: non fuit illa tibi.


A voi affido l’ombra di Eròtion

“A te, padre Frontone, a te, Flaccilla genitrice,
affido questa bimba, (tenera) boccuccia e mia delizia,
affinché la piccola Erotion non tema le nere ombre
e le mostruose bocche del cane degl'inferi.
Avrebbe appena completato i geli del sesto inverno,
se fosse vissuta non meno di altrettanti giorni.
Tra così antichi protettori possa (la) birbantella giocare
e il nome mio con la boccuccia (ancor) blesa garrire.
Le delicate ossa sian protette da non dura zolla, e tu,
terra, non esserle pesante: lei non (lo) fu per te.”


[ Note:
Eròtion: Amorino;
osculum: diminutivo di os, boccuccia, piccola bocca, tenera boccuccia, bacio
tartarei canis: del cane tartareo, del cane infernale, (il Cerbero con Tre teste);
sextae frigora brumae: i freddi della sesta bruma
lasciva: gaia, allegra, giocosa, spensierata, vivace, capricciosa, monella, birichina, birba, birboncella, birbantella scherzosa;
blaeso: (bleso: incapace di pronunciare correttamente i suoni, in genere f, r ed s), anche incerto, confuso, balbettante;
garriat: garrire (garrito: un particolare fischio o stridìo emesso da alcuni uccelli quali passeri, rondini, cornacchie, gabbiani; suono acuto, stridulo, intenso, piuttosto breve), anche cinguettare, cicalare, schiamazzare, squittire, ciarle senza significato].

[Traduzione: fmsacca]
vedi anche Epigrammata Liber V Carmen 34



Epigrammaton Liber V carmen 37

Puella senibus dulcior mihi cycnis,
Agna Galaesi mollior Phalantini,
Concha Lucrini delicatior stagni,
Cui nec lapillos praeferas Erythraeos,
5 Nec modo politum pecudis Indicae dentem
Nivesque primas liliumque non tactum;
Quae crine vicit Baetici gregis vellus
Rhenique nodos aureamque nitelam;
Fragravit ore, quod rosarium Paesti,
10 Quod Atticarum prima mella cerarum,
Quod sucinorum rapta de manu glaeba;
Cui conparatus indecens erat pavo,
Inamabilis sciurus et frequens phoenix:
Adhuc recenti tepet Erotion busto,
15 Quam pessimorum lex amara fatorum
Sexta peregit hieme, nec tamen tota,
Nostros amores gaudiumque lususque -
Et esse tristem me meus vetat Paetus,
Pectusque pulsans pariter et comam vellens:
20 'Deflere non te vernulae pudet mortem?
Ego coniugem' inquit 'extuli, et tamen vivo,
Notam, superbam, nobilem, locupletem.'
Quid esse nostro fortius potest Paeto?
Ducentiens accepit, et tamen vivit.


Epicedio per Eròtion

“Bimba per me più dolce dei vecchi cigni,
più morbida di un’agnella del Galeso Falantino,
più delicata di una perla del lago Lucrino,
alla quale non anteporresti né le gemme d’Eritrea,
5 né una zanna or ora lucidata d’un indico elefante
e le prime nevi ed un giglio intatto,
che superava nella chioma il vello delle greggi betiche,
e le trecce delle femmine renane e lo scintillio dell’oro;
la sua bocca odorava, dei roseti di Pesto,
10 del primo miele dei favi dell’Attica,
d'una scheggia d’ambra presa nella mano;
comparato a lei il pavone era sgradevole,
lo scoiattolo odioso e banale la fenice:
Ancora è tiepida la recente cenere di Erotion,
15 che la turpe legge di un fato implacabile
al suo sesto inverno, non ancora compiuto, portò via,
mio amore e gioia e delizia -
E il mio Peto non vuol ch’io sia triste,
e parimenti battendosi il petto e strappandosi i capelli:
20 ‘Non ti vergogni di pianger la morte d’una schiavetta?
Io ho trasportato mia moglie (alla tomba)’, soggiunge,
‘nota, fiera, nobile, ricca e tuttavia son vivo’;
Chi può esser più forte del nostro Peto?
duecento milioni di sesterzi ha ereditato, eppur vive.”


14] nei 4 soli versi 14-17 Marziale scrive un epicedio completo, in cui annuncia la morte della bimba, il recente funerale, ed anche il suo personale dolore ed affetto.
18] si osservi come a partire dal verso 18 l'epigramma cambi totalmente atmosfera: nella prima parte, versi 1-17, è un epicedio piuttosto classico, in cui il poeta esprime il suo dolore per la morte della puella; ma la società romana considerava sconveniente un eccessivo cordoglio per la morte di uno schiavo, ed ecco nei versi 18-24 il fulmineo e sferzante finale tipico di Marziale. Peto incarna il pensiero dominante della società romana, e lo invita a vegognarsi, facendogli presente quanto sia più grave il suo di lutto; eppure si osserva immediatamente come all'estrema tenerezza con cui nei versi precedenti Marziale ricordava la bimba, quali il vecchio cigno ormai morente, il giglio appena fiorito, la fenice, le prime nevi, il roseto di pesto e via dicendo, si contrappone la descrizione della defunta moglie di Peto, in cui son totalmente assenti i termini affettivi, ma vengono aridamente elencati gli aggettivi che ne caratterizzano semplicemente lo status economico e civile; tale elenco suona solenne e risulta completamente vuoto e distaccato; Peto incarna il rispetto tradizionalista della virile sopportazione del grave lutto familiare ed appare infine come un misero cacciatore di eredità incapace di emozioni. Marziale quindi si scaglia con ironia contro tale cultura dominante, arida, epica, falsa, priva di affettività, e la sfida, contrapponendogli il suo dolore ed i suoi sentimenti di sincera tristezza per la morte di una misera schiavetta, ben cosapevole che questi sono i veri sentimenti da perseguire
.

[Traduzione: fmsacca]



Epigrammaton Liber X carmen 61, Epitaphium Erotii
Hic festinata requiescit Erotion umbra,
crimine quam fati sexta peremit hiems.
Quisquis eris nostri post me regnator agelli,
manibus exiguis annus iusta dato:
sic lare perpetuo, sic turba sospite solus
flebilis in terra sit lapis iste tua.


Epitaffio per Eròtion

“Qui riposa Erotion frettolosa ombra,
che il sesto inverno rapì per un crudel destino.
Chiunque tu sia, padrone dopo di me del mio campicello,
offri ogni anno il giusto (sacrificio) ai piccoli Mani:
così, (mantenendo sempre) acceso il sacro focolare e al sicuro da (ogni) turbamento (la famiglia),
possa questa pietra restar la sola bagnata di pianto nel tuo campo.”

