Le Tombe nell’Antica Roma

Nell’antica Roma venivano utilizzate numerose differenti tipologie sepolcrali: per una sola persona, per una famiglia o per un vasto gruppo (colombari), costruite sopra il livello del terreno oppure sotto terra recante al di sopra una sorta di testimonianza monumentale, pensate per le sepolture dei corpi oppure per accogliere le ceneri.
Le forme architettoniche utilizzate erano le più varie ma in definitiva sempre riconducibili a quattro categorie:
• cilindrica - i tumuli con o senza podio e alcuni mausolei con un tumulo di terra simbolico o totalmente assente
• a piramide - quale la famosa piramide Cestia
• quadrata - piccoli monumenti in opera cementizia ricoperta di marmo o travertino
• a tempietto - tempietti con podio, gradini, portico e cella ipogea

Alcune tipologie di tombe

Nel seguito faccio riferimento alle tombe relative esclusivamente alla città di Roma antica.



Le tombe fuori della città

Le tombe erano costruite sulle principali strade consolari o sulle loro traverse, ma comunque sempre fuori dalle mura cittadine, in quanto era proibito seppellire i defunti all’interno della città; era infatti questa una delle leggi delle Dodici Tavole promulgate sin dal 450 a.C.:

Tabula X
«hominem mortuum in urbe ne sepelito neve urito»

“Non si seppellisca né si cremi all’interno della città alcun morto”

La regola di effettuare le sepolture fuori delle mura, ed anche l’usanza della cremazione, rispondevano evidentemente ad esigenze di una maggiore sicurezza sanitaria; la proibizione di cremare i corpi all’interno delle mura aveva probabilmente lo scopo di ridurre la probabilità che scoppiassero incendi nella città.

Si incontrano ovunque resti di sepolcri intorno alla città, e numerosissimi furono quelli costruiti lungo le vie Latina, Appia e Flaminia.
Naturalmente chi poteva costruiva il monumento funebre in prossimità di una strada Consolare in modo che potesse essere ammirato dai viandanti diretti o provenienti da Roma e che testimoniasse del prestigio e della ricchezza del proprietario, ma moltissime sepolture avvenivano su diverticoli secondari o anche ad una certa distanza da una qualunque strada selciata; in alcuni casi si veniva cioè a determinare una vasta area cimiteriale (una necropoli) che si estendeva per decine di ettari da una consolare all’altra; questo si è riscontrato ad esempio tra via Latina e via Appia, tra la Labicana e la Praenestina, tra Nomentana e Salaria; ad esempio nel triangolo tra via Latina, via Appia e le mura Aureliane sono state scoperte in tempi moderni oltre 1500 tombe; Lanciani ipotizza che Roma fosse circondata da 300.000 tombe.
Alcune tombe si trovano all’interno delle mura Aureliane in quanto furono costruite quando erano in uso le sole mura Repubblicane; Roma per molti secoli non ebbe alcuna necessità di mura difensive le quali restarono quelle Serviane risalenti all’epoca repubblicana per un lungo periodo dell’Impero Romano e così la città espandendosi andò ad inglobare i sepolcri nelle immediate vicinanze della cinta muraria più antica.

Le epigrafi funerarie

Gli epitaffi che si leggono sulle tombe danno interessanti descrizioni dei defunti quali la loro carriera militare o politica, o l’indirizzo della loro attività commerciale, o i loro successi in gare equestri o in rappresentazioni teatrali, il loro stato civile, l’età e così via; in generale conteneva un elogio delle virtù fisiche e morali del defunto, ed anche delle virtù familiari per la donna.
A volte erano poetiche frasi rivolte da congiunti o amici al defunto:

“All’adorabile, benedetta anima di L. Sempronio Fermo.
Ci conoscemmo, e amammo ciascun l’altro fin dalla fanciullezza: ci sposammo ed una empia mano ci separò improvvisamente.
Oh, terribili dei, siate benevoli e clementi con lui, e consentitegli di apparirmi nelle silenziose ore della notte.
Ed anche consentitemi di condividere il suo destino, che noi possiamo essere riuniti dolcemente e celermente.”

Sulla tomba di un liberto venne rinvenuto questo testo:

“Eretto a memoria di Memmio Claro dal suo co-liberto Memmio Urbano.
Io so' che mai ci fu l’ombra di un dissapore tra me e te.
Mai una nuvola passò sopra la nostra comune felicità.
Io giuro agli dei del cielo e degli inferi che noi lavorammo lealmente e amorevolmente insieme, che noi fummo resi liberi dalla schiavitù nello stesso giorno e nella stessa casa: niente avrebbe mai potuto separarci eccetto questa fatale ora.”

Nel caso di morti premature solitamente l’epigrafe era una sorta di lamentazione funebre; così scrive una donna sull’urna del figlio Marius Exoriens:

“Le insensate leggi della morte lo hanno strappato dalle mie braccia!
Giacché sono favorita dagli anni, la morte avrebbe dovuto portar via me prima.”

E su un sarcofago tra le immagini di un ragazzo e di una ragazza:

“Oh, crudele, empia madre che io sono: alla memoria dei miei più dolci ragazzi, Publio che visse 13 anni 55 giorni, ed Eria Teodora che visse 27 anni 12 giorni.
Oh, madre sventurata, che hai visto la più crudele fine dei tuoi figli!
Se Dio fosse stato pietoso, tu saresti stata sepolta da loro.”

Assai suggestiva era l’usanza di far parlare in prima persona il defunto che poteva così rivolgersi direttamente al viandante, salutandolo ed invitandolo a soffermarsi a riposare nei pressi del sepolcro dove venivano anche predisposti dei sedili, o invitandolo a leggere l’iscrizione o ringraziandolo per averlo fatto oppure invitandolo a versare una lacrima pietosa sul prorpio tumulo augurandogli in cambio ogni bene; spesso tali epigrafi erano quanto mai poetiche, fantasiose e poco formali.

Divertente è l’epigrafe dell’attore di teatro Leburna, ritrovata ad Ostia(?), che recita:

"Qui riposa Leburna, maestro di recitazione,
che visse più o meno cent’anni.
Son morto tante volte, ma così, mai!
A voi, lassù, auguro buona salute."


Sovente si potevano leggere frasi umoristiche come quella incisa su una lapide rinvenuta in Vigna Codini sull’Appia:

“Avvocati e malocchio state lontani dalla mia tomba.”

I romani credevano infatti al "malocchio" (mala fortuna), credenza che non era invece condivisa da altre popolazioni dell’epoca.

Tra i tanti epitaffi, numerosi e notissimi sono quelli che ci ricordano la nostra condizione di mortali:

«hodie mihi, cras tibi.»
ovvero:
"Oggi a me, domani a te."

od anche [CIL XI 6243, a Fano]:
"Viator, viator:
quod tu es, ego fui;
quod nunc sum, et tu eris."


"Viandante, viandante (ricorda sempre):
quel che tu (ora) sei, io (già) fui;
quel ch’io ora sono, doman tu sarai."


L'epigrafe pagana [CIL VI, 26003, Roma] che ricorda il verso biblico della Genesi 3.19 "polvere tu sei e in polvere ritornerai":

"Nihil sumus et fuimus mortales.
Respice, lector, in nihil ab nihilo
quam cito recidimus."


"Non siamo niente e fummo mortali.
Osserva, tu che leggi, quanto rapidamente
precipitiamo dal nulla nel niente."



A volte nelle epigrafi venivano rivolte delle pittoresche maledizioni al passante nel tentativo di garantire la sicurezza della tomba e del suo contenuto, od anche per cercare di impedirne l’uso come latrina:

“Chiunque danneggi la mia tomba o rubi i suoi ornamenti, che possa egli veder la morte di tutti i suoi familiari.”

“Chiunque rubi i chiodi da questa struttura, che possa conficcarli nei suoi occhi.”


Apusulena Geria vixit annos XXV
quod quisque vestrum optaverit mihi,
illi semper eveniat vivo et mortuo


Apusulena Geria visse 25 anni
Quel che ognuno di voi ha augurato a me,
per sempre accada a lui da vivo e da morto


Marco Valerio Marziale scrisse alcuni epitaffi ed epigrafi funebri di notevola forza evocativa; notissimi sono gli epigrammi per Erotion e quello per Canace, ma ne scrisse molti altri, quali ad esempio l’epitaffio per Paride, un attore di teatro proveniente dall’Egitto e sepolto sulla Flaminia:

Chiunque tu sia, viandante, che percorri la Flaminia, non ignorare questo nobil marmo.
Delizia di Roma e arguzia del Nilo, arte e grazia, gioco e piacere, splendore e dolore del teatro romano
ed ogni amore ed ogni desiderio son conservati qui, in questo sepolcro, insieme a Paride.


Il genere poetico degli epigrammi funerari fu introdotto dalla cultura greca secoli prima; nell’Antologia Palatina ne sono conservati alcune centinaia; ne cito un solo esempio di Leonida da Taranto (Antologia Palatina VII, 480):

“Le mie ossa per metà son esposte alle intemperie
e la copertura della mia sepoltura è ormai in pezzi.
Di già si vedon i vermi brulicare all’interno della mia cassa squassata.
Viandante, chi mi ricoprirà di terra?
È accaduto che gli abitanti han realizzato un sentiero,
là dove prima nessuno passava, calpestando così i miei mortali resti.
Nel nome degli dei degli Inferi, di Plutone, di Mercurio e della Notte,
voi, lassù, cessate di usare codesto sentiero!”


Iscrizioni tipiche nelle epigrafi

All'inizio delle epigrafi molto spesso era posta una iscrizione pagana di invocazione ai morti:

«Deis Manibus Sacrum» o «Diis Manibus Sacrum» o «Dis Manibus Sacrum»

“Sacro agli Dei Mani” (Sacro alle Ombre dei Morti; Sacro agli Spiriti dei Morti)

Era questa una invocazione propiziatoria, molto utilizzata solitamente nella semplice forma abbreviata D. M. oppure D. M. S., oltre che nella forma estesa Dis Manibus (Sacrum) o Diis Manibus (Sacrum) o nella forma arcaica Deis Manibus (Sacrum), posta all’inizio delle iscrizioni funerarie e rivolta ai Mani, le ombre dei morti che popolano gli Inferi, il regno sotterraneo del dio Ade (Inferus: che stà sotto).


Sit tibi terra levis

ti sia la terra lieve

l'uomo, da vivo, percepisce la terra sopra un corpo come un peso opprimente ed intollerabile ed è un augurio del tutto normale per un vivo, anche se il defunto certo non si lamenta del peso della terra; questo motto rappresenta in sostanza l'augurio al defunto che possa trovare la pace nell'al di là.
Marziale nei suoi epigrammi utilizzò una sola volta tale motto, in un epigramma ironico, IX.29 Epicedio per Fileni, ma altrove riprese lo stesso auspicio di leggerezza utilizzando però altre parole:

V.34 Consolatio per sé stesso: in morte di Erotion
Le delicate ossa sian protette da non dura zolla, e tu,
terra, non esserle pesante: lei non (lo) fu per te.


VI.52 Epitaffio di Pantagato, giovane schiavo barbiere
Terra, sii (a lui) propizia come è giusto, appagata e leggera,...

un classico epitaffio contenente questo motto è ad esempio (da Aquileja):

Have Septimia. Sit tibi terra levis. Qisquis huic tumulo posuit ardentem lucernam, illius cineres aurea terra tegat.

Addio Settimia, ti sia leggera la terra (che ti ricopre). Chiunque abbia posto su questo tumulo una lucerna accesa, che le sue ceneri possano esser protette da una terra meravigliosa.


Heredes ne sequatur

Che gli eredi non alienino (il sepolcro)

Quindi gli eredi potevano utilizzare la tomba per la loro sepoltura ma non potevano venderne o donarne la proprietà od anche cederne l'uso per ricavarne denaro.



Inumazione e Cremazione

A partire dalla fondazione di Roma (753 a.C.) e per tutto il periodo della Repubblica si utilizzava tanto la sepoltura quanto la cremazione, con probabilmente una prevalenza della prima modalità, a seconda della volontà dei singoli; la legge della Tavola X ci dice che in effetti entrambe le modalità erano previste.
A partire dal II secolo a.C. si diffuse la pratica di bruciare i corpi e nel corso del I secolo a.C. tale pratica divenne generalizzata mentre la sepoltura della salma divenne un’eccezione continuando tuttavia ad essere liberamente praticata e ad esempio Svetonio scrive che Orazio fu inumato.
Vennero istituite le ustrina, della aree sacre predisposte nei pressi di una o più tombe in cui venivano realizzate le pire che convertivano i corpi in cenere.
Nella seconda metà del II secolo d.C. riprese progressivamente la tradizione dell’inumazione dei corpi, il che recò nuove problematiche rispetto agli spazi necessari e si diffusero pratiche di sepoltura ad inumazione collettiva, quali nel sepolcro Baccelli, in cui i defunti venivano racchiusi in muretti chiudendo poi l’apertura superiore con delle tegole consentendo così di impilare numerosi corpi.
In epoca imperiale presero a diffondersi le Catacombe Cristiane di cui a Roma se ne contano oggi oltre quaranta fra quelle note ed ufficiali (moltissime sono state le catacombe distrutte), più molte altre piccole e piccolissime non riconosciute come catacombe cristiane (potevano esistere catacombe pagane) o non esplorate.
I Cristiani utilizzano l’inumazione e nel IV secolo l’usanza della cremazione scomparve definitivamente, come anche riferito da Macrobius.
Una delle ultime cremazioni documentate in Roma è quella relativa alla piccola urna in marmo di Trebellena Flaccilla, rinvenuta nella necropoli vaticana della via Cornelia sotto la basilica di san Pietro all’interno del tempietto T anche noto come tempietto di Trebellena Flaccila; l’urna è databile alla prima epoca costantiniana (intorno al 310 - 315 d.C.) grazie ad una moneta in bronzo rinvenuta nella sepoltura.

La commemorazione dei morti

I romani avevano un rapporto con i morti diverso da quello che abbiamo oggi; non esistevano zone cimiteriali riservate e qualunque terreno di cui si avesse la disponibilità al di fuori delle mura cittadine era utilizzabile.
Coloro che possedevano una villa fuori Roma spesso realizzavano tombe per i familari nelle vicinanze della villa (per esempio la villa di Massenzio con il Mausoleo di Romolo, la villa di Erode Attico con il tempietto di Annia Regilla); in generale non si trovava spiacevole vivere accanto ad un monumento funebre, ma anzi lo splendore del monumento accresceva anche il valore della casa.
I romani usavano fare frequenti visite alle tombe dei loro familiari, e vi erano due ricorrenze particolari, la Parentalia e la Lemuria, che si svolgevano nei mesi di Febbraio e di Maggio; venivano realizzate delle cerimonie, apposte decorazioni floreali sulle urne e offerte libagioni (inferiae).
Le cerimonie funebri potevano consistere in allegri banchetti; si pensava che il congiunto potesse provare piacere dalla compagnia dei familiari piacevolmente riuniti; potevano esistere delle cannule che mettevano in comunicazione la stanza sovrastante con la camera funeraria attraverso cui far passare dei profumi o delle gocce di vino in modo che i defunti potessero partecipare e trarre maggiore godimento dal ritrovo.


Corredo funerario

Normalmente all’interno del luogo di sepoltura veniva predisposto un corredo funerario; i ritrovamenti sono meno frequenti nelle incinerazioni forse a causa del danneggiamento del fuoco; gli oggetti più tipici sono:
vasetti vitrei contenenti unguenti e balsami;
brocche;
lanterne che davano luce al defunto nell’aldilà;
una moneta, alle volte posta nella bocca del morto, il cosiddetto "obolo di Caronte", con la quale il defunto avrebbe potuto pagare una sorta di pedaggio alla figura mitologica di Caronte per poter essere traghettato attraverso il fiume Acheronte e raggiungere gli inferi.


La Tomba a Tumulo (Tumulus)

Era una tipologia di tomba piuttosto diffusa nell’antichità in epoche precedenti ai Romani tra gli Etruschi e in altre parti del Mediterraneo, adottata poi dai nobili romani più potenti a partire dalla tarda era Repubblicana (il primo esempio conosciuto di tale tipologia di tomba è attribuito al Tumulo di Silla, eretto in Campo Marzio; Silla morì nel 78 a.C.).
A partire da Roma si diffuse rapidamente in tutto il resto d’Italia ed il modello principe ed inarrivabile fu il grandioso tumulo di Augusto costruito tra il 32 ed il 28 a.C. al Campo Marzio dove oggi è Piazza Augusto Imperatore al centro di Roma; vi furono deposte le spoglie di Augusto e di numerosi membri della famiglia imperiale Augustea e di amici quali Marco Agrippa prima e dopo la morte di Ottaviano Augusto avvenuta nel 14 d.C.; il tumulo, venne chiamato Mausoleo di Augusto e fu il più grande del genere mai costruito, con i suoi complessivi 87 metri di diametro e i 5 muri concentrici (Mole Adriana a parte); dopo la morte di Augusto tale usanza declinò rapidamente nel breve volgere di qualche decennio fino a scomparire quasi del tutto intorno al 50 d.C..
L’Imperatore Adriano ne riprese la tradizione nel 135 d.C. con la sua colossale e magnifica Mole Adriana meglio nota come Castel Sant’angelo che venne terminata nel 139 e accolse le spoglie degli Imperatori ininterrottamente fino a Caracalla nel 217 d.C..
Pochi anni dopo che la Mole Adriana cessò di essere utilizzata venne ancora realizzato per il giovane Imperatore Alessandro Severo morto nel 235 d.C. il tumulo del Monte del Grano, se pure tale attribuzione è stata a lungo messa in dubbio; non vi fu ulteriore seguito in tale tipologia.