[Traduzione: fmsacca; un ringraziamento a Niko per l’aiuto nella traduzione dell’epigramma X.61].



Marzialis Epigrammaton I.15

O mihi post nullos, Iuli, memorande sodales,
Si quid longa fides canaque iura valent,
Bis iam paene tibi consul tricensimus instat,
Et numerat paucos vix tua vita dies.
5 Non bene distuleris videas quae posse negari,
Et solum hoc ducas, quod fuit, esse tuum.
Expectant curaeque catenatique labores,
Gaudia non remanent, sed fugitiva volant.
Haec utraque manu conplexuque adsere toto:
10 Saepe fluunt imo sic quoque lapsa sinu.
Non est, crede mihi, sapientis dicere 'Vivam':
Sera nimis vita est crastina: vive hodie.

Oh, Giulio, amico mio, nei miei ricordi secondo a nessuno,
se le lunghe confidenze e i vecchi impegni han valore,
ormai sei vicino quasi ad avere sessanta anni,
e la tua vita può ancora contare su pochi giorni.
Non è giusto rimandare quel che (domani) potrebbe esserti negato,
e sol questo (infine) ha valore, quel che è stato, ti appartiene.
(Ti) aspettano ostacoli fatti di sofferenze e fatiche,

e le gioie (della vita) non rimangono, ma volan via effimere.
afferrale tutte con entrambe le mani e tienile strette:
poiché spesso sfuggono in qualche modo e scivolano tra le braccia.
Non è saggio, credimi, l'uomo che dice 'vivrò':
viver domani è già tardi: vivi oggi.


3] Bis paene consul tricensimus: quasi due volte il trentesimo console - ossia l'amico Giulio si avvicinava al sessantesimo anno di età.




Marzialis Epigrammaton I.88
Alcime, quem raptum domino crescentibus annis
Labicana levi caespite velat humus,
accipe non Pario nutantia pondera saxo,
quae cineri vanus dat ruitura labor,
sed faciles buxos et opacas palmitis umbras
quaeque virent lacrimis roscida prata meis
accipe, care puer, nostri monimenta doloris:
hic tibi perpetuo tempore vivet honor.
Cum mihi supremos Lachesis perneverit annos,
non aliter cineres mando iacere meos.


Marziale I.88 Epicedio per Alcimo
“Alcimo, rapito al padrone negl’anni dell’adolescenza
che il suol labicano abbraccia con lieve zolla erbosa,
accetta non il vacillante peso del masso (di marmo) pario,
che alla cenere dà vana e peritura fatica,
ma i sereni bossi e la sfumata ombra della vite
ed anche accetta, fanciullo (a me) caro, verdeggianti prati
umidi delle mie lacrime come fosser monumenti del mio dolore:
questo tributo per te vivrà eterno nel tempo.
E quando Lachesi terminato avrà di svolger col fuso gl’anni di questa vita,
in non altro modo possan giacere le ceneri mie.”

Lachesi: una delle tre Moire, divinità della mitologia greca che regolavano il destino delle donne e degli uomini; Lachesi in particolare svolgeva il fuso della vita.



Marzialis Epigrammaton I.93

Fabricio iunctus fido requiescit Aquinus,
Qui prior Elysias gaudet adisse domos.
Ara duplex primi testatur munera pili:
Plus tamen est, titulo quod breviore legis:
5 'Iunctus uterque sacro laudatae foedere vitae,
Famaque quod raro novit, amicus erat.'

Fabrizio riposa (ora) col fido Aquino,
(che fu) contento d'esser giunto per primo alle dimore dell'Elisio.
Una duplice ara testimonia che (entrambi) furono omaggiati del grado di capi centuria:
Tuttavia ha maggior valore (di questi elogi) l'iscrizione che brevemente leggi:
'Erano uniti l'uno all'altro da un sacro patto di gloriosa vita,
e, (cosa questa) che raramente conosce la Fama, erano amici'.




Marzialis Epigrammaton I.101
Illa manus quondam studiorum fida meorum
Et felix domino notaque Caesaribus,
Destituit primos viridis Demetrius annos:
Quarta tribus lustris addita messis erat.
Ne tamen ad Stygias famulus descenderet umbras,
Ureret inplicitum cum scelerata lues,
Cavimus et domini ius omne remisimus aegro:
Munere dignus erat convaluisse meo.
Sensit deficiens sua praemia meque patronum
Dixit ad infernas liber iturus aquas.

In morte del suo amanuense Demetrio

Per motivi scaramantici
mai terminerò questa pagina
lasciando questo epigramma
non tradotto.





Marzialis Epigrammaton I.114

Hos tibi vicinos, Faustine, Telesphorus hortos
Faenius et breve rus udaque prata tenet.
Condidit hic natae cineres nomenque sacravit
Quod legis Antullae, dignior ipse legi.
5 Ad Stygias aequum fuerat pater isset ut umbras:
Quod quia non licuit, vivat, ut ossa colat.

Telesforo Fenio possiede questi giardini a te vicini,
Faustino, e questo piccolo campo e questo umido prato.
Qui son conservate le ceneri della figlia e (vi) ha consacrato il nome,
che tu leggi, di Antulla, ma sarebbe stato più degno leggervi il suo stesso nome.
5 Alle ombre dello Stige sarebbe stato più giusto che fosse andato il padre:
poiché ciò non fu concesso, possa vivere, per prendersi cura dei resti (della figlia).


Stige: fiume del Lamento; secondo la mitologia greco-romana uno dei 5 fiumi degli Inferi.




Marzialis Epigrammaton I.116

Hoc nemus aeterno cinerum sacravit honori
Faenius et culti iugera pulchra soli.
Hoc tegitur cito rapta suis Antulla sepulchro,
Hoc erit Antullae mixtus uterque parens.
5 Si cupit hunc aliquis, moneo, ne speret agellum:
Perpetuo dominis serviet iste suis.

Fenio ha consacrato questo boschetto e questo splendido campo
di uno jugero ben coltivato ad onorare in eterno le ceneri (dei morti).
Questo sepolcro nasconde Antulla, troppo presto rapita ai suoi (familiari),
(e) qui, insieme ad Antulla, giaceranno entrambi i genitori.
5 Se qualcuno brama questo campicello, io l’avverto, non lo speri:
questo (luogo) servirà per sempre (solo) ai suoi padroni.


Jugero: misura di terreno corrispondente ad un quadrato con lato di 240 passi.