Il tumulo rappresentava per i nobili e gli aristocratici romani una strumento di autocelebrazione e autodivinizzazione, tanto più se si pensa che il monumento funebre veniva normalmente realizzato molto prima della morte del committente; volevano con esso ricollegarsi direttamente alle sepolture degli eroi mitici quali Enea e rappresentarne quindi la continuazione nel mito.


Il manufatto consisteva di un basso tamburo circolare in opera cementizia rivestito di marmo o travertino o anche in pietra; al centro dell’area circolare creata dal tamburo veniva realizzata la cella di ingresso al sepolcro normalmente della stessa altezza del muro esterno; lo spazio tra la cella e il muro circolare esterno veniva completamente riempito di terra, che ai bordi della parete circolare arrivava fino alla cima del muro mentre al centro il terrapieno andava a salire di livello, costituendo così una sorta di cono; una galleria con copertura a volta congiungeva l’ingresso della cella all’ingresso esterno (dromos); all’interno del muro circolare si cominciarono a costruire mura interne curvilinee raccordate tra loro e di raccordo col tamburo esterno secondo vari modi geometrici allo scopo di alleggerire il carico del terrapieno sulle mura esterne, ripartendo sulle mura interne una buona parte dello sforzo esercitato dalla pressione del terreno; sopra la camera mortuaria poteva essere posta una colonna che fuoriusciva dal tumulo e sopra questa la canonica statua del defunto orientata verso la strada che normalmente lo ritraeva in abiti ufficiali; altrimenti sul terreno del tumulo si poteva far crescere un piccolo boschetto, solitamente di cipressi o comunque di piante sempre verdi.

Nei dintorni di Roma esistono una trentina di tumuli, disposti sulle principali vie consolari, tutti, eccetto due, databili tra la metà I secolo a.C. e la fine del I secolo d.C.; non ne esistono due che presentino esattamente la stessa tipologia costruttiva; generalmente i più antichi non sono rialzati dal podio, hanno solitamente un muro più basso, anche di soli due o tre metri, e il rapporto tra diametro e altezza del muro è normalmente di 3 a 1; col passare degli anni i tumuli andarono crescendo in altezza, utilizzando anche un podio a pianta quadrata per alzarli dal suolo; il diametro del tamburo andava da 30 piedi fino a 100 piedi romani e oltre ( 1 piede = 29,6 centimetri ); il rapporto diametro - altezza era di circa 2 a 1 e l’altezza poteva arrivare a 18 metri; la cella centrale veniva attrezzata con una o più nicchie dove deporre le ceneri del morto; il Mausoleo di Augusto rappresenta l’apice di questa tipologia di tombe; è alto 12 metri e largo 30, ma poggia su un ulteriore terrapieno utilizzato come podio di 89 metri di diametro e 30 metri di altezza.

 

Alcune Tombe a Tumulo di Roma:
  • Il Mausoleo di Augusto a Piazza Augusto Imperatore (32 - 28 a.C.)

    Giovan Battista Piranesi
    Tomo II Tav LXI - pianta del Mausoleo
    Tomo II Tav LXII - spaccato del Mausoleo
    Tomo II Tav LXIII - vista del Mausoleo e reperti vari
  • La mole Adriana meglio nota come Castel Sant’Angelo (135 d.C.)
    senza tumulo di terra, unico esempio di tale tipologia funeraria nel II secolo d.C..
  • Torrione Prenestino al II miglio della omonima via (15 a.C.)
  • Mausoleo di Cecilia Metella sulla via Appia Antica, 161 (circa 30 - 20 a.C.)
    in cui il tumulo era quasi simbolico
    [visite - intero € 2.00]
    Giovan Battsita Piranesi Tomo III tav XLIX LIV
  • Tumuli degli Orazi e Curiazi al V miglio dell’Appia Antica (seconda metà I secolo a.C.)
    I 2 tumuli degli Orazi e quello dei Curiazi sono riferiti al noto evento leggendario che decise la guerra tra Roma ed Albalonga (che sorgeva nei pressi di Albano Laziale) ai tempi del terzo Re di Roma Tullo Ostilio e di cui parla Tito Livio in Ab Urbe Condita I, 24 (i preparativi) - Ab Urbe Condita I, 25 (il duello); Livio scrive che si costruirono 5 tumuli esattamente nei luoghi ove caddero cinque dei sei protagonisti (il sesto sopravvisse e decretò la vittoria di Roma): i due degli Orazi verso Alba, dove ebbe inizio lo scontro, e i tre dei Curiazi verso Roma e distanziati tra loro; in effetti oggi c’è un solo tumulo dei Curiazi a poco meno di trecento metri dai due degli Orazi.
    Vista la tipologia realizzativa e l’utilizzo di peperino e travertino si ritiene che questi tumuli siano dei cenotafi, ossia delle tombe rimaste vuote, simbolicamente costruite in epoca augustea con intento celebrativo e di esaltazione della tradizione romana arcaica, secondo quella che era la politica culturale seguita da Ottaviano Augusto e a questo stesso periodo risalgono del resto gli scritti di Livio.
    Si nota che la via Appia esattamente tra il tumulo dei Curiazi ed il Mausoleo Rotondo, posto 150 metri più verso Roma, presenta una deviazione disegnando una gobba e discostandosi dall’asse rettilineo di circa 10 metri, probabilmente a rispetto di un antico luogo sacro.
  • Monte del Grano al Quadraro sulla Tuscolana
    Fu il luogo di sepoltura dell’Imperatore Alessandro Severo (ucciso dai suoi soldati nel 235 d.C.); è l’unico esempio di tumulo costruito nel III secolo d.C..

    Giovan Battista Piranesi
    Tomo II tav XXXI - Pianta e vista del tumulo di Alessandro Severo
    Tomo II tav XXXII - Spaccato del sepolcro
    Tomo II tav XXXIII - Sarcofago di Alessandro Severo e della madre Giulia Mamea
    Tomo II tav XXXIV - Lato posteriore incompleto del sarcofago
    Tomo II tav XXXV - viste laterali e sezioni del sarcofago
  • Mausoleo di Lucilio Peto in via Salaria, 125 (fine del I secolo a.C.)
    Scoperto nel Maggio 1886 durante la risistemazione dell’ex Vigna Bertone.
    [Non Visitabile - richiesta informazioni alla soprintendenza].

    Mausoleo di Lucilio PetoAlta Risoluzione

    Mausoleo di Lucilio Peto.
    Il tamburo, lievemente annerito, è interamente in opera quadrata di travertino; sulla destra si nota che i blocchi sono addossati ad una robusta opera cementizia in scaglie di tufo e travertini che sorregge il tumulo.

    Venne realizzato con un tamburo circolare di 33,5 metri di diametro rivestito in travertino; è sormontato da un cono di terra, forse l’originale tumulo, che doveva essere ricoperto da alberi e che doveva arrivare a 16 metri quando era intatto; il pavimento originario del mausoleo stimo sia almeno 10 metri più basso dell’attuale piano stradale; Lanciani ipotizza che venne sepolto in epoca imperiale con la terra proveniente dagli sbancamenti per la realizzazione dei mercati Traianei; l’ingresso alla camera era posto sul lato opposto alla strada mentre verso la Salaria era rivolta la targa in marmo della lunghezza di 5 metri.

    L’epigrafe recita (CIL VI.32932):

    «V(ivus) (fecit) M(arcus) LUCILIUS M(arci) F(ilius) SCA(ptia) (tribu) PAETUS
    TRIB(unus) MILIT(um) PRAEF(ectus) FABR(ium) PRAEF(ectus) EQUIT(um)
    LUCILIA M(arci) F(ilia) POLLA SOROR»


    “Da vivo (realizzò il monumento per sé e per la sorella).
    Marco Lucilio Peto, figlio di Marco, della Tribù Scaptia,
    Tribuno militare, Prefetto dei fabbri, Prefetto della cavalleria.
    Lucilia Polla, figlia di Marco, sorella.”


    Iscrizione del mausoleo di Lucilio PetoAlta Risoluzione

    Epigrafe funeraria del Mausoleo di Lucilio Peto, posta sul lato di via Salaria.
    Belli i caratteri utilizzati, "in lettere della più squisita forma che si possa trovare in Roma", secondo il Lanciani; l’iscrizione è realizzata su un riquadro in lastre di marmo alto quasi quanto il tamburo e contornato da un kyma lesbio.
    Una buona parte della targa rimase vuota, cosa che fà supporre che fossero previsti ulteriori ospiti.

    Al monumento si addossarono negli anni numerosi colombari distrutti a fine secolo XIX ed esso stesso venne riutilizzato come catacomba nel IV secolo.
  • Casal Rotondo (seconda metà del I secolo a.C. - al VI miglio della via Appia Antica)
  • Sepolcro di Priscilla (via Appia - fine I secolo d.C.)
    Un esempio tardo di tumulo.
  • Sepolcro di Largo Talamo (via Collatina - prima metà I sec. d.C.)
    Venne rinvenuto nel 1935 durante la costruzione di San Lorenzo all’angolo tra viale San Lorenzo e via dei Sardi, lungo l’antica via Collatina, via che seguiva il tracciato del vicolo di Malabarba; a ridosso del monumento nei secoli furono realizzati numerosi colombari; ancora dopo tutto venne coperto da un edificio successivamente abbattuto per realizzare il nuovo quartiere; dopo la scoperta venne smontato e ricostruito in largo Eduardo Talamo.
    Nel seguito riassumo più o meno quanto scritto sul tabellone illustrativo posto dalla Soprintendenza all’ingresso dell’area.
    La struttura era realizzata con un podio a base quadrata di 5,5 metri di lato per 2,7 metri di altezza con al di sopra un basso tamburo cilindrico; podio e tamburo erano realizzati con un nucleo di opera cementizia interamente rivestita da opera quadrata di travertino; l’ingresso era rivolto a sud ed il lato principale ad ovest; su quest’ultimo era posta una panchina in travertino con sostegni a zampa di leone e l’iscrizione con indicate le misure della tomba:
    In Fr(onte) P(edes) XXXII
    In Agr(o) P(edes) XX.

    Dal lato dell’ingresso era il vestibolo, un vano di XII piedi di larghezza, successivamente riutilizzato come colombario di cui non resta traccia.
    All’interno del sepolcro era una cella circolare con parete in opera reticolata, quattro nicchie ricavate in corrispondenza dei 4 angoli del podio e un sedile in travertino addossato alla parete circolare; tra le nicchie erano disposti 4 pilastri in travertino che sorreggevano un qualche tipo di volta.
    La tomba originaria risale alla prima metà del I secolo d.C.; nelle nicchie si trovarono alcune urne e uno scheletro; il sepolcro venne riutilizzato secoli dopo per due sarcofagi in terracotta rivestiti di intonaco e marmo; relativamente ai due sarcofagi furono trovati bolli laterizi risalenti al 180-212 d.C..
    L’intera cella e il sedile erano rivestiti con intonaco rosso con fasce più scure agli angoli e decorazioni di rombi e festoni floreali alternati alle nicchie e ai pilastri; questi ultimi erano intonacati in bianco con fasce scure agli spigoli.
    Al di sopra, sempre all’altezza delle nicchie, era un fregio su sfondo bianco di quadratini con un punto al centro e una zona bianca ornata di foglie e fiori; le pitture sopra le nicchie erano già semidistrutte al momento della scoperta.
    Al centro della stanza è un pozzo circolare con copertura in travertino per il drenaggio dell’acqua piovana.
    Si è conservato l’intero rivestimento in travertino del podio mentre del tamburo sono stati trovati due frammenti della cornice di base e del fregio posto in cima; non è stato ritrovato il pavimento; in conseguenza del trasloco gli intonaci con gli affreschi sono andati tutti completamente distrutti come pure il nucleo cementizio e l’opera reticolata dell’interno; nella ricostruzione del 1935 venne ripristinata la sola opera quadrata del podio; il tamburo in cemento credo sia stato realizzato in epoca contemporanea.
    Nei lavori di sterro furono trovati numerosi reperti: una piccola ara, una statuetta femminile in marmo, il bronzetto di un pigmeo nell’atto di scagliare un giavellotto, due lucerne, monete, anelli; dove siano ora non viene indicato.

    Visitabile su prenotazione solo da gruppi organizzati (in associazioni?) - tel. 060608.
    Sepolcro di Largo Talamo

    Sepolcro ricostruito in Largo Talamo a Borgo San Lorenzo

  • Mausoleo di Tor di Quinto (Via Flaminia - I secolo d.C.)
    Il sepolcro era situato lungo la via Flaminia e consisteva in due tamburi gemelli su di un unico basamento parallelepipedo, con podio e tamburi interamente ricoperti di marmo.
    Dell’originale monumento, situato nella proprietà del distaccamento dei Carabinieri a Cavallo a Tor di Quinto si conserva parte del nucleo cementizio; nel 1875 venne in parte recuperato il rivestimento marmoreo e il monumento venne ricomposto ad opera dell’archeologo Giacomo Boni lungo l’attuale via Nomentana, ricostruendo interamente il podio con uno solo dei due tamburi, su cui vennero inseriti i rivestimenti recuperati.
    Il podio ricostruito sulla Nomentana ha una forma cubica di circa 5 metri di lato ed il tamburo è alto circa 5 metri.
    Mausoleo di Tor di QuintoAlta Risoluzione

    Mausoleo di Tor di Quinto ricostruito sulla via Nomentana.
    Il rivestimento di marmo con i fregi e i cippi di coronamento sono gli originali mentre i mattoni del tamburo e del basamento sono stati inseriti nella ricostruzione; anche i blocchi di tufo penso siano stati realizzati a fine '800 e nello stile bugnato imitano le scalpellature dei massi di opera quadrata realizzati dagli scalpellini romani antichi; originariamente l’intero podio doveva essere in opera cementizia rivestita di marmo con una o più camere ricavate all’interno e sosteneva due tamburi gemini.

  • Mausoleo La Celsa (via Flaminia)
    Si trova in località Labaro, a meno di duecento metri dalla Stazione La Celsa.
    Si compone di una grande struttura circolare poggiata su un podio a pianta quadrata, situata sul lato sinistra della Flaminia sopra un alto costone tufaceo; la struttura in cementizio è piuttosto integra e doveva essere ricoperta in travertino.
    Nei pressi si trova anche un’ampia necropoli rupestre.
  • Mausoleo della Casa Tonda (sulla via Labicana - non più esistente)
    All’interno dei giardini di piazza Vittorio, nei pressi dell’angolo orientale, erano dei ruderi abbattuti tra molte polemiche quando, in epoca umbertina, fu realizzata la piazza; del mausoleo rimasero nel sottosuolo le sole fondamenta, indagate durante la costruzione della metro A; non credo sia rimasto qualcosa in loco.
    In questi luoghi Mecenate fece costruire la propria tomba, e taluni la fanno corrispondere al mausoleo della Casa Tonda.

    Scrive Svetonio a proposito della tomba di Orazio:

    Suetonius, Vita Horati:

    Humatus et conditus est extremis Esquiliis iuxta Maecenatis tumulum.

    [Orazio] è stato inumato e preservato alla memoria nella parte estrema delle Esquiliae accanto al tumulo di Mecenate.

    Non è immediato definire le Esquiliae (vedi: Samuel Ball Platner & Thomas Ashby - A Topographical Dictionary of Ancient Rome, 1929 - Esquiliae); in epoca repubblicana erano riferite ai colli Oppio e Cispio, due delle tre alture dell’Esquilino, e si estendevano all’interno dell’urbe fino alle mura serviane; solo gli scrittori greci citano il Mons Esquilinis ed una sola volta lo cita Cicerone in De Re Publica II.11; è a partire dal II secolo d.C. che il termine diviene d’uso comune; i classici, quali Plinio, Livio, Svetonio, Tacito, Marziale, utilizzano sempre il termine Esquiliae.
    In epoca Augustea le Esquiliae erano la V regio e coprivano una ampia area che si estendeva tra le mura Serviane e, in prima approssimazione, le mura Aureliane (che ancora non esistevano), dal Castro Pretorio fino alla Porta Asinaria; allora la Casa Tonda appare nella parte estrema delle Esquiliae, non verso l’esterno ma verso l’Urbe, al confine della V regio con Isis Et Serapis; l’attribuzione del tumulo a Mecenate, basandosi unicamente su quanto riferito da Svetonio, mi pare quindi dubbio.

I tumuli costruiti successivamente a quello di Augusto furono via via più ridotti nelle dimensioni e cambiarono le loro proporzioni: il tamburo esterno divenne sempre più ridotto nel diametro crescendo al contempo in altezza ed il diametro della camera sepolcrale venne quasi a coincidere col diametro del muro esterno; il terrapieno divenne una presenza simbolica sopra al tamburo o scomparve del tutto e si svilupparano gli abbellimenti architettonici e le decorazioni.
Furono costruiti in particolare nell’Italia centrale fino in Campania e in parte dell’Italia settentrionale; mai all’estremo sud d’Italia o nelle isole; i tumuli risalenti al periodo dal 60 a.C. fino al 50 d.C. (ultima era Repubblicana e tutto il periodo di Augusto e della dinastia Giulio Claudia) realizzati fuori dell’italia sono dei casi rarissimi; invece dopo che in Italia ne scomparve l’uso, durante la fine del I secolo e nel II secolo d.C. tale struttura funeraria prese ad essere utilizzata fuori Italia, in Oriente ed in Occidente; si trattava comunque di manufatti sempre piuttosto ridotti nelle dimensioni se confrontati a quelli da 100 piedi di diametro (circa 30 metri) che sono a Roma.


La piramide

I romani erano soliti assimilare usi e costumi delle popolazioni conquistate e quindi appare naturale che qualcuno pensò di costruirsi una tomba nello stile dei faraoni egizi; la famosa piramide Cestia non fu l’unico monumento funebre con tale tipologia costruito a Roma, ma è il solo rimasto.
Le piramidi romane erano molto più affusolate di quelle egizie (cioè l’angolo del vertice era più acuto); del resto la tecnologia costruttiva era totalmente differente.

Piramidi di Roma:
  • Piramide Cestia (Piazzale Ostiense - tra 18 e 12 a.C.)
    Primo piano della piramide Cestia in piazzale Ostiense, Roma

    Piramide Cestia

    La piramide è alta 27 metri con base quadrata di lato 20 metri, realizzata con un unico blocco di opera cementizia interamente ricoperta di marmo bianco lunense e posta su una fondazione di travertino.
    All’interno si trova una sola piccola camera sepolcrale con lati 590 X 410 centimetri e con copertura a volta per un’altezza di 480 centimetri; l’ingresso fu murato immediatamente dopo la deposizione del defunto; le pareti e la volta sono interamente intonacate ed affrescate con raffigurazioni di candelabri, vasi, vittorie alate e linee che creano riquadrature e scompartimenti.

    L’iscrizione riportata sul lato a levante verso la via Ostiense e sul lato opposto a ponente è:

    «C(aius) Cestius L(uci) F(ilius) Pob(lilia) Epulo Pr(aetor) Tr(ibunus) Pl(ebis)
    VII Vir Epulonum»


    “Gaio Cestio Epulone, figlio di Lucio, della tribù Poblilia, Pretore, Tribuno della Plebe,
    septemviro degli Epuloni”


    Era cioè uno dei sette Epuloni; gli Epulones costituivano una delle 4 grandi corporazioni religiose di Roma e si occupavano dell’organizzazione di feste solenni, giochi e banchetti pubblici.
    Era forse lo stesso pretore citato da Cicerone nelle Filippiche III.26.

    Dal lato ad oriente in basso e più in piccolo si legge anche (CIL VI 1374):

    «Opus Absolutum Ex Testamento Diebus CCCXXX
    Arbitratu
    [L(ucii)] Ponti P(ublii) F(ilii) Cla(udia tribu) Melae Heredis et Pothi L(iberti)»


    “Opera completata come da testamento in 330 giorni
    per disposizione
    di Lucio Ponzio Mela, figlio di Publio, della tribù Claudia, erede, e di Potho, liberto”


    Si osservi che il nome del liberto, Pothus, già di per sé particolare, è posto in modo inususale: normalmente un liberto utilizzava nelle iscrizioni il suo nome da schiavo preceduto dal praenomen e dal nomen del patronus che lo rese libero e questo lo differenziava dallo schiavo che aveva invece un solo nome; il nome da schiavo poteva essere un richiamo alla regione di provenienza, oppure un riferimento ad una sua specifica attitudine o funzione; Pothus è nome di origine greca e significa letteralmente "ardente desiderio"; era questo il nome di uno dei tre Erotes, gli dei alati dell’amore definiti nella mitologia classica (Himeros, Heros e Pothos); il nome del liberto nell’epigrafe è associato a quello di Lucius Pontius ad indicare una sorta di consuetudine domestica, e si potrebbe pensare che il suo nome completo fosse quindi Lucius Pontius Pothus, reso libero da Lucio Ponzio solo dopo la morte di Gaio Cestio, in quanto solo il pater familias poteva rendere libero uno schiavo, anche se posseduto dal figlio; il nome fu allora indicato in questa semplice forma per discrezione; è improbabile che il soggetto dell’ardente desiderio si riferisse a Gaio Cestio, in quanto in tal caso difficilmente il figlio ne avrebbe riportato il nome nell’iscrizione evidenziando in tal modo a tutti (e per molti anni a venire) un aspetto non del tutto "guerresco" del genitore almeno secondo lo stereotipato ideale dell’uomo virile e coraggioso predominante ieri come oggi (osservazione estrapolata da: Sir Thomas Browne, Hydriotaphia (1658) ).


    È anche presente una iscrizione sui due lati a levante e ponente relativa al restauro fatto eseguire dal Papa Alessandro VII:

    «Instauratum An. Dom. MDCLXIII»

    “Restaurato nell’anno del Signore 1663”


    Nel 1660 (1662?) furono trovati nei pressi del monumento due cippi oggi conservati ai musei Capitolini (il livello del terreno in epoca romana era di alcuni metri più basso e quindi al tempo del ritrovamento tutto il basamento era interrato); al momento della scoperta dei basamenti si rinvenne il piede in bronzo di una statua poi trafugato e quindi i cippi sostenevano due statue in bronzo (dorato?); su entrambi i basamenti è riportata una iscrizione con informazioni sui corredi funerari [CIL. VI 1375 = ILS 0915a ]:

    M(arcus) Valerius Messalla Corvinus,
    P(ublius) Rutilius Lupus, L(ucius) Iunius Silanus,
    L(ucius) Pontius Mela, D(ecimus) Marius
    Niger, heredes C(ai) Cesti, et
    L(ucius) Cestius, quae ex parte ad
    eum fratris hereditas,
    M(arci) Agrippae munere, per
    venit, ex ea pecunia, quam
    pro suis partibus receper(unt)
    ex venditione Attalicor(um),
    quae eis per edictum
    aedilis in sepulcrum
    C(ai) Cesti ex testamento
    eius inferre non licuit.


    Marco Valerio Messalla Corvino,
    Publio Rutilio Lupo, Lucio Iulio Silano,
    Lucio Ponzio Mela, Decimo Mario Nero,
    eredi di Caio Cestio,
    e Lucio Cestio, a cui pervenne una
    parte dell’eredità del fratello,
    per amichevole concessione di Marco Agrippa,
    (fecero realizzare queste statue)
    da quel denaro che,
    ognuno per la sua parte, ricevettero
    dalla vendita degli Attalica,
    che a causa dell’editto
    edile non fu consentito
    porre nel sepolcro di Cestio
    in ottemperanza al suo testamento.


    Gli Attalica erano dei preziosi arazzi intesssuti in oro [Cic. Verr. 2.4.27; Plin. N.H. 8.74] che devono il nome al re di Pergamo Attalo I.
    L’epigrafe ci consente di datare la realizzazione della piramide a dopo il 18 a.C., anno in cui Augusto promulgò la legge contro la pubblica ostentazione del lusso genericamente indicata come lex sumptuaria; tale legge costrinse gli eredi a vendere gli arazzi e a realizzare poi con i proventi della vendita le due statue; la stessa epigrafe ci dice anche che il monumento fu realizzato prima del 12 a.C., anno in cui morì Agrippa, che, essendo citato nella iscrizione, era ancora vivo.
    piramide Cestia fotografia del 1870

    James Anderson - 1870 - Piramide Cestia e porta San Paolo ancora unite dalle mura.
    [wikipedia] Alcune foto e disegni d’epoca della piramide Cestia

    affresco di una nike sulla volta della camera sepolcrale della piramide Cestia

    Una delle 4 Vittorie alate (nike) affrescate sulla volta della camera con serto di alloro in una mano e un monile nell’altra.
    [wikipedia] alcune foto degli interni della piramide Cestia

    Giovan Battista Piranesi Tomo III Tav da XL a XLVIII
  • Meta Romuli (all’incrocio tra Cornelia e Triumphalis ad est della seconda via).
    Era posizionata tra Basilica di San Pietro e Castel Sant’Angelo, in prossimità di quest’ultimo, dove era Borgo Nuovo, la via che costituiva uno dei due lati della spina distrutta nel 1937 per realizzare via della Conciliazione; precisamente era situata all’incrocio tra via dei Tre Pupazzi e via della Conciliazione, in parte dove ora sorge la attuale chiesa di Santa Maria del Carmelo in Traspontina, terminata di costruire nella attuale posizione nel 1587.

    Chiamata popolarmente Piramide di Borgo e descritta come più grande della piramide Cestia e di grande bellezza, Ruccellai e Pietro Mallio la descrivono alta 40 metri, interamente ricoperta di marmo e circondata da una pavimentazione larga 20 piedi di lastroni di travertino dotata di un canale di scolo; papa Dono o Domno (Donnus I) nel 675 ne utilizzò i rivestimenti per realizzate il pavimento del Paradiso e i gradini di San Pietro (della basilica Costantiniana); il Paradiso era un portico posizionato dinanzi alla prima basilica; quando Alessandro VI nel 1495 fece realizzare Borgo Nuovo il terreno fu livellato ed il nucleo cementizio della piramide abbattuto.
    Quindi nel medioevo la piramide era già spoglia del rivestimento e ne rimaneva il solo nucleo cementizio; questo si deduce dalla traduzione del Mirabilia, la guida di Roma di epoca medioevale, ed anche da quanto scritto in Platner & Asbhy, linkato più in basso.

    Mirabilia urbis Romae XX. De meta et de tiburtino Neronis.
    In Naumachia est sepulcrum Romuli, quod vocatur Meta, que fuit de miro lapide tabulata, ex quibus factum est pavimentum paradisi et graduum sancti Petri. Habuit circa se plateam tiburtinam XX pedum cum cloaca et florali suo. [...]


    Mirabilia Urbis Romae XX. La meta e il Terebinto di Nerone.
    Nella Naumachia stà il sepolcro di Romolo, chiamato Meta, che era interamente ricoperto di marmo, col quale fu realizzato il pavimento del Paradiso e i gradini di San Pietro.
    Aveva intorno a sé una pavimentazione in pietra tiburtina (travertino) ampia 20 piedi e provvista di una propria cloaca (di scolo delle acque piovane) e fioriera. [...]

    Rappresentata da numerosi artisti in epoca medioevale e rinascimentale, negli esempi che ho rintracciato è disegnata con base esagonale tra XIII e XIV secolo e con base quadrata nel XV e XVI secolo. Tutti la dipinsero ricoperta di marmi, ma evidentemente è una libera interpretazione degli artisti che rappresentavano la crocifissione di Pietro rielaborando il monumento ormai ridotto a rudere; questo spiega anche le differenze riscontrabili nelle varie rappresentazioni.

    Le due piramidi sono rappresentate nell’affresco della Crocifissione di Pietro del Cimabue (1280-1283) conservato nella chiesa superiore di San Francesco ad Assisi.

    Nella tempera su legno della crocifissione di Pietro raffigurata da Giotto intorno al 1330 nel pannello sinistro posteriore del Trittico Stefaneschi conservato alla Pinacoteca Vaticana è rappresentata sulla sinistra la piramide Cestia e sulla destra la Meta Romuli.

    Anche raffigurate nella Crocifissione di S. Pietro del Masaccio (1426) lavoro a tempera commissionato da Messer Giuliano di Colino degli Scarsi da San Giusto per una cappella in Santa Maria del Carmine a Pisa e conservato al Berlin Staatliche Museen.

    È rappresentata nel pannello in bronzo del Martirio di San Pietro di Antonio Averulino "Filarete" realizzato tra il 1433 ed il 1445 e situato nel portone centrale in bronzo della basilica di San Pietro; in basso a sinistra è la piramide Cestia e a destra la Meta Romuli.

    La meta è anche ritratta nel ciborio di Sisto IV, situato in San Pietro, presso un' ottagono degli archivi vaticani, non accessibile al pubblico.

    La sola Meta Romuli è anche presente nell’affresco della visione di Costantino prodotto dalla scuola di Raffaello nel 1520-1524.
    la Meta Romuli in un dettaglio della Visione della Croce

    Dettaglio della visione della Croce, affresco realizzato su un disegno di Raffaello tra il 1520 ed il 1524, dopo la prematura scomparsa del maestro avvenuta nel 1520, dai suoi allievi Giulio Romano, Giovanni Francesco Penni e Raffaellino del Colle e situato nella Sala di Costantino del Palazzo Apostolico al Vaticano.
    L’affresco rappresenta Costantino prima della battaglia di Ponte Milvio nel 312, quando l’Imperatore ebbe la visione della Croce ed in conseguenza decise di adottare il simbolo del Chi Rho nel suo vessillo ed il motto "in hoc signo vinces"; nella battaglia sconfisse Massenzio e l’anno dopo con l’Editto di Milano decretò la fine delle persecuzioni contro i Cristiani.
    Nel dettaglio sullo sfondo si vede un paesaggio di Roma: il Tevere ed alcuni monumenti pagani; sulla sinistra è raffigurata la Meta Romuli ed a fianco dovrebbe essere il Mausoleo di Adriano; dall’altro lato del fiume il monumento che si scorge credo sia il Mausoleo di Augusto ed il monte è probabilmente quello del Pincio.


Il Mausoleo (Mausoleum)

Il nome deriva da Mausolo, un re dell’Asia Minore che si fece costruire nel IV sec. a.C. un grande monumento funebre al centro della città di Alicarnasso sulle coste del mar Egeo; secondo tale definizione quindi il mausoleo è un edificio funerario caratterizzato dall’aspetto particolarmente imponente.
In modo più stringente per mausoleo romano si può tuttavia intendere una struttura caratterizzata da una pianta circolare; nella Roma classica gli edifici sacri e funerari a pianta centrale vengono idealmente a rappresentare la continuazione delle culture e tradizioni arcaiche, ricollegandosi ai tumuli terragni etruschi, o al così detto Heroon di Enea posizionato nei pressi di Lavinium (Pratica di Mare) e risalente al VII sec. a.C., e da questi ai tholos micenei (da ricordare il grandioso tumulo di Atreo, in Grecia, risalente al XIII sec. a.C.).

Si possono individuare numerose tipologie di mausoleo romano:
  • un semplice tamburo a pianta circolare, quali i primi tumuli del I secolo a.C. o anche strutture in laterizio
  • un tamburo posto su di un podio parallelepipedo (tumuli ed edifici laterizi)
  • più tamburi sovrapposti e di diametro decrescente
  • una delle tipologie precedenti a cui viene collegato un pronao rettangolare (per esempio sullo stile del Pantheon)
  • una delle tipologie precedenti con ulteriore recinzione funeraria a pianta quadrata

Il materiale utilizzato poteva essere opera cementizia ricoperta di marmo o travertino od opera laterizia; tali edifici erano ovviamente un lusso riservato a pochi romani per sé e per la propria famiglia.
A volte si chiamano mausolei anche sepolcri relativamente piccoli ma sempre caratterizzati dalla presenza di una struttura circolare, secondo quella che mi pare essere la scelta adottata nella denominazione di alcuni edifici funerari ancora esistenti a Roma; la tomba di Macrino, scoperta recentemente, seppure talvolta viene denominata mausoleo, è una tomba monumentale della tipologia a tempio a pianta rettangolare).