Marzialis Epigrammaton IV.54

O cui Tarpeias licuit contingere quercus
Et meritas prima cingere fronde comas,
Si sapis, utaris totis, Colline, diebus
Extremumque tibi semper adesse putes.
5 Lanificas nulli tres exorare puellas
Contigit: observant quem statuere diem.
Divitior Crispo, Thrasea constantior ipso
Lautior et nitido sis Meliore licet:
Nil adicit penso Lachesis fusosque sororum
10 Explicat et semper de tribus una negat.


Oh, Collino, a cui fu concesso raggiunger la quercia Tarpea
e cinger con le (sue) migliori fronde le meritevoli chiome,
se hai giudizio, usa tutti i (tuoi) giorni
e pensa sempre di esser vicino al tuo ultimo.
5 Nessuno può persuadere le tre fanciulle filatrici a mutare (il corso
del destino): prestano attenzione (solo) a quel giorno stabilito.
Ti è concesso esser più ricco di Crespo, più determinato
dello stesso Thrasea, (più) elegante e splendente di Meliore:
Lachesi nulla aggiunge alla lana da filare mentre svolge i fusi delle sorelle
10 e sempre tra le tre (lei) sola nega (ogni concessione ai mortali).


1] Tarpea: Capitolina
2] Il rametto di quercia con cui venivano incoronati i vincitori dei giochi quinquennali dedicati a Giove capitolino, istituiti da Domiziano.
5] Lanificas tres puellas: le tre fanciulle tessitrici: le tre moire, le divinità figlie di Zeus, Cloto, Lachesi e Atropo, le esecutrici del destino che determina il termine della vita di ognuno. Esse quindi rappresentano il Fato ineluttabile.
8] Meliore: a Glauco liberto delicatus di Meliore è dedicato l'epitafio VI.28
.





Marzialis Epigrammaton V.58

Cras te victurum, cras dicis, Postume, semper.
Dic mihi, cras istud, Postume, quando venit?
Quam longe cras istud, ubi est? aut unde petendum?
Numquid apud Parthos Armeniosque latet?
5 Iam cras istud habet Priami vel Nestoris annos.
Cras istud quanti, dic mihi, possit emi?
Cras vives? hodie iam vivere, Postume, serum est:
Ille sapit, quisquis, Postume, vixit heri.


Domani vivrai, Postumo, tu, sempre, dici domani.
Dimmi, Postumo, questo domani quando viene?
Quanto è lontano questo domani, dove stà? o donde lo puoi ottenere?
Potrebbe esser che si nasconde presso i Parti e gli Armeni?
5 Questo (tuo) domani ha di già gl'anni di Priamo oppur di Nestore.
Questo domani, dimmi, per quanto puo esser comprato?
Domani vivrai? Vivere oggi, Postumo, è già tardi:
Chi ha vissuto ieri, quello, Postumo, è saggio.




Marzialis Epigrammaton V.64

Sextantes, Calliste, duos infunde Falerni,
Tu super aestivas, Alcime, solve nives,
Pinguescat nimio madidus mihi crinis amomo
Lassenturque rosis tempora sutilibus.
5 Tam vicina iubent nos vivere Mausolea,
Cum doceant, ipsos posse perire deos.


alla vita
Versa due sextantes di Falerno, Callisto,
tu Alcimo sciogli in questo la neve d’estate.
I miei capelli gocciolino riccamente di spiganardo
e le mie tempie sian adornate da ghirlande di rose.
5 I Mausolei, così vicini, ci esortano a vivere
insegnandoci che gli dei stessi posson perire.

Sextantes: Sextarius unità di misura usata per il vino pari a 54 centilitri.
aesitvas nives: la neve d’estate, neve conservata in luoghi freschi da usare in estate sciogliendola nel vino per rinfrescarlo.
Amomo: Spiganardo, pianta asiatica da cui si estrae un olio profumato.
Ipsos posse perire deos: nei Mausolei erano spesso sepolti gli Imperatori, che erano assimilati a divinità.




Marzialis Epigrammaton VI.18

Sancta Salonini terris requiescit Hiberis,
Qua melior Stygias non videt umbra domos.
Sed lugere nefas: nam qui te, Prisce, reliquit,
Vivit qua voluit vivere parte magis.


La sacra (ombra) di Salonino riposa nelle terre Iberiche,
Non (v'è) ombra più nobile e giusta che veda le dimore dello Stige.
Ma addolorarsi è sbagliato: infatti chi ti ha lasciato, Prisco,
(ora) vive in quel luogo dove maggiormente desiderò vivere.




Marzialis Epigrammaton VI.28, Epitaphium Glauciae

Libertus Melioris ille notus,
Tota qui cecidit dolente Roma,
Cari deliciae breves patroni,
Hoc sub marmore Glaucias humatus
5 Iuncto Flaminiae iacet sepulchro:
Castus moribus, integer pudore,
Velox ingenio, decore felix.
Bis senis modo messibus peractis
Vix unum puer adplicabat annum.
10 Qui fles talia, nil fleas, viator.


Glauco, quel noto liberto di Meliore,
alla cui morte tutta Roma si dolse,
breve gioia dell’affezionato patrono,
riposa inumato sotto questo sepolcro
5 di marmo vicino alla via Flaminia:
di casti costumi, di integra modestia,
di pronto acume, di rara bellezza.
Completate due volte sei mietiture
il giovane stava appena per aggiunger un altro anno.
10 Viaggiatore, che piangi per il suo destino, che tu mai possa esser causa di (simil) pianto.

Glaucias: Glauco, era il prediletto liberto e puer delicatus di Atedio Meliore (Atedius Melior), e morì non ancora tredicenne. A Meliore il poeta Stazio dedicò diversi componimenti per alcune centinaia di versi: Silvae liber 2.1 Glaucias Atedi Melioris Delicatus: Glauco, delicato di Atedio Meliore, Silvae 2.3 Arbor Atedi Melioris: L'albero di Atedio Meliore, Silavae 2.4. Psittacus Eiusdem: Il pappagallo dello stesso (Meliore)
.



Marzialis Epigrammaton VI.52, Epitaphium Pantagathi
Hoc iacet in tumulo raptus puerilibus annis
Pantagathus, domini cura dolorque sui,
Vix tangente vagos ferro resecare capillos
Doctus et hirsutas excoluisse genas.
Sis licet, ut debes, tellus, placata levisque,
Artificis levior non potes esse manu.