Alcuni Mausolei di Roma:
  • Le Tombe a Tumulo
  • I Mausolei rotondi cristiani del IV secolo in opera laterizia
  • Mausolei rotondi in opera laterizia o listata di epoca imperiale
    • Mausoleo c.d. di Menenio Agrippa (via Nomentana, epoca imperiale presumibilmente III o IV secolo)
      Appena oltre il ponte Nomentano sull’Aniene, (il ponte Vecchio) sulla sinistra dell’antico tracciato della Nomentana, all’interno del parco pubblico "Gaio Sicinio Belluto", si trova un sepolcro relativamente piccolo di cui resta la sola opera cementizia in scaglie di tufo ed alcuni resti del rivestimento in opera laterizia in prossimità dell’ingresso.
      Nelle forme si compone di un basamento parallelepipedo su cui poggia un alto corpo cilindrico coperto da una volta a cupola in cui sono innestate delle anfore al fine di alleggerire la struttura; il terreno presenta una ripida discesa sulla strada per cui il basamento è visibile solo dal lato della strada, mentre dal lato opposto, all’interno del giardino pubblico, il terreno arriva all’altezza del tamburo; l’ingresso dotato di un’ampia arcata era posto sul retro rispetto alla strada e dava sul piano superiore della struttura; in epoca moderna è stato murato lasciando l’interno inaccessibile; esternamente sono state realizzate delle costole di sostegno della struttura antica.
      In epoca medioevale fu utilizzato come base per una torre di cui non resta oggi traccia.
      Mausoleo di Menenio Agrippa

      Il tamburo con copertura a cupola del Mausoleo così detto di Menenio Agrippa visto dal lato dell’ingresso

    • Mausoleo di Romolo sull’Appia Antica con recinzione funeraria e pronao.
      Venne eretto nel 307 d.C. da Massenzio per il figlio Romolo prematuramente scomparso; si compone di una vasta area quadrata chiusa da una serie di mura in opera listata (quadriportico) abbastanza conservate con al centro una costruzione rotonda in opera listata su due livelli con copertura a cupola e pronao; dell’edificio rimane solo la parte inferiore, che guardando dalla strada rimane nascosta alla vista dal casale dei Torlonia costruito a ridosso.
  • La Colonna Traiana (una estremizzazione del tumulo)
    Marco Ulpio Nerva Traiano, imperatore di Roma dal 98 al 117 d.C. fece realizzare il Foro Traiano in cui venne collocata la colonna che prende il suo nome.
    Blocchi cilindrici di marmo lunense con diametro di quasi 4 metri realizzano una colonna alta quasi 30 metri (e arriva a circa 40 metri aggiungendo l’alto basamento e la statua dell’Imperatore posta alla sommità e sostituita nel medioevo da quella di S.Pietro).
    Venne realizzata per celebrare l’Imperatore Traiano e, scolpite su un fregio spiraliforme (primo esempio di tale tecnica nell’arte romana), le sue gesta contro i Daci; aveva inoltre la funzione di indicare simbolicamente l’altezza dell’altura che collegava Quirinale e Campidoglio sbancata per far posto al Foro di Traiano, mostrando così quale gran lavoro si dovette eseguire; all’interno è scavata una scala a chiocciola e nel piedistallo una camera da cui parte la scala e che venne utilizzata per disporvi le urne contenenti le ceneri di Traiano e della moglie Plotina; non è chiaro se tale funzione venne stabilita all’atto della costruzione o solo dopo la morte di Traiano.

    L’iscrizione sopra l’ingresso alla camera riporta:

    Senatus Populusque Romanus
    Imp(eratori) Caesari Divi Nervae F(ilio) Nervae
    Traiano Aug(usto) Ger(manico) Dacico Pontif(ici)
    Maximo Trib(unicia) Pot(estate) XVII Imp(eratori) VI Co(n)s(uli) VI P(atri) P(atriae)
    Ad declarandum Quantae Altitudinis
    Mons Et Locus Tan[tis Oper]ibus Sit Egestus


    Il Senato ed il Popolo di Roma
    all’Imperatore Cesare Nerva Traiano, figlio del Divo Nerva,
    Augusto Germanico Dacico, Pontefice Massimo,
    (detentore per la) diciassettesima volta della Potestà Tribunizia, (acclamato per la) sesta volta Imperatore, per la sesta volta console, Padre della Patria,
    a mostrare quale era l’altezza
    del colle che con grandi lavori è stato demolito


    Giovanbattista Piranesi: La colonna Traiana - Tomo 14 da Tav. III a Tav. XXI.

    La colonna TraianaAlta Risoluzione

    La colonna traiana.
    [transverse mercator projection]

  • Terebinthus Neronis, anche noto come obeliscus neronis, era un mausoleo posizionato a fianco alla Meta Romuli e descritto come più alto della Mole Adriana, di forma circolare con più tamburi sovrapposti di diametro decrescente interamente ricoperto di travertini; distrutto da papa Dono o Domno nel 675 con i suoi travertini furono completati i gradini di San Pietro (la basilica costantiniana) ed il pavimento del paradiso (il portico antistante la prima basilica di S. Pietro); è rappresentato nel martirio di San Pietro del Filarete, sul portone in bronzo sotto forma di pianta.

    Mirabilia urbis Romae XX. De meta et de tiburtino Neronis.
    [...] Circa se habuit tiburtinum Neronis tante altitudinis quantum castellum Adriani, miro lapide tabulatam, ex quibus opus graduum et paradisi peractum fuit. Quod edificium rotundum fuit duobus gironibus sicut castrum, quorum labia erant cooperta tabulis lapideis pro stillicidiis, iuxta quod fuit crucifixus beatus Petrus apostolus.


    Mirabilia Urbis Romae XX. La meta e il Terebinto di Nerone.
    [...] A fianco (della Meta) era il Terebinto di Nerone alto tanto quanto il Castello di Adriano, ricoperto di meravigliose pietre, con le quali fu terminato il lavoro dei gradini (di S.Pietro) e del Paradiso (l’antistante portico). Tale edificio era rotondo come un castello con due tamburi circolari i cui bordi erano ricoperti con tavole di pietra per raccogliere le acque piovane. Vicino a questo fu crocifisso il beato apostolo Pietro.

Sepolcro monumentale (monumentum)

Sono dei monumenti solitamente a pianta quadrata, in genere utilizzati per contenere le urne cinerarie e diffusi tanto in epoca repubblicana quanto in epoca imperiale.
Avevano dimensioni da pochi metri ad anche decine di metri e forme piuttosto varie; erano in genere costruiti realizzando un nucleo di opera cementizia rivestito di tufo e peperino in epoca repubblicana, di travertino e marmi a partire dall’epoca augustea, anche in opera laterizia successivamente; solitamente erano sprovvisti di una camera funeraria e venivano predisposti degli alloggiamenti per le urne cinerarie; alternativamente il defunto poteva essere tumulato nel terreno prima di costruirvi sopra il monumento.
Quelli caratterizzati dall’impiego di blocchi e cortine in marmo o travertino presero a diffondersi sul finire dell’età repubblicana intorno alla metà del I secolo a.C., quando tali materiali cominciarono ad essere usati nella realizzazione di edifici e templi; furono i più splendidi, con lastre di travertino e marmo lavorate e scolpite con fregi e bassorilievi ed estremamente creativi e diversificati nelle forme; successivamente presero a diffondersi monumenti in laterizio, più economici, che potevano probabilmente essere ornati da travertini e marmi.
Nel Basso Impero (IV e V secolo d.C.) le qualità artistiche e creative di tali manufatti andarono via via degradando; essendo sprovvisti di camera funeraria e venendo meno la pratica dell’incinerazione tale tipologia venne via via abbandonata.

Monumenti di epoca repubblicana

Erano realizzati in opera quadrata di tufo o di peperino.
Alcune tipologie erano:
a dado,
ad ara
ad arco

Alcune tombe monumentali repubblicane:
  • Monumento Dorico (via Appia - II-I sec. a.C.)
    della tipologia ad ara in opera quadrata di peperino e fregi in peperino
  • Sepolcro dei Festoni (via Appia - II-I sec. a.C.)
    ad ara in opera quadrata e fregi in peperino
  • Sepolcro a dado (via Casilina - epoca repubblicana)
    In piazza di porta Maggiore, all’interno delle mura e pochi metri alla destra del tracciato dell’antica Casilina, si trova una struttura che mi pare essere un interessante sepolcro romano del quale, stranamente, non ho ancora trovato nel web neanche una semplice altra testimonianza di esistenza; esternamente appare come un parallelepipedo di 2 metri di lato e 3 metri di altezza interamente in opera quadrata di peperino; presenta agli angoli delle lesene con capitelli corinzi, alla base delle modanatura lisce ed in alto un fregio dorico parzialmente conservato composto di bucrani (crani di bue), metope (le rosette) e triglifi (le tre barre verticali che si alternano alle rosette o ad altre decorazioni vegetali o figurate).
    Dal lato rivolto verso dove passava l’antica via Casilina è presente una targa in travertino estremamente rovinata in cui si scorgono alcuni caratteri latini; sempre da questo lato si nota un basamento in travertino proseguito sul retro dal peperino.
    Posteriormente si scorge un ulteriore masso in peperino collocato al di sopra del fregio, e quindi forse esisteva una qualche sopraelevazione del monumento.
    Il sepolcro attualmente si trova sul marciapiedi a bordo della trafficatissima strada che attraversa la piazza ma credo sia stato lì ricostruito, a fine ottocento - primi novecento o durante il ventennio.
    Porta Maggiore - sepolcro a dadoAlta Risoluzione

    Sepolcro a dado di epoca repubblicana a piazza di porta Maggiore

  • Sepolcro ad arco via Appia

    sepolcro ad  arcoAlta Risoluzione

    Sepolcro ad Arco
    Sepolcro definito "a torre" tra V e VI miglio della via Appia, di epoca repubblicana; la breve galleria realizzata con blocchi di arenaria in opera quadrata sopra cui inisiste l'opera cementizia del monumento, se concepita per restare esposta, come è ragionevole pensare, dal momento che è uno spazio troppo ampio per un'urna e troppo corto per un sarcofago, consente in effetti di definire il monumento come "Monumento ad arco"; l'arco simboleggia il passaggio dalla vita alla morte; era un modo per facilitare il cammino verso gli inferi del defunto; inferi che allora non erano necessariamente l'inferno; il problema per i morti era giungere nel paradiso, che sempre agli inferi si trovava, risolvendo alcune questioni come assicurarsi di avere la moneta da dare a Cheronte per attraversare il fiume; i dannati invece non riuscivano ad attraversare il fiume, ed erano condannati a vagare disperati lungo il fiume per il resto dei tempi; tutto quello che i parenti del defunto potevano fare era facilitarlo costruendogli la porta per il suo personale ingresso agli inferi.

Monumenti di epoca imperiale:

Nell’epoca di Ottaviano Augusto si presero ad utilizzare in gran quantità marmi e travertini per realizzare i monumenti funerari che assunsero le più svariate forme; non è facile definirne una categorizzazione (anche in conseguenza della scarsità dei rivestimenti monumentali sopravvissuti); erano generalmente concepiti per accogliere le urne cinerarie di uno o pochi individui.
Volendo tentare una classificazione basata sulla forma del nucleo cementizio potremmo definire le seguenti tipologie:
a pilastro,
a torre (stessa configurazione del pilastro ma di dimensioni maggiori),
a piramide,
a dado,
ad arco,
ad edicola, in cui viene realizzata la struttura architettonica di un tempietto, a base quadrata, con frontone sostenuto da colonne, o a base circolare, con colonne sormontate da una copertura a cuspide; in genere la struttura ospita una sorta di nicchia in cui è posta la statua del defunto,
• a tempio (templi quadrati o templi rotondi),
ad ara (l’ara è un altare generalmente di forma parallelepipeda usato per i sacrifici o per altri doni agli dei).

Sui monumenti potevano essere scolpite fantasiose rappresentazioni che ricordassero la figura e le attitudini del committente, quali il sepolcro di Eurisace di fronte a Porta Maggiore, che, pensato spoglio dei suoi rivestimenti, potremmo genericamente definire del tipo a dado.

Un elemento che a volte si riscontra in diverse tipologie è quello della rappresentazione di una falsa porta, che simboleggia il punto di passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti; poteva essere una rappresentazione in miniatura come nelle stele a falsa porta o una rappresentazione in grandezza naturale ricavata nella facciata del monumento o anche il monumento poteva esso stesso rappresentare complessivamente una o più porte.

Questi monumenti erano numerosissimi ma purtroppo praticamente tutti vennero spogliati delle coperture marmoree solitamente per la produzione di calce; il marmo era assai ricercato per tale scopo già durante il basso impero romano nel IV secolo, al punto che gli Imperatori stabilirono la pena di morte per tale crimine ma il fenomeno del furto di marmo e bronzo dalle tombe rimase talmente diffuso che nel 349 l’Imperatore Costante dovette sostituire la pena capitale con una pesante multa visto l’eccessivo numero di condannati; successivamente nel corso del medioevo e del rinascimento tutti i monumenti visibili vennero depredati.
Quindi solitamente possiamo osservare il solo nucleo in calcestruzzo romano che sosteneva i rivestimenti; con la loro copertura marmorea se ne sono salvati pochissimi grazie a fortunate coincidenze, quali ad esempio il rimanere sepolti dal terreno o protetti da costruzioni medioevali che li usarono come fondamenta o inglobati in parti delle mura Aureliano-Onoriane realizzate nel III-V secolo e andate poi distrutte in epoca moderna per qualche evento specifico (le mura vennero costruite cercando di includere le tombe onde risparmiare materiale da costruzione ed eliminare possibili posizioni di vantaggio per gli assedianti).

Sepolcro a Pilastro

Nucleo di un sepolcro a pilastro con resti di opera laterizia lungo la via Latina, nel Parco degli Acquedotti

Alcune tombe monumentali a Roma:
  • Sepolcro di Eurisace detto la "tomba del fornaio" a porta Praenestina (Porta Maggiore) (approssimativamente metà I secolo a.C.)
  • Sepolcro di Geta sulla via Appia fine II secolo d.C.
    della tipologia a torre originariamente era interamente ricoperta di marmo ma ne resta il solo nucleo cementizio.
  • Sepolcro di Cornelia (Via Salaria I secolo a.C.)
    Rinvenuto all’interno della torre ad ovest della porta Salaria quando questa venne abbattuta nel 1871, venne collocato in Corso d’Italia a ridosso delle mura Aureliane, appena dopo via Lucania.
    Si tratta del monumento funebre di una certa Cornelia, figlia di L.Scipio e moglie di Vatienus, di cui rimane parte del basamento di forma rotonda in opera cementizia rivestita con marmo e travertino, una parte del fregio raffigurante un bucranio ed una parte di scultura.

Il cippo e la stele

Si possono definire come tipologie monumentali di piccole dimensioni, generalmente economiche, ma che potevano talvolta anche essere estremamente raffinate e relativamente costose, con sculture in alto rilievo, fregi ed incisioni.
Il materiale utilizzato era principalmente tufo o peperino in epoca repubblicana, travertino o marmo a partire dal I sec. a.C..
La stele, ma anche il cippo, erano le più classiche tipologie usate nelle tombe economiche tanto per le inumazioni quanto per le incinerazioni; i resti del defunto venivano adagiati nel terreno utilizzando una tomba a fossa per le inumazioni o a pozzo per le incinerazioni; per i cippi usati nelle incinerazioni poteva anche essere realizzato un vano all’interno del cippo stesso che contenesse l’urna.
Sul blocco di pietra venivano realizzate iscrizioni, solitamente contenenti l’invocazione ai Mani, atto che rendeva il luogo sacro ed inviolabile, il nome del defunto e di chi fece realizzare la tomba ed anche abbellimenti floreali; a volte erano praticati dei fori nella pietra utilizzati dai parenti per sistemarvi dei fiori freschi.

stele è una lastra monolitica di pietra lavorata in cui può venir definito un inquadramento architettonico tramite incisioni e bassorilievi; alcune caratterizzazioni sono:
stele a falsa porta;
stele a edicola.
La lastra di pietra poteva essere disposta direttamente infissa nel terreno ma anche esposta su di una parete tenuta da grappe in una struttura funeraria più grande.
cippo è un blocco parallelepipedo o cilindrico di pietra scolpita che poteva o meno essere poggiato sopra un alto basamento; il cippo poteva essere caratterizzato secondo numerose sotto tipologie, quali:
ara (un cippo modellato a guisa di ara, simboleggiante cioé un altare sacro in miniatura);
edicola un basamento sostiene una aedicola, un tempietto in miniatura;
sarcofago un’urna adatta a contenere le ceneri a forma di sarcofago.

Alcuni cippi e stele a Roma:
  • Cippo di Q. Sulpicius Maximus (fine I secolo d.C.- via Salaria)
    Durante il cannoneggiamento delle mura del 20 Settembre 1870, che precedette l’ingresso a Roma dei bersaglieri dalla breccia di porta Pia, venne gravemente danneggiata la vicina porta Salaria; nel 1871 si decise di abbattere definitivamente la porta e venne così rinvenuto inglobato nelle fondamenta della torre cilindrica ad est della porta il monumento funebre a Quinto Sulpicio Massimo ed anche un sepolcro a camera.
    Successivamente venne costruita una nuova porta anch’essa abbattuta nel 1921 per motivi di viabilità.
    L’originale cippo è ai Musei Capitolini - Palazzo dei Conservatori e i massi della tomba a camera ed una copia del sepolcro di Sulpicio Massimo furono inseriti all’interno di un piccolo giardino a poche decine di metri dalla originale ubicazione, all’angolo tra via Piave e via Quinto Sulpicio Massimo.
    La tomba è realizzata con un alto piedistallo di travertino sormontato da un cippo di marmo alla cui sommità è un frontone con acroteri angolari; nel cippo è scolpita una statua raffigurante il giovane di 11 anni con a fianco incisa la sua opera improvvisata e al di sotto la epigrafe che ne racconta brevemente la storia in Latino e Greco; nel 92 d.C. Domiziano aprì il terzo certamen quinquennale, una sorta di campionati del mondo di ginnastica, sport equestri, musica e poesia, manifestazione che si sarebbe tenuta per tutta la durata dell’impero romano e di cui si avrebbero avute reminescenze ancora nel medioevo e nel rinascimento; tra le altre gare alcuni concorrenti in poesia greca si sfidarono in un componimento improvvisato su un tema assegnato (versus extemporales) ed il giovane Quinto Sulpicio Massimo vinse la gara, ma immediatamente dopo morì.