In questo tumulo giace Pantagato rapito negl’anni
della fanciullezza, con pena e dolore del suo padrone,
era molto abile nel tagliar capelli diradati sfiorandoli
appena col ferro (delle forbici) e nel rassettar l’irsuta barba.
Terra, sii (a lui) propizia come è giusto, appagata e leggera,
(e) non potrai esser più lieve della (sua) mano d’artista.



Marzialis Epigrammaton VI.76, Epitaphium Fusci

Ille sacri lateris custos Martisque togati,
Credita cui summi castra fuere ducis,
Hic situs est Fuscus. Licet hoc, Fortuna, fateri:
Non timet hostiles iam lapis iste minas;
5 Grande iugum domita Dacus cervice recepit,
Et famulum victrix possidet umbra nemus.


In questo luogo stà Fusco, quel custode della sacra persona
e del guerrier togato, cui furon affidati gli accampamenti
del sommo comandante. Questa è la verità, Fato, lo devi ammettere:
queste (sacre) pietre (funerarie) ora non temon minacce ostili;
5 Il Daco sottomesso ha accettato al suo collo il potente giogo,
e la vittoriosa ombra (or) possiede l'(ormai) asservito bosco.



1] Fusco era comandante sul campo di battaglia in nome e per conto dell'Imperatore.
Mars togatus: Marte togato - il guerriero togato era l'Imperatore che rimanendo a Roma, e quindi in toga, comandava l'esercito tramite i suoi generali.
6] Fusco morì sul campo di battaglia e venne sepolto vicino ad un bosco in terra di Dacia; quindi l'ombra di Fusco è ora la padrona del boschetto presso cui è stato tumulato il suo corpo.




Marzialis Epigrammaton VI.85

Editur en sextus sine te mihi, Rufe Camoni,
Nec te lectorem sperat, amice, liber:
Impia Cappadocum tellus et numine laevo
Visa tibi cineres reddit et ossa patri.
5 Funde tuo lacrimas orbata Bononia Rufo,
Et resonet tota planctus in Aemilia:
Heu qualis pietas, heu quam brevis occidit aetas!
Viderat Alphei praemia quinta modo.
Pectore tu memori nostros evolvere lusus,
10 Tu solitus totos, Rufe, tenere iocos,
Accipe cum fletu maesti breve carmen amici
Atque haec absentis tura fuisse puta.


Guarda! Il mio sesto (libro) è stato diffuso senza che tu ci sia, Rufo Camonio,
né, (caro) amico, il (mio) libro spera di averti (come suo) lettore:
il crudel suolo della Cappadocia, che tu vedesti quando un dio
ti era avverso, restituì al padre (tuo sol) ceneri ed ossa.
5 Versa lagrime Bologna privata del tuo Rufo,
e risuoni il pianto nell'intera (via) Emilia:
ahimè qual pena, ah qual breve vita è svanita!
Appena vide per la quinta volta i premi (dei giochi di Olimpia) sull'Alfeo.
Tu che (leggevi e) scoprivi i miei giochi (poetici) rammentandoli nel profondo,
10 tu ch'eri solito, Rufo, ricordare tutti i miei scherzi,
accetta (questi) pochi versi col pianto dell'amico afflitto
e considerali incensi offerti da un altro luogo.


8] Alphei praemia quinta: per la quinta volta i premi dei giochi sull'Alfeo; l'Alfeo è un fiume della Grecia sulle cui rive sorgeva Olimpia e tali giochi oggi li conosciamo come Olimpiadi; Rufo aveva quindi appena compiuto 20 anni.




Marzialis Epigrammaton VII.40, Epitaphium patri Etruscus

Hic iacet ille senex Augusta notus in aula,
Pectore non humili passus utrumque deum;
Natorum pietas sanctis quem coniugis umbris
Miscuit: Elysium possidet ambo nemus.
5 Occidit illa prior viridi fraudata iuventa:
Hic prope ter senas vixit Olympiadas.
Sed festinatis raptum tibi credidit annis,
Aspexit lacrimas quisquis, Etrusce, tuas.


Qui giace quel vecchio ben noto alla corte imperiale, che accettò
e sopportò con sentimento non umile e favore e collera del dio;
la pietà dei figli che lo consacrarono alle ombre l'unì
alla sposa: ognun di lor due avrà un posto nel bosco dell'Elisio.
5 Quella per prima perse la vita derubata della più fresca giovinezza:
questo visse (il tempo di veder) per quasi tre volte sei Olimpiadi.
Nondimeno chiunque abbia scorto le tue lacrime, o Etrusco, dovette
credere che ti fu strappato dalla vita (troppo) frettolosamente.


4] Elysium nemus: bosco dell'Elisio - L'Elisio o campi Elisi è il luogo dell'Ade ove stanno i giusti, i saggi, gli eroi e tutti i meritevoli; qui vivono dopo la morte vagando per i campi impegnati in piacevoli attività analoghe a quelle seguite in vita. Il poema più famoso ove si parla del bosco è il VI libro dell'Eneide, in cui Virgilio segue la concezione pitagorica della metempsicosi; il bosco si trova in un luogo appartato dei campi Elisi, vicino al fiume Lete o fiume dell'Oblio; dopo un lungo tempo di permanenza nei campi le ombre bevono l'acqua del fiume per dimenticare la lor vita precedente e si reincarnano in un nuovo corpo sulla terra. Del Lete ne parla anche Dante, collocandolo nel monte Purgatorio all'interno del Paradiso Terrestre; le anime vi si immergono per purificarsi ed ascendere poi al Paradiso.
6] ter senas Olympiadas: tre volte sei Olimpiadi - ovvero 18 olimpiadi, che quindi significa 72 anni.
7] Si rivolge ad Etrusco, il figlio del vecchio defunto.




Marzialis Epigrammaton VII.47

Doctorum Licini celeberrime Sura virorum,
Cuius prisca gravis lingua reduxit avos,
Redderis - heu, quanto fatorum munere! - nobis,
Gustata Lethes paene remissus aqua.
Perdiderant iam vota metum securaque flebat
Tristitia, et lacrimis iamque peractus eras:
Non tulit invidiam taciti regnator Averni
Et raptas Fatis reddidit ipse colus.
Scis igitur, quantas hominum mors falsa querellas
Moverit, et frueris posteritate tua.
Vive velut rapto fugitivaque gaudia carpe:
Perdiderit nullum vita reversa diem.


Sei tornato tra noi, Licinio Sura, il più celebre
fra gli uomini colti, la cui solenne oratoria ci ha riportato
agli antichi avi - Ah dei, qual grande regalo del fato! -,
rimandato indietro dopo aver quasi assaporato l'acqua del Lethe.
Di già erano cessate le sgomente orazioni funebri e i pianti senza
ritegno, ed avevi ormai esaurito le nostre lacrime:
il re del silente Averno non sopportò tal dispiacere
e lui stesso restituì la conocchia alle fatali rapitrici.
Tu conosci, perciò, qual grande rammarico provocò negli uomini la tua
falsa morte, ed avrai piacere sapendo quel che di te diranno i posteri.
vivi dunque e afferra senza esitazione le fuggitive gioie:
la tua ritrovata vita non avrà perso un sol giorno.





Marzialis Epigrammaton VII.96, Epitaphium Urbici Pueri

Conditus hic ego sum, Bassi dolor, Urbicus infans,
Cui genus et nomen maxima Roma dedit.
Sex mihi de prima deerant trieteride menses,
Ruperunt tetricae cum male pensa deae.
Quid species, quid lingua mihi, quid profuit aetas?
Da lacrimas tumulo, qui legis ista, meo:
Sic ad Lethaeas, nisi Nestore serior, undas
Non eat, optabis quem superesse tibi.


Qui io, Urbico, son sepolto, col dolor di Basso, bambino
cui la grande Roma diede i natali ed il nome.
Sei mesi ancora mi mancavan per completare un triennio,
quando le aspre dee malvagiamente recisero il fil (della mia vita).
A cosa mi son servite la bellezza, le ciarle, i teneri anni?
Tu, che leggi questa (iscrizione), versa una lacrima sul mio tumulo:
Così colui che desideri ti sopravviva non solchi le onde del Lethe,
se non dopo ch’abbia raggiunto l’età di Nestore.


Tetricae deae ruperunt pensa: le aspre dee recisero il filo; dalla mitologia greca le tre Moire, le figlie di Zeus che regolavano in modo quasi meccanico l’esecuzione del destino scritto per ogni essere umano, espressione del fatalismo pagano del mondo greco-romano; Cloto (io filo), che filava il filo della vita, creando quindi il filo di lana ritorto, Lachesi (il destino) che avvolgeva il filo al fuso, Atropo (l’ineluttabile) che tagliava il filo.
Lethe: dalla mitologia greca, il fiume dell’oblio, uno dei fiumi del mondo degli Inferi, il luogo in cui si recano tutte le ombre dei morti.
Nestore: dalla mitologia greca, sinonimo di uomo molto vecchio e saggio.




Marzialis Epigrammaton VIII.57

Tres habuit dentes, pariter quos expuit omnes,
Ad tumulum Picens dum sedet ipse suum;
Collegitque sinu fragmenta novissima laxi
Oris et aggesta contumulavit humo.
5 Ossa licet quondam defuncti non legat heres:
Hoc sibi iam Picens praestitit officium.


Piceno aveva tre denti, che sputò tutti insieme,
nel mentre che era intento a sistemare il suo stesso tumulo;
recuperò allora stringendo al petto gli inusuali frammenti della (sua) bocca
(ormai) floscia e raccoltili insieme li sepolse nel cumulo di terra.
5 Oh erede quando verrà il momento non raccogliere le ossa del defunto:
Per queste (infatti) Piceno già da sé provvedette alle cerimonie funebri.





Marzialis Epigrammaton IX.15

Inscripsit tumulis septem scelerata virorum
'Se fecisse' Chloe. Quid pote simplicius?


La svergognata Cloe fece inscrivere sui tumuli dei suoi
sette mariti 'è opera mia'. Chi mai potrebbe esser più sincero?


Nelle iscrizioni tombali spesso veniva riportato il nome del familiare che realizzava il monumento; ma detto in questo modo tale informazione si presta evidentemente ad un’altra interpretazione secondo cui Cloe li ha portati tutti alla tomba.




Marzialis Epigrammaton IX.28, Epitaphium Latini

Dulce decus scaenae, ludorum fama, Latinus
Ille ego sum, plausus deliciaeque tuae,
Qui spectatorem potui fecisse Catonem,
Solvere qui Curios Fabriciosque graves.
5 Sed nihil a nostro sumpsit mea vita theatro,
Et sola tantum scaenicus arte feror:
Nec poteram gratus domino sine moribus esse;
Interius mentes inspicit ille deus.
Vos me laurigeri parasitum dicite Phoebi,
10 Roma sui famulum dum sciat esse Iovis.


Latino, amato splendore del teatro (di Roma), celebrità dei giochi,
(oggetto) del tuo applauso e del tuo diletto, quello io sono,
che potei avere (Marco Porcio) Catone (come mio) spettatore,
che (riuscii) a liberar (dalla lor severità) gli austeri Curii e Fabricii.
5 Ma nulla del nostro teatro fu assimilato dalla mia vita (fuor delle recite),
e sol per la mia arte scenica fui (da vivo) tanto considerato:
e non avrei potuto esser gradito al mio Divino Signore se non in tal modo;
quel dio osserva i più intimi recessi della mente.
Voi chiamatemi pure ospite dello splendente Apollo cinto d’alloro,
10 a patto che Roma sappia ch’io sono il servitor di Giove.

7] Domino: si riferisce al signore domino di tutti i romani, l’imperatore.
8] Deus: ancora si riferisce alla divinità imperiale.
9] Phebus: Febo è uno degli epiteti con cui viene chiamato Apollo, una delle principali divinità greco-romane; Febo significa letteralmente splendente o lucente.




Marzialis Epigrammaton IX.29, Epitaphium Philaenis

Saecula Nestoreae permensa, Philaeni, senectae,
Rapta es ad infernas tam cito Ditis aquas?
Euboicae nondum numerabas longa Sibyllae
Tempora: maior erat mensibus illa tribus.
5 Heu quae lingua silet! non illam mille catastae
Vincebant, nec quae turba Sarapin amat,
Nec matutini cirrata caterva magistri,
Nec quae Strymonio de grege ripa sonat.
Quae nunc Thessalico lunam deducere rhombo,
10 Quae sciet hos illos vendere lena toros?
Sit tibi terra levis mollique tegaris harena,
Ne tua non possint eruere ossa canes.


Dopo aver vissuto per un periodo lungo quanto gli anni del vecchio Nestore,
sei stata così prematuramente trascinata ai fiumi infernali di Dite, Fileni?
Non avevi ancor contato i tanti anni della Sibilla
Eubèa: quella era più vecchia di tre mesi.
5 Ah qual lingua è ora muta, ahimè! Quella (lingua) non poteva esser sopraffatta
da mille cataste (di schiavi), né da qualunque turba di seguaci di Serapide,
né dalle ricciolute truppe dei mattutini maestri di scuola,
né dalle rive dello Strimone risonanti di greggi.
Chi d’ora in poi saprà come tirar giù la luna col magico circolo Tessalico?
10 Qual ruffiana mostrerà la stessa capacità nel vender quei giacigli amorosi?
Ti sia la terra lieve e ti copra la morbida sabbia,
così che i cani non possano non cavar fuori le tue ossa!