    Il sepolcro di Quinto Sulpicio Massimo

    Cippo funerario di Quinto Sulpicio Massimo (Quintus Sulpicius Maximus).
    Si osservi che la parte superiore del cippo, il frontone con gli acroteri, è lievemente girata mostrando chiaramente la propria funzione di coperchio dell’urna.

    il sito archeologico ove si trova il cippo di Quinto Sulpicio Massimo

    Cippo di Q. Sulpicio Massimo e cortile c.d. del Sepolcreto Salario
    Vista d’insieme del suggestivo cortile posto a ridosso delle mura Aureliane dove è stato predisposto il sepolcro funerario di Quinto Sulpicio Massimo; le costruzioni a ridosso e dentro le mura erano utilizzate dalle guardie della porta; le mura che sovrastano il sito sono le mura Aureliane viste dall’interno e gli archi individuano il camminamento coperto delle mura; in particolare in corrispondenza del secondo arco da sinistra si nota la nicchia che dal lato esterno della cinta muraria, e quindi su piazza Fiume, corrisponde ad una delle poche latrine delle mura ancora esistenti che veniva utilizzata dalle guardie; il cortile è chiuso da una recinzione con portale di ingresso in stile barocco in peperino e travertino; in primo piano sulla destra il cippo in marmo di Quintus Sulpicius Maximus, copia dell’originale, posto su una colonna realizzata con blocchi di travertino antichi (credo riutilizzati allo scopo) ed al suo fianco si scorgono i massi in peperino della parte inferiore di una tomba a camera risalente probabilmente al 70-50 a.C. ornata con lesene in marmo ed un basamento in marmo poggiato su un ulteriore zoccolo in peperino; anche questa tomba a camera fu rinvenuta nel 1871 inglobata nella torre est della porta e qui ricostruita; la porta Salaria, danneggiata nel 1870 e successivamente abbattuta si trovava appena a sinistra delle mura visibili nella foto.
    Questi due monumenti facevano parte del Sepolcreto Salario, una ampia necropoli sviluppatasi nel I sec. a.C. ed utilizzata anche nel I sec. d.C. lungo le Salaria Nova e Salaria Vetus, ovvero tra porta Salaria e porta Pinciana (porte che a quel tempo ancora non esistevano) e fino a villa Borghese; di questo fanno anche parte il mausoleo di Lucilio Peto e il sepolcro di Cornelia; durante la costruzione del quartiere nel XVIII e XIX secolo si ebbero numerosissimi ritrovamenti di iscrizioni, cippi, stele e colombari relativi a tale necropoli.

    Sul cippo funerario in latino è inciso (CIL VI.33976):

    «DEIS MANIBUS SACRUM

    Q(uinto) SULPICIO Q(uinti) F(ilio) CLA(udia) (tribu) MAXIMO DOMO ROMA VIX(it) ANN(os) XI M(enses) V D(ies) XII
    HIC TERTIO CERTAMINIS LUSTRO INTER GRAECOS POETAS DUOS ET L
    PROFESSUS FAVOREM QUEM OB TENARAM AETATEM EXCITAVERAT
    IN ADMIRATIONEM INGENIO SUO PERDUXIT ET CUM HONORE DISCESSIT VERSUS
    EXTEMPORALES EO SUBIECTI SUNT NE PARENT(es) ADFECTIB(us) SUIS INDULSISSE VIDEANT(ur)
    Q(uintus) SULPICIUS EUGRAMUS ET LICINIA IANUARIA PARENT(es) INFELICISSIM(i) F(ilio) PIISSIM(o) FEC(erunt) ET SIB(i) P(osterique) S(uis)»


    “Sacro agli Dei Mani.

    Per Quinto Sulpicio Massimo, figlio di Quinto, della tribù Claudia, nato in Roma e vissuto 11 anni 5 mesi e 12 giorni.
    Egli, alla terza celebrazione quinquennale dei giochi Capitolini, tra 52 poeti di Greco riscosse apertamente i favori che furono risvegliati dalla sua giovane età, il suo ingegno suscitò ammirazione e dipartì con onore.
    I suoi versi improvvisati sono incisi su questa tomba, a provare che i genitori (elogiando il suo talento) non erano ispirati unicamente dal loro profondo affetto per lui.
    Quinto Sulpicio Eugramo e Licinia Ianuaria, infelicissimi genitori, realizzarono (il monumento) per il tenerissimo figlio e per loro stessi e per i loro posteri”



  • stele ad edicola di Tiberio Natronio Venusto (sulla via Trionfale, ospitata nel settore santa Rosa della necropoli trionfale al Vaticano).
    Nell’edicola è contenuta la testa di un bimbo con l’iscrizione:

    «hic situs est
    Tib(erius) Natronius Venustus
    vixit ann(os) IIII menses IIII dies X»


    “In questo luogo è
    Tiberio Natronio Venusto.
    visse 4 anni 4 mesi e 10 giorni.”


    (venustus: bellino)
  • Stele di C. Giulio Elio (fine I secolo d.C., via Trionfale)
    Rinvenuta il 5 febbraio 1887 durante la costruzione ad opera di Remigio Cionci di un palazzo lungo la linea daziaria fuori porta Angelica, dove correva l’antica via Trionfale (quindi tra la strada di Borgo Angelico e piazza Risorgimento).
    La qualità raffinata della scultura, lo stile delle lettere epigrafiche, il viso glabro del personaggio, il fatto che ancora usasse il prenomen gentilizio Gaio Giulio, proprio dei discendenti di liberti o di clienti dei Cesari, portano a datare il monumento all’epoca dei Flavii o di Traiano; esposta ai Musei Capitolini - Centrale Montemartini.
    La stele in marmo lunense misura 103 cm di altezza per 49 cm di larghezza e 28 cm di spessore e realizza una edicola quadrata che contiene il busto a torso nudo del proprietario, in posa eroica e severa; le fattezze sono estremamente realistiche con anche un neo riportato alla sinistra della bocca sul quale è scolpito un pelo (nella foto il pelo non si vede.. questo viene riferito da Lanciani ed anche nel bollettino della Commissione Archeologica); sopra alla nicchia, tra le lettere D. M. che invocano i Mani, sono scolpite in bassorilievo due forme da calzolaio con anche i loro manicotti per sorreggerle: una rimane nuda mentre l’altra calza una caliga, tipica calzatura romana; il proprietario era infatti un sutor caligarius, un calzolaio specializzato nella fabbricazione delle caligae, come è anche riportato nell’epigrafe incisa sulla stele (CIL VI.33914):

    «C(aius) Iulius Helius sutor a
    Porta Fontinale fecit sibi et
    Iuliae Flaccillae fil(iae) et C(aio) Iulio
    Onesimo liberto libertabusque
    posterisque eorum v(ivus) f(ecit)»


    “Gaio Giulio Elio calzolaio a porta Fontinale
    realizzò (il monumento), quando era ancora vivo,
    per sé e per la figlia Giulia Flaccilla
    e per il (suo) liberto Gaio Giulio Onesimo
    e per i suoi (altri) liberti e posteri.”
    Stele di Gaio Giulio Elio

    La stele di Gaio Giulio Elio.
    Foto tratta dal Bullettino della Commissione Archeologica di Roma anno 1887, nel pubblico dominio.

  • Stele di Licinia Amias (inizio III secolo d.C. - via Trionfale)
    Esposta al museo delle Terme (Museo Epigrafico, primo piano) e rinvenuta alla necropoli vaticana, probabilmente a fine ottocento, quando in conseguenza della ridefinizione dei confini delle mura Vaticane fu abbattuta la porta Angelica.
    La semplice stele con acroteri, della quale si conserva la sola parte superiore, è interessante in quanto testimonia la compresenza di elementi pagani e cristiani nella simbologia funeraria; tale usanza fu estremamente diffusa nel IV secolo d.C. ma già presente nei secoli precedenti, se pure in modo meno diffuso.
    La stele riporta una scritta parte in latino e parte in greco ed il disegno di due pesci ed un’ancora; i pesci sono una delle più classiche simbologie protocristiane mentre l’invocazione ai mani è evidentemente pagana:

    D(is) M(anibus)
    ΙΧθΥς ΖωΝΤωΝ
    LICINIAE AMIATI
    BENEMERENTI VIXIT
    [...]


    Agli dei Mani
    pesce dei viventi
    A Licinia Amias
    (che) benemerita visse
    [...]

Sarcofago (Sarcophagus)

Il sarcofago è una sorta di cassone solitamente in pietra o in terracotta il cui utilizzo per la tumulazione dei corpi era già diffuso in epoca precedente alla nascita di Roma (sarcofagi egizi, etruschi, fenici); a Roma fu utilizzato in età repubblicana, sebbene i sarcofagi di tale epoca rinvenuti siano rarissimi (a Roma sono noti i sarcofagi della tomba degli Scipioni) nei secoli in cui era praticata l’incinerazione praticamente scomparvero e in epoca imperiale riappaiono nel corso del II secolo, avendo amplissima diffusione nel III e IV secolo.
Questo monumento era solitamente concepito come parte di una tomba più complessa (ad esempio posto all’interno di un mausoleo cristiano o di una cripta ipogea o della camera di un tempietto laterizio), ma anche essere utilizzato come sepolcro monumentale autonomo e completo, disposto su un pilastro o un qualche basamento lungo la via.

Porta Maggiore - sepolcro a dadoAlta Risoluzione

Un semplice sarcofago monolitico liscio in marmo bianco posto appena fuori porta Appia all’angolo tra via Appia e via delle mura latine; è stato assemblato in epoca a me sconosciuta a realizzare un fontanile assieme ad una stele in marmo con inciso un bassorilievo alquanto rovinato raffigurante i busti di un uomo ed una donna, e con altri due blocchi di trabeazioni antiche contenenti delle semplici modanature decorate definibili come astragali a fusarole biconvesse e perline ovali e, nel blocco di sinistra, anche un kyma lesbio trilobato.

  • Tomba di Nerone (al VI miglio della via Cassia - fine II secolo - inizio III secolo d.C.)
    Come risulta dall’iscrizione orientata a favore della antica via e visibile dal lato opposto a dove scorre oggi la Cassia, si tratta del sepolcro del Prefetto Publio Vibio Mariano e della moglie Reginia Massima realizzato dalla loro figlia ed erede Vibia Maria Massima.
    È un semplice sarcofago ad arca, con tetto a doppio spiovente ed acroteri angolari, interamente in marmo decorato con bassorilievi e posto su di un alto basamento originariamente rivestito di marmo e oggi rivestito in mattoni; lo stile delle sculture e dell’iscrizione, non eccelse, lo fanno datare al III secolo d.C..
    Venne detto Tomba di Nerone dopo che papa Pasquale II nel XII secolo ordinò di abbattere la vera tomba di Nerone, il sepolcro dei Domizi, ubicata dove ora sorge Santa Maria del Popolo; questo papa era fortemente superstizioso e vedendo dei corvi volteggiare nei pressi della tomba dei Domizi ed in base ad altri casuali riscontri cabalistici dai quali si deduceva che Nerone si sarebbe reincarnato nell’Anticristo di cui narra Giovanni nell’Apocalisse, ma più probabilmente in quanto il popolino, che ancora amava la figura di questo Imperatore, era solito portare i fiori alla tomba il 9 Luglio, anniversario della morte di Nero, decise di far distruggere il monumento; successivamente, per placare il malcontento popolare, venne fatta correre la voce che le ceneri fossero state traslate in un mausoleo sulla Cassia, abbastanza lontano per sperare che cessasse la tradizione di portare i fiori sulla tomba al 9 di Luglio, speranza che però restò disillusa.
    L’epigrafe riporta:

    D(iis) M(anibus) S(acrum)
    P.VIBI [P.] F. MARIANI E.M.V. PROC.
    ET PRAESIDI PROV. SARDINIAE P.P. BIS
    TRIB. COH. II [PR.] XI URB. IIII VIG. PRAEF. LEG.
    II ITAL. P.P. LEG. III GALL. [---] FRUMENT.
    ORDIUNDO EX ITAL. IUL. DERTONA
    PATRI DULCISSIMO
    ET REGINIAE MAXIME MATRI
    KARISSIMAE
    VIBIA MARIA MAXIMA C.F. FIL. ET HER.


    Sacro agli dei Mani
    a Publio Vibio Mariano figlio di Publio eminentissimo uomo, Procuratore
    e Presidente della provincia di Sardegna, due volte Pro Pretore,
    Tribuno della Coorte X Pretoriana, XI Urbana, IV dei Vigili, Prefetto della Legione
    II Italica, Pro Pretore della Legione III Gallica, Centurione dei Frumentarii,
    oriundo dalla colonia italica Iulia Dertona
    padre dolcissimo
    e a Reginia Massima madre
    carissima
    la figlia ed erede Vibia Maria Massima ebbe cura di costruire.


    Nel 1831 Gioacchino Belli scrisse il sonetto, "un deposito", con soggetto la tomba; il poeta, come lui stesso spiega, da' voce al punto di vista del popolano rozzo e ignorante:
    «Io qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, comunque in gran parte concettosa ed arguta, e le ritraggo, dirò, col concorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppur romana, ma romanesca. Questi idioti o nulla sanno o quasi nulla: e quel pochissimo che imparano per tradizione serve appunto a rilevare la ignoranza loro: in tanto buio di fallacie si ravvolge. Sterili pertanto d’idee, limitate ne sono le forme del dire e scarsi i vocaboli.»
    (Giuseppe Gioachino Belli, introduzione alla raccolta dei sonetti).

    L’iscrizione in latino è carica di abbreviazioni che la rendono alquanto criptica e fonte di sarcasmo (er P P der posa piano, per cui P. P. indica l’avvertenza Posa Piano, cioé maneggiare con cura); nonostante gli errori qualche popolano più acculturato riesce a darne una traduzione in fondo veritiera, secondo la quale, come racconta il fornaio (l’arte bianca), il sepolcro che si trova sulla Cassia tre miglia dopo ponte Milvio (ponte mollo) risulterebbe d’un certo sor Mariano (il signor Mariano, Publio Vibio), capitano morto in guerra per una palla di fucile che lo ferì ad una coscia (la scianca); siccome però il monumento era noto come tomba di Nerone, il popolano che si crede arguto ma è invece più ingenuo degli altri arriva a pensare che o hanno scambiato il morto (er morto è stato sbarattato) o chi ha scritto l’epitaffio era un asino ignorante, perchè lo sanno tutti che quella è la tomba di Nerone; insomma, ci dice il Belli, nonostante l’epigrafe fosse ben visibile definendo in modo chiaro chi fosse il reale proprietario del monumento, lo sciocco popolino arrivava a pensare che si trattasse realmente della tomba di Nerone e che piuttosto l’epigrafe fosse sbagliata.
    Tomba di NeroneAlta Risoluzione

    Tomba di Nerone sulla via Cassia.


    Tomba di NeroneAlta Risoluzione

    Tomba di Nerone - facciata principale orientata lungo l'antica via Cassia e dal lato opposto alla moderna via, con in evidenzia l'epitaffio; guardando la lastra riportante l'epigrafe incisa al suo angolo superiore destro si nota il ripristino di una parte della cassa; si tratta di un buco fatto da qualcuno probabilmente in epoca assai remota per vedere cosa vi fosse dentro; naturalmente la parte superiore è il coperchio a tetto con acroteri angolari, che deve essere piuttosto pesante.


    ippogrifoAlta Risoluzione

    Tomba di Nerone - sui due lati corti è inciso in altorilievo un ippogrifo

Alcuni sarcofagi di Roma:
  • sarcofago di scipione barbato rinvenuto nel sepolcro degli Scipioni via Appia, conservato ai Musei Vaticani
  • sarcofago fortunati via latina
  • sarcofago barberini via latina
  • sarcofago Amendola - II secolo d.C. (epoca degli Antonini) rinvenuto in Vigna Amendola sull’Appia ora ai Musei Capitolini
  • Sarcofago di Portonaccio 190 - 200 d.C. alto 160 cm
  • Sarcofago di Iulius Achilleus III secolo alto 106 cm via Cristoforo Colombo - mura aureliane Museo Nazionale Romano sezione Palazzo Massimo alle Terme
  • sarcofago dell’Annona - fine III secolo (290 d.C.) conservato al Museo Nazionale Romano - Palazzo Massimo alle Terme altezza 85 cm
  • Sarcofago Grande Ludovisi
  • Sarcofago Mattei o di Marte e Rea Silvia (II - III secolo d.C.) una copia è conservata al Museo della Civiltà Romana; l’originale è conservato al Museo Nazionale Romano - Palazzo Altemps, Via di Sant’Apollinare, 46 sulla parete dello scalone (il fronte) e ai musei vaticani (i lati); sul sarcofago è rappresentato il mito delle origini di Roma: Marte e Rea Silvia, madre di Romolo e Remo, contornati da alcune figure mitologiche.
  • Sarcofago di Sant’Elena dal mausoleo di sant’Elena oggi ai musei Vaticani
  • Sarcofago di Costanza intorno al 340 d.C. alto 225 cm in porfido rosso dal Mausoleo di santa costanza oggi ai musei vaticani
  • Sarcofago dogmatico IV secolo
  • Sarcofagi dell’ipogeo degli Ottavi

Recinto funerario

La recinzione fueneraria è una sorta di estensione di altre tipologie funerarie e consiste di un recinto o transenna in opera quadrata o in opera con nucleo cementizio che va a delimitare una piccola area di terreno utilizzata come sepolcreto di famiglia e al cui interno si possono trovare l’ustrina ove avvenivano le cremazioni, are ed uno o più sepolcri monumentali, quali cippi, semplici stele o anche strutture monumentali più complesse.