Ditis: Dis Pater - Dite divinità romana degli inferi equivalente al dio greco Ade
Catastae: piattaforme dove gli schiavi erano esibiti per la vendita
Sarapis: Serapide o Sarapide o Sérapis: divinità greco-egizia, successivamente introdotta nel mondo romano
Strymonian: Strimone. Fiume greco.




Marzialis Epigrammaton IX.30

Cappadocum saevis Antistius occidit oris
Rusticus. O tristi crimine terra nocens!
Rettulit ossa sinu cari Nigrina mariti
Et questa est longas non satis esse vias;
5 Cumque daret sanctam tumulis, quibus invidet, urnam,
Visa sibi est rapto bis viduata viro.


Antistio Rustico trovò la morte nelle violente terre (barbariche) della
Cappadocia. Ah (qual) suolo insensato per un (sì) doloroso crimine!
Nigrina riportò indietro le ossa dell'adorato sposo tenendole strette al seno
e si rammaricò che la strada del ritorno non fosse abbastanza lunga;
5 e nel mentre che affidava la sacra urna al tumulo, del quale era gelosa,
le sembrò che il marito le venisse strappato una seconda volta.


4] la strada non abbastanza lunga: nel senso che avrebbe voluto avere in suo possesso i resti del marito per un tempo maggiore.




Marzialis Epigrammaton IX.74

Effigiem tantum pueri pictura Camoni
Servat, et infantis parva figura manet.
Florentes nulla signavit imagine voltus,
Dum timet ora pius muta videre pater.


Ricordo di Rufo Camonio

A fatica il dipinto conserva il ritratto di Camonio
fanciullo, e sopravvive la minuta figura d'un bimbo.
Nessuna immagine ha segnato il volto (degli anni) fiorenti,
poiché l'affezionato padre ha paura di vedere la muta bocca.

Rufo Camonio era un grande amico di Marziale e suo estimatore, morto ancor giovane da soldato in Cappadocia ( VI.85, Epicedio per Rufo Camonio).
Si deve pensare che il padre preferisse non avere un suo ritratto simile a quando morì in quanto temeva che il vedere la ormai muta bocca del figlio gli avrebbe provocato più dolore che conforto; probabilmente Marziale in un viaggio a Bologna, più o meno 4 anni dopo la morte del giovane amico, incontrò il padre di Rufo nella casa di questi e rimase colpito dal non vedere ritratti del figlio oltre quello ormai sbiadito che lo ritraeva da bambino.




Marzialis Epigrammaton IX.76

Haec sunt illa mei quae cernitis ora Camoni,
Haec pueri facies primaque forma fuit.
Creverat hic vultus bis denis fortior annis,
Gaudebatque suas pingere barba genas,
5 Et libata semel summos modo purpura cultros
Sparserat: invidit de tribus una soror
Et festinatis incidit stamina pensis,
Absentemque patri rettulit urna rogum.
Sed ne sola tamen puerum pictura loquatur,
10 Haec erit in chartis maior imago meis.

Consolatio: Ancora su Rufo Camonio

Questo è ciò che rappresenta l'espressione del mio Camonio,
questo il viso del fanciullo ed il (suo primo) aspetto.
Assunse una forma gagliarda questo volto in vent'anni,
e si rallegrava del fatto che la barba stesse colorando le sue guance,
5 e tagliata una sola volta di recente spruzzò di (rosso) porpora la sommità
della lama (del rasoio): fra le tre (Moire) una sorella malevola
e frettolosa tagliò il fil di lana (della sua vita),
e l'urna restituì al padre quel che restava del lontano rogo.
Ma tuttavia perché la pittura non racconti da sola del fanciullo,
10 questo (suo) ritratto più a lungo rimarrà nelle mie pagine.


2] Haec pueri facies primaque forma fuit: si riferisce ad una pittura che raffigura Rufo da bambino; vedi 9]
3] bis denis annis: due decine di anni; tra il momento del ritratto e quello della morte passarono 20 anni; in VI.85 afferma che Rufo vide 5 olimpiadi, che vuol dire un tempo trascorso da un minimo di 20 anni ad un massimo di 26 anni (se fosse nato l'anno dopo l'olimpiade e morto un anno prima della 6 successiva olimpiade); nell'unico ritratto conservato dal padre era dunque un bambino di non più di sei anni.
Tuttavia è anche possibile che Marziale come periodo temporale per una Olimpiade intendesse un lustro, ovvero 5 anni e non 4.
6] de tribus una soror: le tre moire, le tre figlie di Giove: Cloto, Lachesi e Atropo, espressione del fato ineluttabile che decide la nostra sorte; delle tre sorelle sempre era Lachesi colei che recideva il filo della vita.
9] La pittura a cui si riferisce Marziale è quella che lui vide poco tempo prima in casa del padre di Rufo, come scritto nell'epigramma IX.74 di cui questo epigramma è una sorta di continuazione.




Marzialis Epigrammaton IX.78

Funera post septem nupsit tibi Galla virorum,
Picentine: sequi vult, puto, Galla viros.


Dopo la sepoltura di sette mariti Galla ti ha sposato,
o Piacentino: Galla, io credo, desidera di seguir i (suoi) sette uomini.




Marzialis Epigrammaton X.43

Septima iam, Phileros, tibi conditur uxor in agro.
Plus nulli, Phileros, quam tibi, reddit ager.

Filero, di già sotterri nel tuo campo la settima moglie.
A nessuno, Filero, quanto a te, un campo rende tanto.




Marzialis Epigrammaton X.50

Frangat Idumaeas tristis Victoria palmas,
Plange, Favor, saeva pectora nuda manu;
Mutet Honor cultus, et iniquis munera flammis
Mitte coronatas, Gloria maesta, comas.
5 Heu facinus! prima fraudatus, Scorpe, iuventa
Occidis et nigros tam cito iungis equos.
Curribus illa tuis semper properata brevisque
Cur fuit et vitae tam prope meta tuae?