Sepolcro a camera

I sepolcri a camera erano già utilizzati dagli etruschi nel VI secolo a.C. e da questi si diffusero a Roma in epoca repubblicana rimanendo utilizzati almeno fino ai tempi di Augusto; consistevano di semplici stanze a base quadrata costruite a livello della strada (per esempio in via Statilia) oppure poste su di un podio cementizio rivestito di marmi o travertino (stereobate) alto anche alcuni metri (tomba di Bibulo); a volte erano addossate ad una parete tufacea e parzialmente scavate nella roccia, a livello della strada o ad una certa altezza nel costone tufaceo, mantenendo sempre una parete della camera direttamente in vista sulla strada e senza dromos di accesso (cosa che a mio parere le distingue dalle camere ipogee); le mura erano realizzate in opera quadrata di tufo o peperino o anche travertino; questa opera quadrata era solitamente addossata ad opus caementicium che all’interno sosteneva opera reticolata o opera laterizia; nel nucleo cementizio potevano essere ricavate le nicchie e le edicole in cui si disponevano le urne.
Normalmente erano singole stanze, ma talvolta la costruzione poteva consistere di diverse stanze adiacenti in cui venivano posti i resti di poche persone; erano costruzioni dal costo medio alto e quindi appartenenti ad esponenti del ceto medio benestante romano.

Alcune tombe a camera di Roma:
  • Sepolcro Gemino e sepolcro a camera di via Statilia (I e II secolo a.C.)
    All’angolo tra via Statilia e via di Santa Croce in Gerusalemme, in occasione dell’ampliamento di via Statilia nel 1916, si trovarono una serie di sepolcri che erano disposti al lato dell’antica via Celimontana (strada che collegava la porta Celimontana alla località spes vetus presso Porta Maggiore); i sepolcri erano addossati al banco tufaceo sopra cui passava l’acquedotto neroniano e dove oggi è il giardino dell’ambasciata britannica; questo banco di tufo è una propagine del colle oppio ed il terreno presenta un notevole dislivello per cui i giardini si trovano una decina di metri più in alto ed il muraglione che contiene il terreno è visibile alla destra delle camere; rimasero interrati già nel periodo imperiale, forse per effetto delle bonifiche del campo esquilino volute da Augusto, forse per altri motivi; dalla terra uscirono due sepolcri a camera, di cui uno doppio, parzialmente scavati nel tufo e accanto, al di sotto del muraglione sotto ai giardini di villa Wolkonsky anche un colombario anonimo ed un sepolcro della tipologia ad ara che dalla strada esterna non si vedono; il sito è visitabile su prenotazione.

    Le tombe a camera sono visibili dalla strada attraverso la recinzione; le tre camere dei due sepolcri, a contatto tra loro, presentano una facciata in opera quadrata di tufo giallo mentre le altre pareti erano in opera reticolata; dalla strada è ben visibile sulla parete di fondo della camera sinistra un’ampia superficie in opus reticulatum di discreta fattura appoggiata al costone tufaceo; ogni camera ha lati di circa 4 metri o poco più e presenta un ingresso piuttosto basso, simile ad una finestra; successivamente alla scoperta le tombe furono protette con una tettoia e furono realizzati i rinforzi in mattoni alle finestre.
    le tombe a camera di via statilia

    i due sepolcri a camera di età repubblicana di via Statilia


    Il sepolcro gemino consiste di due camere funerarie adiacenti e risale agli inizi del I secolo a.C.; come ornamento la facciata esterna presenta i busti in bassorilievo dei 3 uomini e delle 2 donne sepolti nelle due camere scolpiti su due blocchi di peperino; questi erano dei liberti di ricche famiglie romane; sotto i busti incise nel tufo le epigrafi in parte abrase e non facilmente leggibili; dell’iscrizione della camera destra si vedono solo due o tre parole della prima e seconda riga.
    Vi si distingue la seguente iscrizione:

    Cae[---]i[---]a [---] Plotia[---]L
    Apollonia [---] S [---]

    dettaglio di due busti in bassorilievo del sepolcro a camera gemino

    i busti dei due occupanti della camera destra del sepolcro gemino di via Statilia

    L’iscrizione della camera sinistra è quasi interamente leggibile ed in parte rimaneggiata in quanto ai tre personaggi raffigurati nei busti e che si fecero originariamente seppellire in tale camera furono aggiunti altri due nomi.
    Vi si legge:

    «Clodiae N(umeri) l(ibertae) Stacte N(umerius) Clodius N(umeri) l(ibertus) C(aiae) Ann(i)ae C(ai) l(ibertae)
    L(ucius) Marcius L(uci) f(ilius) Pal(atina) Armitrupho [---] Pal(...)
    M(arcus) Annius M(arci) l(ibertus) Hilarus [---]C[---] Quinctionis
    Hoc M[o]num[ent]um He[r]edes
    [Ne Sequat]ur»

    dettaglio di tre busti dei sepolti in una delle due camere del sepolcro gemino

    i busti in bassorilievo dei tre occupanti della camera sinistra del sepolcro gemino e sotto l’iscrizione funeraria incisa nel tufo

    Adiacentemente si trova il sepolcro a camera di Publio Quinzio, della moglie e della concubina, risalente probabilmente alla fine del II secolo a.C.; come decorazione della facciata presenta due scudi tondi in bassorilievo e una modanatura scolpita nei blocchi di tufo intorno all’ingresso; l’iscrizione che si può leggere abbastanza agevolmente è:

    «P(ublius) QUINCTIUS T(iti) L(ibertus) LIBR(arius)
    QUINCTIA T(iti) L(iberta) UXOR
    QUINCTIA P(ubli) L(iberta) AGATEA LIBERTA
    [C]ONCUBINA»
    e ai lati della entrata:
    «SEPULCR(um) HEREDES
    NE SEQUATUR»


    ovvero

    “Publio Quinzio liberto di Tito, libraio
    Quinzia liberta di Tito, moglie
    Quinzia Agatea liberta di Publio, concubina
    Il sepolcro non deve essere alienato dagli eredi”

    Tre foto d’epoca dei due sepolcri a camera risalenti a quando vennero rinvenuti nel 1916.
  • Sepolcro di C. Publicius Bibulus (via Flaminia, inizio I secolo a.C.)
    La tomba di Caio Publicio Bibulo venne eretta ai piedi del colle Capitolino, a 100 metri dalla porta Fontinalis; è situata ai piedi del monumento al Milite Ignoto di piazza Venezia all’inizio di via dei Fori Imperiali e ne rimane ancora una parete visibile, la facciata principale del monumento, il cui lato esterno è rivolto verso sud ovest, cioè verso il Vittoriano.
    La facciata rimasta è realizzata interamente in opera quadrata di travertino, con un ingresso e due nicchie ove forse erano delle statue ed era ornata con quattro lesene tuscaniche e superiormente con un fregio di bucrani, rosette e ghirlande, tutto in travertino; il travertino poteva forse essere di rivestimento ad un’opera quadrata in tufo; all’angolo della parete, a realizzare la parete laterale, si scorgono blocchi di tufo e di travertino; il sepolcro era posto su un altissimo basamento alto quasi 5 metri e largo 6,50 (stereobate) rimasto quasi interamente interrato in seguito al progressivo rialzamento del livello del suolo cittadino; alla sommità del basamento è ancora visibile l’iscrizione funebre:

    «C. POBLICIO L. F. BIBULO AED. PL. HONORIS
    VIRTUTISQUE CAUSSA SENATUS
    CONSULTO POPULIQUE IUSSU LOCUS
    MONUMENTO QUO IPSE POSTEREIQUE
    EIUS INFERRENTUR PUBLICE DATUS EST»


    “a Gaio Publicio Bibulo, figlio di Lucio, edile della plebe, in riconoscimento del suo valore e dei suoi meriti, per decisione del Senato e del popolo è stato concesso a spese pubbliche un terreno per il sepolcro, perché egli ed i suoi discendenti vi siano deposti”

    Giovanbattista Piranesi: La Tomba di Bibulo - Tomo II Tav. IV, Tomo II Tav V (sinistra), Tomo II Tav. V (destra).

    il sepolcro di BibuloAlta Risoluzione

    La facciata del sepolcro di Bibulo

  • Sepolcro dei Platorini (inizio I sec d.C.)
    Nel Maggio 1880 durante l’allargamento della golena e la costruzione dei muraglioni sul Tevere al capo transtiberino del pons Agrippae, ora il rinascimentale ponte Sisto, sbancando il terreno furono ritrovati i resti di un sepolcro.
    Un angolo della camera rimase visibile per un paio d’anni ma nessuno, né archeologi né saccheggiatori, vi pose attenzione, dando per scontato che fosse ormai stata svuotata di ogni contenuto; tuttavia questa rappresentò una eccezione alla regola; come sia avvenuto il miracolo che nel corso dei secoli la tomba restò inesplorata, in una zona centralissima di Roma è un mistero; Lanciani ipotizza che quando furono realizzate le mura Aureliane, che correvano lungo il Tevere a poche decine di metri, il terreno fu sopraelevato e la tomba lasciata integra in quanto luogo sacro restò quindi sepolta fino al 1879.
    La tomba, a pianta approssimativamente quadrata, è una camera di 744 X 712 centimetri di lato, realizzata per contenere le ceneri di una famiglia, rivestita esternamente in travertini ed all’interno in opera laterizia; è ornata da fregi e da una modanatura liscia alla base che evidenzia il basso podio in travertino su cui poggia.

    SI ritrovarono alcune iscrizioni attribuibili al periodo tra Augusto ed i Flavii (CIL VI 31761-31768a) di cui 4 sono iscrizioni esterne parietali, le altre relative alle urne ritrovate all’interno; all’ingresso è posta l’iscrizione riferita a C. Sulpicius Platorinus, triumviro monetale nel 18 a.C. (CIL VI 31761) ed alla sorella Sulpicia Platorina, moglie di Cornelius Priscus; la costruzione del monumento potrebbe essere tuttavia attribuita ad un suo nipote omonimo (Richardson).
    La costruzione viene fatta risalire probabilmente alla prima decade del I secolo d.C.; altri la fanno risalire ad un periodo lievemente posteriore, intorno al 20 d.C., attribuendone la costruzione a M. Artorius Geminus, prefetto nel 10 d.C. (Silvestrini - Sepulcrum 1987).
    E. R. Franz: la tomba  dei Platorini

    Ettore Roesler Franz: il sepolcro dei Platorini in riva al Tevere (1880) dove oggi è il lungotevere della Farnesina - nel pubblico dominio.


    La camera conteneva nove nicchie e nove urne cinerarie di cui sei risultavano ancora integre; le urne, alcune a base tonda ed altre a base quadrata, sono estremamente sofisticate, in marmo ornate da festoni e bucrani e uccelli che mangiano della frutta; i coperchi delle urne erano sigillati con piombo fuso e furono aperte il 3 Maggio 1880 alla Farnesina; vi furono ritrovati i resti delle ossa che galleggiavano nell’acqua dell’ultima alluvione del Tevere; in alcune si rinvennero dei monili; in particolare nella seconda urna un anello d’oro e nella terza la pietra dello stesso anello, un onice danneggiato dalle fiamme dell’incinerazione; questo sembrerebbe indicare che due corpi furono incineriti assieme e successivamente suddivisi nelle due urne; nella quinta si trovarono due anelli d’oro con camei e nella sesta, di Minasia Polla, una spilla per i capelli in ottone.
    Oltre ai tre personaggi già citati gli altri qui conservati erano: Aulus Crispinus Caepio attivo negli intrighi di corte ai tempi di Tiberio; Antonia Furnilla e la figlia Marcia Furnilla, seconda moglie di Tito; ella fu ripudiata nel 64 d.C. (Suetonius - De vita Caesarum: Divus Titus 4.2):

    Suetonio - La vita dei Cesari - il divo Tito 4.2

    Dopo le sue campagne militari egli (Tito) [...] prese come moglie Arrecina Tertulla, il cui padre, cavaliere romano, fu prefetto delle coorti pretoriane; alla di lei morte (Tito) prese in moglie Marcia Furnilla, donna di una importante splendida famiglia; quando questa partorì una figlia si separò da lei.


    Nella camera si trovarono una statua integra di donna, una a pezzi ed un busto di donna; la statua di donna è secondo quanto riportato sulla targa esplicativa di Sulpicia Platorina e risale al 60 - 70 d.C. mentre Lanciani scriveva potesse forse essere quella di Marcia Furnilla, cosa plausibile se è vero che l'altra statua è quella di Tiberio; la seconda statua dovrebbe appunto rappresentare l'imperatore Tiberio in posa eroica; quest'ultima fu gravemente danneggiata dal cedimento della volta della camera, sebbene se ne ritrovarono tutti i pezzi.
    Il busto di donna è probabilmente quello di Minasia Polla e rappresenta uno dei più raffinati e ben eseguiti ritratti in marmo rinvenuti in Roma.
    Vedi busto di Minasia Polla (copia)
    Vedi statua di Sulpicia Platorina
    le opere d'arte rinvenute all'interno della tomba dei Platorini

    Sepolcro dei Platorini: Il bellissimo busto di Minasia Polla, la statua di Sulpicia Platorina e tre olle funerarie. Foto tratta da: Pagan and Christian Rome, R. Lanciani, nel pubblico dominio.


    La camera fu smontata e ricostruita nel 1911 all’interno dell’aula X del Museo Nazionale Romano presso le terme di Diocleziano in piazza della Repubblica (Paribeni e Berretti); la sala, chiusa da molti decenni, è stata riaperta al pubblico nel 2008; all’ingesso sono le due statue e dentro la camera il busto della giovane; probabilmente anche le olle sono conservate all’interno della camera.
  • Sepolcro di via Filarete (via Casilina - I sec. a.C.)
    Sulla via Casilina in un minuscolo rettangolo di terra a ridosso del giardino della scuola elementare Grazia Deledda giacciono protetti dalle grate alcuni blocchi squadrati in pietra gabina riferibili all’angolo sud ovest di una tomba a camera (che potrebbero però anche essere riferibili ad un recinto funerario).
    Visibile sulla via Casilina appena dopo l’incrocio con via Filarete.

Tempietto

Il sepolcro a tempietto sono sepolcri a camera di forma templare; potevano essere veri e propri templi, come anche strutture a camera che solo richiamavano in alcune parti i templi.

  • Sepolcro di Marco Nonio Macrino - Tomba del Gladiatore (via Flaminia, seconda metà II sec. d.C.)
    Sulle sponde del Tevere, a via Vitorchiano dove sorge una fabbrica dismessa, è stato ritrovato nell’Ottobre 2008, durante i i saggi di esplorazione eseguiti prima della costruzione di un nuovo complesso residenziale di tre palazzi ad opera del gruppo Bonifaci, un tratto del basolato dell’antica Flaminia sette metri più in basso dell’attuale livello del terreno; accanto alla strada è stato scoperto un notevole sepolcro monumentale di grandi dimensioni della tipologia a tempio interamente rivestito in marmo con una copertura di tegole anch’esse interamente in marmo; si è salvato in quanto franò e rimase sommerso dal limo per effetto delle esondazioni del Tevere, in epoca talmente remota da riuscire a salvarsi dai saccheggiatori, che già prima della fine dell’epoca imperiale erano molto attivi.
    Sono venute alla luce numerose strutture quali colonne, un timpano, rivestimenti marmorei, decorazioni ed una parte dell’iscrizione funeraria che consente di attribuire il monumento a M. Nonius Macrinus, appartenente alla famiglia bresciana dei Nonii, che svolse la sua lunga carriera militare sotto gli imperatori Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio e ad una donna, evidentemente la moglie, della quale si legge il nome Flavia; potrebbe essere il nome completo della moglie Arria, nome noto da altre iscrizioni rinvenute nel bresciano, oppure quello di un’altra donna sposata dopo la morte della prima moglie.
    Secondo alcuni alla vita di M. Nonio Macrino si sarebbe ispirato Ridley Scott tratteggiando la figura di Decimo Meridio Massimo (Decimus Meridius Maximus) interpretato da Russell Crowe nel film il Gladiatore; in comune i due personaggi hanno il fatto che vissero nel medesimo periodo storico e che furono entrambi importanti comandanti dell’esercito romano; tuttavia se definire questa tomba quella del gladiatore potrà aiutarla a renderla nota e di conseguenza a mantenerla nel luogo in cui venne costruita 2 millenni or sono salvandola dai soliti interessi politico-economici di palazzinari e politici ignoranti, allora sì, questa è proprio la tomba del gladiatore, è certo.

    È uno dei ritrovamenti archeologici più rilevanti avvenuti a Roma negli ultimi decenni; gli scavi della soprintendenza, che procedono a rilento causa mancanza fondi, nel 2010 hanno portato a scoprire l’intero basamento del monumento, che misura 10 metri frontalmente e 20 metri in lunghezza ed una statua femminile, probabilmente la moglie; a quanto pare le dimensioni imponenti del monumento, che ha un’altezza approssimativa di 15 metri, rendono fortunatamente impossibile rimontarlo in un museo come qualcuno aveva pensato pur di utilizzare il terreno per edilizia residenziale; si pensava probabilmente di rimontarla nella sala X delle Terme di Diocleziano, dove già sono tre tombe romane, le quali in tale sala rimangono semisconosciute e di cui è persino difficile poter vedere delle foto; non posso che augurarmi che coloro che decideranno il destino di questo sito sappiano essere lungimiranti, comprendere che i beni archeologici di Roma sono una preziosa risorsa non rinnovabile della città mentre i moderni palazzi residenziali, ammesso che servano, possono essere costruiti in molti altri luoghi, e che possa infine essere istituito il parco archeologico e naturalistico della via Flaminia e del Tevere a comprendere i numerosi importanti resti archeologici che sono nella zona.
    Nel 2013 i tagli ai fondi per i beni culturali impediscono la prosecuzione dei lavori e pare stiano pensando di reinterrare tutto il sito; nel frattempo pare che il Gruppo Bonifaci vorrebbe offrire un contributo in cambio del permesso di costruire le palazzine residenziali; l'American Institute for Roman Culture si è attivato per cercare di evitare il reinterramento del sito; in pochi secondi è possibile firmare la petizione on line "Salva la Tomba del Gladiatore".

    L’ iscrizione funebre si sviluppa sull’architrave della facciata per sei righe e per una lunghezza di circa otto metri; ne è stata rinvenuta circa una terza parte: un grosso monolite 258 cm di lunghezza per 90 di altezza e 75 di spessore collocato sulla parte sinistra dell’iscrizione ed altri frammenti nella parte destra, ma gli scavi sono ancora in corso.

    [M(arco) No]NIO M(arci) FIL(io) FAB(ia tribu) MACRINO [... (quindecem)vir sacr(is) f]AC(iundis), SODALI VERIAN[o ...],
    COMITI, LEG(ato) IMP(eratoris) ANTONINI AUG(usti) EX[peditionis ... leg(ato)] AUG(usti) PR(o) PR(aetore) P[rovinciarum ... Hispa]NIAE
    CITERIORIS ITEM PANNONIAE SUP[erioris ... curato]RI A[lvei ... leg]ATO
    PROVINCIAE ASIAE, QUAESTO[r ..., (decem)vir(o) litibus iudican]DIS
    PATRI OPTIMO ET FLAVI[ae ...]
    M(arcus) NONIU[s Arrius...]


    A Marco Nonio Macrino, figlio di Marco, della tribù Fabia, [... quindecemviro del collegio dei sacri] sacrifici, sodale dei Veriani [...]
    ,..., delegato (comandante) della spedizione dell’imperatore Antonino (Pio) Augusto [... ] governatore delle Province [...] della Spagna
    Citeriore ed allo stesso modo della Pannonia Superiore [...], curatore dell’alveo [...] comandante
    delle province dell’Asia, Questore [... Decemviro del collegio dei] giudicanti sulle liti
    ottimo padre e a Flavia [...]
    Marco Nonio [Arrio ..., figlio, realizzò il monumento]


    quindecemvir sacris faciundis: apparteneva cioè al collegio dei quindecemviri dei sacri sacrifici, 15 sacerdoti costituenti uno dei 4 collegi sacerdotali (quattuor amplissima collegia) istituiti a Roma; questo collegio si occupava dell’amministrazione della religione e dei sacrifici, della consultazione dei libri sibillini e della celebrazione dei giochi dedicati ad Apollo.

    decemvir litibus iudicandis o decemvir stilibus iudicandis: apparteneva cioè al collegio dei decemviri giudicanti sulle liti collegio di 10 uomini che costituiva una corte civile giudicante; in epoca imperiale ebbe anche giurisdizione sui casi capitali.

    Sodali (Antoniniano) Veriano: apparteneva al sodalizio degli Antoniniani Veriani, collegio religioso creato nel 161 d.C. per il culto del divinizzato Antonino Pio e che si occupò poi anche del culto del divino Vero, che scomparve nel 169 d.C..

    Sul ritrovamento del monumento vedi: Tomba del Gladiatore

Sepolcro a camera sotterranea (hypogeum)

Numerosi furono i sepolcri completamente sotterranei (ipogei) realizzati scavando delle camere all’interno del banco tufaceo o a volte sfruttando antiche cave cadute in disuso; vennero utilizzati tanto in epoca repubblicana quanto in epoca imperiale.
Potevano essere realizzati scavando le camere in un costone tufaceo lungo una via e realizzando un ingresso monumentale in opera quadrata di tufo, peperino o travertino, ornato con colonne, trabeazioni e statue e dal quale si accedeva alle camere attraverso un lungo corridoio (dromos); spesso l’ingresso era posto ad una certa altezza dal livello della via (esempio Scipioni e Semproni).
In epoca repubblicana l’accesso ai sepolcri poteva restare semplicemente aperto e porlo ad una certa altezza impediva agli animali di utilizzarne i luoghi come ricovero; non dovevano esistere grossi pericoli di una violazione da parte dell’uomo in quanto in quei tempi antichi la sacralità dei luoghi di sepoltura era generalmente rispettata e comunque ancora le tombe non contenevano solitamente tesori tali da attrarre l’interesse dei vivi (Piranesi).
Se le camere erano realizzate in un’area pianeggiante vi si poteva accedere tramite una galleria di discesa in cui venivano realizzati dei gradini scolpiti nella roccia.
Gli ipogei risalenti al periodo imperiale potevano presentare pareti ricoperte in laterizio o in opus vittatum e potevano essere pagani o cristiani o misti.

Ipogei sepolcrali di epoca repubblicana a Roma:
  • Sepolcro degli Scipioni (via Appia, utilizzato dal 280 a.C. a non oltre il 100 a.C.).
    La tomba, interamente sotterranea, è situata in un’area recintata all’interno del parco degli Scipioni con un ingresso diretto da via di Porta San Sebastiano 9 ed un altro da via Latina 10 (ingresso al parco degli Scipioni); realizzata per conto di Lucio Cornelio Scipione Barbato e concepita come una ampia camera quadrata scavata nel costone tufaceo della collina chiamata dai romani Clivo di Marte.
    Il sito del sepolcro degli ScipioniAlta Risoluzione

    Il sito ove si trova il sepolcro degli Scipioni, scavato nel costone tufaceo di una collina, visto dall’ingresso all’area dal Parco degli Scipioni; si vede la casa medioevale costruitavi sopra e in basso dell’opera cementizia; a sinistra tettoie relative a differenti scavi; la via Appia è a sinistra a poche decine di metri, la via Latina rimane a destra ed il diverticolo che congiungeva le due vie e su cui si affacciava l’ingresso al sepolcro passava dietro alla casa.

  • Sepolcro dei Semproni (Sepulcrum Semproniorum circa metà I secolo a.C., appena fuori della porta Sanqualis)
    Venne scoperto nel 1863 completamente interrato ed i ruderi sono oggi rimasti nei sotterranei del Palazzo di San Felice, in via della Dataria 21, eretto sotto Pio IX nel 1864 da Filippo Martinucci ed oggi in uso alla residenza presidenziale del Quirinale; in effetti il monumento era già stato scoperto nel XVII secolo, in quanto l’iscrizione funeraria era nota (CIL VI.26152).
    Proprietà di Gneo Sempronio, della madre e della sorella aveva la facciata principale realizzata in blocchi di travertino ornata da un fregio ed una cornice scolpita ed era orientata a guardare il clivus che conduceva alla porta delle mura Serviane; la camera venne scavata nella roccia tufacea del Quirinale e vi si accedeva tramite un dromos la cui soglia di ingresso era posta a due metri di altezza dal pavimento del clivo ed ornata da un arco.
Ipogei sepolcrali di epoca imperiale a Roma:
  • Ipogeo di Villa Glori (circa II secolo d.C.)
    All’interno di villa Glori si trova una collinetta tufacea in cui stanno delle grotte di epoca preistorica riadattate a luoghi di sepoltura nel periodo imperiale; la prima stanza in cui si accede è stata completamente rimodellata dagli scalpellini in epoche successive; a terra si vedono degli scalini scavati nel tufo che conducono ad una camera sottostante completamente ripiena di terra e detriti; dalla prima camera attraverso un passaggio scavato nel tufo dai saccheggiatori si accede ad una seconda camera che presenta tre nicchie ed un arcosolio e sulla volta ancora si conservano stucchi salvatisi dalle devastazioni di epoca contemporanea; potrebbero esistere altre camere tuttora inesplorate.
  • Tomba dei cento scalini (al parco degli acquedotti sulla via Latina; III secolo d.C.)
  • Ipogeo degli Ottavi (via Trionfale - III secolo d.C.)
    Tomba sotterranea ad inumazione ubicata in via della Stazione di Ottavia 73 scoperta durante la realizzazione nel 1920 del quartiere che poi da tale ipogeo prese nome di borgata Ottavia.
    Alla camera si accedeva da un lungo passaggio scavato nel tufo pavimentato in opus spicatum, che termina in un vestibolo da cui si entra nella stanza affrescata e pavimentata in tasselli bianchi con due bordature nere, in cui furono deposti 4 sarcofagi; fu la sepoltura di Octavius Felix, della figlioletta di 6 anni che venne per prima qui sepolta ed il cui sarcofago era nella nicchia centrale di fronte all’ingresso, e di altre due congiunte.
    Situato in una proprietà privata è visitabile solo su prenotazione.
    Ulteriori informazioni sul sito della Soprintendenza.
  • Ipogeo di Trebio Giusto (in prossimità della via Latina - IV secolo d.C.)
    Situato in via Mantellini 13 venne scoperto casualmente nel 1911 sotto una privata abitazione, quando il proprietario ispezionò le fondamenta della casa a seguito del manifestarsi di alcune crepe.
    Dedicato al giovane Trebio Giusto detto affettuosamente "asinello" (asellus) ed in epoca successiva utilizzato per ulteriori tumulazioni, rimane situato sotto l’officina di un meccanico andato in pensione e vi si accede tramite un cunicolo verticale; l’originario dromos di ingresso alla stanza a pianta quadrata è in gran parte crollato e non più esistente.
    Su una parete è presente un grande arcosolio con l’iscrizione funebre per il ragazzo mentre sulle altre pareti e nel tratto di dromos ancora esistente vennero ricavati altri loculi; le mura intonacate della camera conservano affreschi con scene pagane di vita quotidiana mentre sulla volta a crociera è raffigurato il "buon pastore", un pastorello con due pecorelle ai fianchi; la compresenza di pitture pagane e dell’iconografia cristiana, cosa consueta nel IV secolo, è probabilmente da interpretare come un semplice atto formale, di accondiscendenza alle usanze di quel periodo in cui si stava compiendo il passaggio dal paganesimo al cristianesimo sotto l’impulso della fede ma anche di leggi imperiali sempre più restrittive nei confronti dei riti pagani che portarono molti ad aderire alla nuova religione più per la necessità di uniformarsi alle nuove regole che per convinzione.
    Interessante un affresco relativo alla tecnica di costruzione romana, in cui sono raffigurate impalcature, scale, casseformi ed alcuni operai alle prese con malta e cazzuola e intenti ad eseguire un muro in opera laterizia.

    La epigrafe principale sopra l’arcosolio recita:

    «Trebius Iustus Honoratia Saeverina Filio Maerenti Fecerunt
    Trebio Iusto Signo Asellus
    Qui Vixit Annos XXI Mesis VIIII Diis XXV»


    “Trebio Giusto ed Onorazia Severina, afflitti, realizzarono (il sepolcro) per il figlio
    Trebio Giusto detto Asello,
    che visse 21 anni, 9 mesi e 25 giorni”
  • Museo Nazionale Romano - Sala X delle terme di Diocleziano
    Nella enorme sala (uno degli ingressi che portavano agli spogliatoi delle terme secondo Coarelli) si trovano ora tre sepolcri: uno è la tomba dei Platorini mentre gli altri due sono tombe a camera ipogea di epoca imperiale realizzate lungo la via Portuense e scoperte negli anni 50, durante la fase di urbanizzazione di quella zona; il tufo che le racchiudeva venne intagliato con speciali macchinari e gli interi blocchi tufacei contenenti le camere furono trasportati alle terme di Diocleziano; una delle due camere tuttavia subì un grave danno ed è ben visibile una spaccatura che la attraversa.
    Una tomba a camera è caratterizzata dalla presenza di bellissimi stucchi bianchi geometrici: un sistema di cerchi contenenti altre linee geometriche ed al centro delle figure; l’altra è caratterizzata da una intonacatura rossa e bianca con edicole e loculi; l’ntonaco è affrescato con alcune figure tra cui è interessante un insieme di una decina di persone, uomini, donne e ragazzi; alcuni giocano a palla, altri sono distesi sull’erba.
  • ipogeo degli Aureli (via Labicana, III secolo d.C.)
    Rinvenuto all’angolo tra viale Manzoni e via Luzzati all’esquilino nel 1919 durante la costruzione di un garage, consiste di una camera semi ipogea con pareti in laterizio di epoca severiana di cui resta la sola parte inferiore e di due camere ipogee cui si accedeva tramite delle scalette dal piano superiore; vista l’esistenza del piano superiore e l’assenza del dromos probabilmente tale sepolcro ricade in una tipologia differente da quella a camera sotterranea.
    Il sepolcro presenta interessanti affreschi di difficile interpretazione che in parte richiamano alcune simbologie protocristiane; forse appartenne ad una famiglia cristiana eretica (Rendina); uno dei due cubicoli sotterranei, interamente affrescato, riporta il nome degli Aurelii in una epigrafe in marmo dedicata ad Aurelia Myrsina e sul pavimento a mosaico in cui sono citati i fratelli Aurelio Onesimo, Aurelio Papirio e Aurelia Prima.

Tempietto Laterizio

Le costruzioni in opera laterizia erano senz’altro meno costose di quelle in opera cementizia e rivestimenti nobili, e presero ad essere realizzate a partire dalla diffusione dei mattoni, avvenuta intorno al tempo di Tiberio nel I sec. d.C.; la realizzazione tipica era quella del "Tempietto" che ebbe la massima diffusione nel corso del II secolo ma esistevano altre tipologie quali il colombario, i grandi mausolei cristiani completamente in laterizi ed ulteriori tipologie.
Essendo realizzati in materiale scarsamente riutilizzabile subirono solo atti di vandalismo e non metodiche distruzioni (distruzioni attuate in realtà in gran parte non dai Vandali o da altre popolazioni barbare ma dai Romani stessi per riutizzarne il materiale da costruzione ed i marmi) per cui si sono conservati con un aspetto simile all’originario a differenza dei monumenti in pietra.
L’aspetto era più semplice dei precedenti monumenti funebri ed erano abbelliti da giochi ottici realizzati con le diverse disposizioni e diverse colorazioni dei mattoni; all’interno venivano invece usati in abbondanza marmi, travertini, stucchi e mosaici.
Il tempietto laterizio normalmente si componeva di una stanza sepolcrale, di un piano terra e di un primo piano; il piano seminterrato o completamente sotterraneo (ipogeo) dove venivano realizzati gli arcosoli (nicchie scavate nel cappellaccio o nelle mura atte a contenere i sarcofagi) o i loculi adatti per contenere le urne cinerarie, o entrambi; normalmente ospitavano un certo numero di defunti come tutti i componenti di una famiglia; l’ambiente era illuminato da finestrelle a feritoia o da un cortiletto interno, seminterrato a cielo aperto; nel piano superiore si svolgevano le cerimonie funebri.
L’ingresso agli edifici era spesso rivolto dal lato opposto a quello della strada su cui si affacciavano mentre dal lato della strada erano in genere visibili il Titulus, ovvero le epigrafi funerarie, ed eventualmente delle statue.