Spezza, dolente Vittoria (trionfante), le (rigogliose) palme idumee,
percuoti, o (benevolo) Favore, il nudo petto con mano furente;
muta, Onore, l'oggetto della tua devozione, e (tu), mesta Gloria,
concedi la tua chioma inghirlandata come tributo alle inique fiamme (del rogo).
5 Ahimè qual crimine del fato! (Tu) muori, Scorpo, defraudato della prima
giovinezza e dopo così poco tempo imbrigli i neri cavalli.
Perché quella meta (verso cui) sempre il tuo carro si affrettava
e rapidamente (raggiungeva) fu anche tanto vicina alla tua vita?


7-8] La meta era una colonna posta in corrispondenza della stretta curva del circo ed in senso lato è anche il termine della vita.




Marzialis Epigrammaton X.53, Epitaphium Aurigae Scorpi

Ille ego sum Scorpus, clamosi gloria Circi,
Plausus, Roma, tui deliciaeque breves,
Invida quem Lachesis raptum trieteride nona,
Dum numerat palmas, credidit esse senem.



Epitaffio di Scorpo, l'auriga

Scorpo, celebrità dell'acclamante circo, per un breve momento
(oggetto) del tuo applauso, o Roma, e del tuo diletto,
quello son io, che la malevola Lachesi, mentr'era intenta a contar i mie' premi,
credette che fossi (già) vecchio ed a (sol) ventisett'anni mi rapì.

1] Scorpo era un'Auriga che gareggiava nel Circo guidando un carro trainato solitamente da 4 o da 2 cavalli; il più famoso circo di Roma era il Circo Massimo, che conteneva 150.000 spettatori posto nella valle tra Aventino e Palatino, dinanzi alla residenza imperiale; i giochi si svolgevano solitamente su sette o su cinque giri, e l'aspetto più spettacolare era il pericolo di incidenti in quanto gli aurighi tentavano di spingere i carri degli avversari fuori della pista; le morti di uomini e cavalli erano frequentissime e quindi tali giochi erano estremamente pericolosi.
Scorpo fu un'auriga fra i più famosi ed acclamati di Roma vincendo oltre 2000 gare prima di trovar la morte sulla meta, la curva del circo, il punto più pericoloso
.
Vedifoto della statua di Scorpo ai Musei Vaticani.
3] nona trieteride: trieteride, dal calendario greco una misura raramente utilizzata che corrisponde ad un periodo di 738 giorni; non corrisponderebbe quindi a tre anni ma a molto meno e quindi la nona trieteride corrisponde a poco più di 18 anni, non a 27 anni. Secondo altre interpretazioni trieteride corrisponde invece al periodo di un triennio, per cui si arriverebbe a 27 anni.
4] Scorpo fu vittima di un errore del fato: aveva già vinto così tanto che Lachesi, una delle tre Moire, divinità rappresentazione del destino ineluttabile che regolano la fine della nostra vita, contando il numero delle sue vittorie lo giudicò già vecchio.




Marzialis Epigrammaton X.63, Epitaphium Nobilis Matronae

Marmora parva quidem, sed non cessura, viator,
Mausoli saxis pyramidumque legis.
Bis mea Romano spectata est vita Tarento,
Et nihil extremos perdidit ante rogos:
5 Quinque dedit pueros, totidem mihi Iuno puellas,
Cluserunt omnes lumina nostra manus.
Contigit et thalami mihi gloria rara fuitque
Una pudicitiae mentula nota meae.


In verità, viaggiatore, son modesti marmi (quelli su cui) leggi (queste righe),
ma null’hanno da invidiare ai massi di Mausolo ed alle Piramidi.
Due volte la mia vita è stata oggetto di ammirazione nella romana Taranto,
e (la mia virtù) nulla di estremo perse prima del rogo (funerario):
5 Giunone mi diede cinque figli, altrettante figlie,
tutte le lor mani chiusero i miei occhi.
È accaduto e fu rara gloria coniugale
che un sol membro fu noto alla mia pudicizia.




Martialis Epigrammaton X.67, Epitaphium vetulae
Pyrrhae filia, Nestoris noverca,
Quam vidit Niobe puella canam,
Laertes aviam senex vocavit,
Nutricem Priamus, socrum Thyestes,
Iam cornicibus omnibus superstes,
Hoc tandem sita prurit in sepulchro
Calvo Plutia cum Melanthione.


epitaffio di una vecchietta

Figlia di Pirra, matrigna di Nestore,
che Niobe fanciulla vide canuta,
che il vecchio Laerte chiamò nonna,
Priamo balia, Tieste suocera,
già sopravvissuta a qualunque corvo,
finalmente collocata in questo sepolcro
Plozia ha i pruriti col calvo Melanzione.


[Plozia era vecchia in modo inimmaginabile: Marziale richiama numerosi gradi di parentela con personaggi mitologici vecchissimi e che la mitologia faceva risalire alla remotissima antichità.
Iam cornicibus omnibus superstes: esser più vecchio di qualunque corvo è un modo di dire, riferibile a uomini e donne, per indicare una estrema longevità.
Tandem: infine, finalmente; suggerisce che la morte giunse forse quasi come una liberazione per i discendenti.
Plozia era così arzilla che anche nella tomba, dopo esser infine morta, mostrava pruriginoso desiderio per Melanzione, il marito sepolto nel medesimo sepolcro, evidentemente molto tempo prima; dal nome si desume che Melanzione fosse di origini servili e la calvizie indica una sua certa età, ma anche si può riferire alle attitudini libidinose attribuite ai calvi; solitamente sulle lapidi era decantata la castità e la purezza ma per Plozia Marziale contravviene spudoratamente ogni regola: mentre solitamente in un epitaffio viene messa in evidenza la virtù in questo viene riportato ai posteri un vizio.]




Epigrammaton XI.13, Epitaphium Paridis
Quisquis Flaminiam teris, viator,
Noli nobile praeterire marmor.
Urbis deliciae salesque Nili,
Ars et gratia, lusus et voluptas,
Romani decus et dolor theatri
Atque omnes Veneres Cupidinesque
Hoc sunt condita, quo Paris, sepulchro.


Epitaffio per Paride, l’attore

Chiunque tu sia, viandante, che percorri la Flaminia,
Non ignorare questo nobil marmo.
Delizia di Roma e arguzia del Nilo,
Arte e grazia, gioco e piacere,
Splendore e dolore del teatro romano
Ed ogni Amore ed ogni Desiderio
Son conservati qui, in questo sepolcro, con Paride.


Paride, nato in Egitto e sepolto lungo la via Flaminia, che fu attore e pantomimo nei teatri di Roma ai tempi di Marziale, sotto il principato di Domiziano.
Venere: la dea dell’Amore.
Cupido: il dio del desiderio amororso, figlio di Venere




Epigrammaton XI.14
Heredes, nolite brevem sepelire colonum:
Nam terra est illi quantulacumque gravis.

O voi eredi, evitate di seppellire un contadino così piccino:
infatti la terra per quanto poca comunque gli pesa.




Epigrammaton XI.91, Epitaphium Canaces
Aeolidos Canace iacet hoc tumulata sepulchro,
ultima cui parvae septima venit hiems.
A scelus, a facinus! Properas qui flere, viator,
non licet hic vitae de brevitate queri:
tristius est leto leti genus: horrida vultus
abstulit et tenero sedit in ore lues,
ipsaque crudeles ederunt oscula morbi,
nec data sunt nigris tota labella rogis.
Si tam praecipiti fuerant ventura volatu,
debuerant alia fata venire via.
Sed mors vocis iter properavit cludere blandae,
ne posset duras flectere lingua deas.


Canace figlia di Eolide giace tumulata in questo sepolcro,
piccola per cui giunse il settimo ultimo inverno.
Ah crimine, ah oltraggio! Tu che stai per piangere, viandante,
qui non è consentito lamentarsi riguardo la brevità della vita:
il modo della (sua) morte è più triste della morte (stessa): un’orrida
piaga (le) prese il volto e s’insediò nella tenera bocca,
ed il crudel morbo consumò gli stessi baci,
né le labbra furon date intere al nero rogo.
Se con volo tanto precipitoso è arrivato,
sarebbe dovuto giunger per altra via il destino.
Ma la morte rapidamente fermò il viaggio della delicata voce
perché la lingua non potesse piegare le dee spietate.




Epigrammaton XII.52, Epitaphium Rufi

Tempora Pieria solitus redimire corona,
Nec minus attonitis vox celebrata reis,
Hic situs est, hic ille tuus, Sempronia, Rufus,
Cuius et ipse tui flagrat amore cinis.
5 Dulcis in Elysio narraris fabula campo,
Et stupet ad raptus Tyndaris ipsa tuos:
Tu melior, quae deserto raptore redisti,
Illa virum voluit nec repetita sequi.
Ridet et Iliacos audit Menelaus amores:
10 Absolvit Phrygium vestra rapina Parim.
Accipient olim cum te loca laeta piorum,
Non erit in Stygia notior umbra domo:
Non aliena videt, sed amat Proserpina raptas:
Iste tibi dominam conciliabit amor.

Lui che soleva cinger la testa con la corona delle Pieridi,
e la cui eloquenza a difesa dei rei demoralizzati fu non meno rinomata,
quel tuo Rufo, la cui stessa cenere s'infiamma del tuo amore,
o Sempronia, è qui, in questo luogo.
5 Nel campo Elisio sei raccontata come una dolce favola,
e la stessa (Elena figlia di) Tindaro è sbalordita dal tuo rapimento:
tu che lasciato il rapitore tornasti indietro, sei miglior di lei
che volle seguire l'uomo (che la rapì) e non ritornar sui suoi passi.
Ride Menelao e ascolta dei (vostri) iliaci amori:
10 il vostro rapimento assolve il frigio Paride.
Quando arriverà il tempo che i gioiosi luoghi dei giusti ti accoglieranno,
nella casa dello Stige non vi sarà ombra più nota:
Proserpina non guarda gli immeritevoli, ma è amorevole con le rapite:
questo ti procurerà l'amore della signora degli inferi.


6] tyndaris: Elena tindaride, figlia di Tindaro, è una figura mitologica greca descritta nell'Iliade e nell'Odissea, icona della femminilità e motivo scatenante della guerra di Troia. Era definizione stessa della bellezza ed aveva numerosissimi pretendenti; il padre li fece giurare che una volta che lei avesse scelto il marito, tutti sarebbero accorsi in suo aiuto nel caso le fosse stata rapita. Elena scelse infine Menelao, ma il troiano Paride la rapì cosa che indusse Menelao ed il fratello Agamennone ad organizzare la spedizione greca contro Troia.
13] Proserpina: divinità romana il cui culto fu introdotto nel 249 a.C.; rapita da Plutone re dell'Ade ne divenne sposa e regina degli Inferi; la madre Cerere implorò Giove di liberarla; Proserpina poté tornare sulla terra ma doveva passare 6 mesi l'anno agli inferi; in quei mesi Cerere faceva calare un gran freddo sulla terra in segno di dolore; il mito fa risalire all'ira di Cerere per la permanenza di Proserpina agli inferi l'alternanza delle stagioni.




Gaius Valerius Catullus Carmen 96

Si quicquam mutis gratum acceptumque sepulcris
accidere a nostro, Calve, dolore potest,
quo desiderio veteres renovamus amores
atque olim missas flemus amicitias,
certe non tanto mors immatura dolorist
Quintiliae, quantum gaudet amore tuo.


Consolatio per Calvo in morte di Quintilia

Se qualcosa (che sia) di affetto e conforto, Calvo,
dal nostro dolore può discendere ai muti sepolcri,
(quel dolore) in cui ridestiamo nel rimpianto antichi amori
e piangiamo le ormai perse amicizie d'un tempo,
per Quintilia certo la prematura morte non è
così dolorosa, tanta è la gioia per il tuo amore.


dolorist: dolori est




Gaius Valerius Catullus Carmen 101

Multas per gentes et multa per aequora vectus
advenio has miseras, frater, ad inferias,
ut te postremo donarem munere mortis
et mutam nequiquam alloquerer cinerem.
Quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum.
Heu miser indigne frater adempte mihi,
nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum
tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu,
atque in perpetuum, frater, ave atque vale.


In morte del fratello

Condotto attraverso molte genti e molti mari
giungo a questi infelici riti funebri, fratello,
per donarti l'ultimo omaggio di morte
e invano parlare alla (tua) muta cenere.
Giacché il destino stesso mi condusse lontano da te.
Ohimé sfortunato fratello ingiustamente strappatomi,
pure nel frattempo, secondo l'antico uso dei padri
che (ci) tramandarono il triste tributo (da rendere) alle ombre,
ora accetta questo (dono) così bagnato dal fraterno pianto,
e per sempre, fratello, (io) ti saluto e addio.


Catullo fece parte nel 57-56 a.C. di una spedizione in Asia Minore (la penisola anatolica) durante la quale si recò a rendere omaggio alla tomba del fratello.
inferia: riti funebri celebrati in determinati giorni dell'anno, in cui si adornavano le tombe con fiori e si organizzavano dei banchetti sui sepolcri per ricordare i defunti.






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26 ottobre 2012