Alcuni tempietti in laterizi di Roma:
  • Sepolcro di Elio Callisto situato lungo la via Nomentana nella omonima piazza, viene anche chiamato la "sedia del diavolo". Risale al II secolo d.C. del tipo a tempietto con due ambienti sovrapposti in laterizi bicromi.
    Il piano lievemente seminterrato contiene 2 arcosoli su ogni muro e al di sopra diversi loculi per le ceneri; della volta della camera funeraria rimane molto poco.
    Il piano superiore presenta altre nicchie inquadrate da edicole con colonnine e timpano ed una inconsueta volta a vela in buona parte crollata.
    Tempietto laterizio di Elio Callisto anche noto cone Sedia del DiavoloAlta Risoluzione

    Il tempietto di Elio Callisto.
    Prese il nome di "Sedia del Diavolo" in quanto la parete mancante (quella dal lato dell’ingresso e non visibile in foto) lo rende simile ad una sedia (con schienale e braccioli) e nei tempi andati alla sera i pastori che lo usavano come ricovero vi accendevano all’interno dei fuochi che visti in lontananza davano alla struttura un aspetto infernale

  • Parco Archeologico delle Tombe di via Latina - via dell’Arco di Travertino, 151
    Come arrivare: Metro A fermata Arco di Travertino
    L’ingresso al parco è libero; è possibile visitare a pagamento i sepolcri dei Valerii e dei Pancrazi - costo prenotazione 3,50 € - informazioni e prenotazioni 06.39967700 (lunedì-sabato 9-13.30 e 14.30-17)
    Il minuscolo parco attraversato dalla via Latina conserva ancora l’aspetto della antica campagna romana.
    Sepolcro dei Cornelii o Barberini Tempietto a due piani con camera semi interrata (II sec. d.C.)
    Sepolcro dei Valerii Con camera sotterranea (II sec. d.C.)
    Sepolcro dei Pancrazi Con camera sotterranea (intorno al 100 d.C.)
    Sepolcro Baccelli tempietto in laterizi policromi di natura collettiva (fine II sec.d.C.).
  • Sepolcro di Annia Regilla tempietto in laterizi policromi (seconda metà del II secolo d.C.al parco della Caffarella). Uno dei più raffinati tempietti in laterizio rimasti in Roma, in ottimo stato di conservazione.
  • Torraccio della Cecchina (II sec. d.C. - sulla via Nomentana al chilometro 9,200)
    Tempietto a due piani in laterizi gialli e rossi utilizzato nel medioevo come torretta di avvistamento.
  • Sepolcro di via Bisignano (seconda metà del II sec. d. C.)
    Un tempietto in laterizi bicromi che presenta una camera semi ipogea con arcosoli; si trova su via Bisignano all’angolo con l’Appia Nuova, a quasi un chilometro dall’Appia Antica.
  • Torre dell’Angelo Via Latina
    Tempietto laterizio sul lato sinistro della via Latina al numero 53, poco prima di giungere al primo miglio, all’altezza del vallo ferroviario.
    La torre dell'Angelo - tempietto laterizio - via LatinaAlta Risoluzione

    La torre dell’Angelo, tempietto laterizio sulla via Latina


Il Colombario (Columbarium)

Il Columbarium era una tipologia di tomba collettiva che talvolta arrivava a contenere migliaia di individui ed era pensato per accogliere le ceneri dei defunti; già presente in epoca tardo repubblicana nel II secolo a.C, ebbe la sua massima diffusione tra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C. e continuò ad essere molto utilizzato almeno per tutto il II secolo d.C.; con Augusto divenne generalizzato l’uso della cremazione ed il costo per un’urna cineraria all’interno di un colombario scese a prezzi accessibili anche ai più poveri; successivamente, quando si andarono diffondendo massicciamente le pratiche di tumulazione cristiane, l’incenerimento dei defunti cadde in disuso e con esso anche la tipologia funeraria del colombario.

Erano realizzati come una semplice stanza o a volte più camere comunicanti, in tufo e peperino ed opera reticolata in epoca repubblicana, in opera laterizia nel periodo degli imperatori; talvolta le stanze erano a livello del terreno ma più spesso erano seminterrate o completamente interrate (ipogei).

Le pareti della camera erano riempite di piccole nicchie, i Loculus, disposte su più file (sortes) dove venivano deposte una o più urne cinerarie, le ollae, realizzate normalmente in terracotta, ma a volte anche in marmo o altri materiali quali vetro e metallo; dinanzi a ciascuna nicchia veniva posto il Titulus, la epigrafe che riporta nomi, parentela e titoli del defunto.
Assomiglia quindi ad una colombaia e da questa prende il nome.


Esistevano tre tipi di destinazione per i colombari:
• costruiti da un uomo o da una famiglia per il loro uso privato oppure realizzati per i loro servi e liberti e per la loro discendenza;
• costruiti da uno o più individui per speculazione, in cui i posti disponibili erano semplicemente venduti; la pratica di acquistare un posto tomba era piuttosto diffusa e si trovavano prezzi per tutte le tasche (da 200 sesterzi a 200.000 sesterzi - ai tempi di Augusto un sesterzio poteva forse valere tra uno e cinque euro);
• costruiti da una compagnia appositamente costituita per tale scopo (collegio funeraticio) e destinati all’uso personale dei proprietari e dei contributori che si dividevano i loculi disponibili; le divisioni potevano accendere discussioni, poichè ovviamente i loculi in basso erano quelli più ambiti, in quanto consentivano di officiare i riti con facilità senza utilizzare scale per raggiungere l’urna e se ne poteva con facilità leggere il Titulus.

Alcuni Colombari di Roma:
  • colombario di Pomponio Hylas, all’interno del Parco degli Scipioni, in via Latina 10
  • colombario di largo Preneste sulla Prenestina a Largo Preneste
  • colombario di via Pescara (tra via Taranto, via Enna e via Pescara)(risalente a circa la metà del I sec. d.C.).
  • colombario di via del Campo Barbarico su quella che era la via Latina in prossimità di tor Fiscale.
  • colombario dei liberti di Augusto (via Appia Antica)
  • colombario dei servi e dei liberti di Livia Augusta (via Appia) (non più esistente)
    Scoperto intatto nel 1726 venne completamente distrutto; conteneva circa 500 loculi.
  • colombari di Vigna Codini (via Appia Antica 13)
  • colombario di via Olevano Romano (Prenestina)
  • colombario Costantiniano al Parco della Caffarella
  • colombario di Tiberio Claudio Vitale all’interno del parco di villa Wolkonsky; il sito è visitabile su prenotazione presso l’ambasciata britannica.
  • colombario dei servi e dei liberti degli Statilii (via Casilina) (non più esistente)
    Durante i lavori di costruzione dell’Esquilino e della stazione Termini a fine ottocento venne rinvenuto e distrutto quel che restava dell’ampio sepolcreto della Gens Statilia (Sepulcrum Statiliorum) all’incirca posizionato alla sinistra di via di Porta Maggiore andando verso porta Maggiore (strada che all’incirca corrisponde al tracciato dell’antica via Casilina-Labicana), a circa duecento metri o poco meno dalla porta stessa, rimanendo compreso tra via Giovanni Giolitti (via che alla fine del XIX secolo si chiamava Viale Principessa Margherita e che prese poi il nome di Viale Principe di Piemonte) e via di Porta Maggiore.
    La famiglia è nota soprattutto per T. Statilius Taurus, console nel 44 d.C., proprietario degli splendidi Horti Tauriani e alle cui vicissitudini (morì suicida) è collegata la basilica sotterranea di Porta Maggiore.
    All’interno del sepolcreto il rinvenimento più rilevante fu quello dell’ampio Colombario dei servi e dei liberti della famiglia Statilia contenente oltre 500 loculi; prima di distruggere il sito tre camere vennero scavate nel 1875-1877 e si trovarono 428 iscrizioni risalenti al periodo tra Augusto e Claudio (CIL VI.6213-6640); adiacentemente vennero rinvenute altre camere sepolcrali e 108 iscrizioni (CIL VI.33083-33190).
  • colombari di villa Doria Pamphilj (via Aurelia)
    All’interno della villa si trovano il piccolo colombario del II secolo d.C. in opera laterizia ed il grande colombario in opera quadrata di tufo e peperino di cui si conservano alcune pitture al Museo Nazionale Romano, rinvenuti da scavi eseguiti dalla famiglia Pamphilj nel 1820 - 1830.
    Nel 1984 a breve distanza è stato rinvenuto il colombario di C. Scribonius Menophilus, ipogeo a più stanze con circa 500 Loculi costruito nella seconda metà del I secolo a.C. ed in uso per oltre due secoli.
    I colombari si trovano all’interno del giardino del casino Algardi o del Belrespiro, in uso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri come sede di rappresentanza e sono visitabili tramite richiesta alla soprintendenza.
  • Colombario di via Salaria (Salaria Vetus - II sec. d.C.)
    Si vedono i resti delle sue pareti in laterizi nella pineta di villa Borghese in corrispondenza di via Pinciana.

La Cappuccina

La Cappuccina era una semplice modalità di sepoltura in fossa senza cremazione o con una parziale cremazione in loco utilizzata assai intensivamente in epoca romana e per tutto il medioevo; il defunto veniva adagiato in una fossa in posizione supina con le braccia distese lungo il corpo o raccolte sul petto direttamente sulla terra o a volte su delle tegole poste in piano e ricoperto, dopo la eventuale cremazione, con tegole (le classiche tegole romane note come embrici), disposte a realizzare una copertura a doppio spiovente, e coppi, a coprire la congiunzione tra due tegole.
Talvolta le tegole venivano semplicemente poste a chiusura della fossa in piano a livello della strada con i coppi disposti lateralmente, poggiati tra due tegole o tra tegola e terreno; non mi è chiaro se in questa tipologia con tegole disposte in piano si parli ancora di cappuccina; normalmente gli embrici venivano disposti a doppio spiovente all’interno della fossa (a guisa di una tenda); venivano poggiati sul lato corto mantenedo i bordi lunghi dotati del bordo rialzato accostati tra loro; a coprire la giunzione tra due embrici venivano quindi poggiati i coppi e altri coppi venivano disposti a coprire lo spigolo superiore delle tegole; altre due tegole potevano a volte venire disposte a completa chiusura delle due estremità della copertura dal lato della testa e dal lato dei piedi.
Sistemate le tegole a protezione del corpo la cappuccina veniva ricoperta dalla terra che andava a riempire la fossa; nella stessa terra di riempimento potevano essere inseriti oggetti del corredo funerario; al livello del terreno si poteva quindi disporre una stele ed anche un tubulo in terracotta per l’offerta delle libagioni.

Ubicazione di alcune tombe alla Cappuccina
  • In via Fabrizio Luscino al Tuscolano nel corso di lavori per la posa di cavi per telecomunicazioni da parte di Albacom è stato scoperto il basolato di una strada romana con a fianco alcune tombe alla Cappuccina con tegole disposte in piano; il diverticolo risalente al II sec. d.C. collegava la via Latina all’altezza della villa delle Vignacce alla Casilina; al momento della scoperta uno dei defunti aveva una moneta (un sesterzio) in bocca.
    La strada antica si trova a poco più di un metro sotto l’attuale livello stradale con una larghezza di circa due metri e sul marciapiedi della via moderna è stata predisposta a cura della Circoscrizione X e della società Albacom una copertura trasparente che lascia visibile un tratto dell’antico selciato romano e alcune tegole disposte sui lati a coprire una o forse due tombe ... o forse nessuna perchè magari le fosse stanno qualche metro più in là, sotto la strada :)

Sepoltura in fossa e in pozzetto

La cappuccina era una sepoltura estremamente semplice ma esistevano numerose altre tipologie di tombe povere che potevano essere ancora più economiche; in generale si utilizzavano tombe a fossa per le inumazioni e tombe a pozzetto per le incinerazioni e a segnare il luogo di sepoltura in superficie poteva essere posta una stele o un cippo o una piccola ara.
Tanto per le incinerazioni quanto per le inumazioni poteva anche essere predisposto un "tubulo" in terracotta che fuoriusciva dal terreno con la funzione di collegare l’interno della fossa o del pozzo con l’esterno ed utilizzato durante i giorni dedicati al culto dei morti per la rituale offerta di latte o vino ai defunti (refrigerium) o di profumi (in alcuni casi sono state ritrovate nei pressi dei tubuli delle fialette di vetro spezzate che contenevano probabilmente profumi, come se fossero state volontariamente rotte e lasciate nei pressi, presumibilmente dopo averne versato il contenuto nel tubulo); il tubulo poteva essere protetto da una sorta di filtro o di piccolo coperchio sempre in terracotta.

Sepolture a incinerazione

L’incinerazione poteva essere diretta se avveniva direttamente nella fossa o indiretta se avveniva nell’ustrina e successivamente le ceneri venivano disposte all’interno di un pozzetto direttamente nella nuda terra o in anfora o in cista calcarea o in cassetta laterizia o in urna o anche in cassetta di legno (alle volte si sono trovati dei pozzetti contententi unicamente dei chiodi); la forma forse più tipica è in anfora con una stele infissa nel terreno ed inserito nell’anfora un tubo in terracotta che raggiungeva la superficie utilizzato per le offerte rituali.

Sepolture ad inumazione

L’inumazione poteva avvenire in nuda terra o in cassa di tavole di legno tenute assieme da chiodi o in cassa in lastre di pietra o in cassa laterizia o in cassa di tegole (dove a differenza della cappuccina le tegole realizzavano una forma parallelepipeda) o in cappuccina.
Durante il Basso Impero (nel IV e V secolo d.C.) spesso veniva utilizzato materiale lapideo e anche laterizio di reimpiego asportato da altre tombe risalenti all’Alto Impero che potevano trovarsi nelle vicinanze.


I Puticuli - il cimitero pubblico del campo Esquilino

I puticuli erano ampie buche profonde tra i 5 ed i 10 metri situate fuori della porta Esquilina, alla sinistra della antica via Labicana che da qui partiva; erano utilizzate in epoca repubblicana come discariche pubbliche in cui venivano gettati rifiuti, carcasse di animali ed anche i corpi dei poveri e dei condannati giustiziati; quando una buca si riempiva veniva coperta alla meglio e si provvedeva a scavarne un’altra; in breve il luogo divenne inquietante ed inabitabile.
Dei puticuli parlano Varro, Festo ed il poeta Orazio.
Durante la costruzione del quartiere Esquilino furono numerosissimi i rinvenimenti di questi pozzi documentati da Rodolfo Lanciani.
Nel I secolo a.C. a causa della incontenibile espansione della città si prese a proibire tale pratica e Augusto fece ricoprire l’intera area con 8 metri di terra bonificandola definitivamente ed assegnandola a Mecenate che qui realizzò i giardini che presero il suo nome.

approfondimento: i Puticuli e il campo Esquilino


Le sepolture cristiane

In questa pagina ho considerato quasi esclusivamente tombe pagane; tuttavia durante tutta l’epoca imperiale il Cristianesimo prese lentamente a diffondersi e nel corso del IV secolo, a partire da Costantino, divenne gradualmente la religione di Stato; già con l’Editto di Tessalonica promulgato da Graziano, Valentiniano e Teodosio nel 380 d.C. coloro che non aderivano alla religione Cristiana erano dichiarati dementi e passibili delle pene divine e imperiali; ovvio quindi che a partire dalla fine del IV secolo d.C. le sepolture furono tutte, più o meno, cristiane.
I Cristiani adottarono numerose tipologie funerarie pagane, quali le camere ipogee e i sarcofagi, ma la più nota e diffusa tipologia funeraria Cristiana, peculiare di questa religione, consisteva in sepolcri ipogei ad inumazione di natura collettiva, le Catacombe.

Zone sepolcrali ancora esistenti a Roma

Nei tempi antichi lungo le principali strade fuori delle mura ed in ampie aree nei terreni prospicienti si presentava una distesa di monumenti funerari di ogni tipo; sono rimaste pochissime aree che possano rendere una vaga idea di come era; i principali luoghi ove si conserva una parvenza dell’aspetto originario sono il Parco dell’Appia Antica, che si sviluppa per chilometri sui bordi della Regina Viarum e che conserva ancora moltissime tombe, sebbene siano quasi tutte ruderi o con pochi resti marmorei ed estremamente diradate rispetto a quante erano originariamente, ed il Parco delle Tombe di via Latina, che conserva alcuni tempietti laterizi o la sola camera ipogea ed altri pochi ruderi.

Nel secondo frontespizio del Tomo 2 delle Antichità Romane il Piranesi disegnò una composizione visionaria e fantastica che raffigura uno scorcio della via Appia nei pressi di Roma; nella incisione su una lapide è scritto:

“Prospetto dell’antico bivio delle vie Appia e Ardeatina alla II lapide fuori di porta Capena”

Necropoli della via Cornelia e della via Trionfale

All’interno della Città del Vaticano si sono conservati notevolissimi sepolcreti grazie alla situazione di particolare controllo dell’area che ha impedito gli sciacallaggi e grazie alla lungimiranza delle autorità ecclesiastiche che una volta avvenute le scoperte hanno conservato in situ molti reperti e valorizzato tali aree:
• L’area della necropoli sotterranea di San Pietro
sotto al pavimento della basilica si trova quello della basilica costantiniana del IV secolo e tra i due pavimenti sono le Grotte Vaticane in cui stanno i sarcofagi dei Papi; sotto la basilica costantiniana si trova l’antica via Cornelia con la tomba di Pietro, consistente in una semplice tomba a fossa (perlomeno quella che si ritiene essere la tomba di Pietro); il luogo della sepoltura venne poi monumentalizzato da Costantino prima di interrarlo costruendovi sopra la prima Basilica detta appunto Costantiniana; la tomba dell’Apostolo si trova sotto l’altare centrale ed esattamente sotto al vertice della cupola; in tempi moderni (intorno al 1940) tutta la lunghezza della antica basilica costantiniana (molto più corta della attuale basilica rinascimentale) venne scavata al livello della antica via Cornelia ed emersero dagli scavi alcuni sarcofagi e tempietti pagani in laterizio; la visita virtuale dà un’idea di quale sia l’aspetto del sito... rimanendo comodamente seduti. Visite.
Necropoli del Vaticano
All’interno del minuscolo Stato sono venute alla luce quattro differenti aree sepolcrali pagane e cristiane:

  • settore dell’Annona
  • settore della Galea
    rinvenuto negli anni 30 del XX secolo; nel 1993 i lavori per il parcheggio all’aperto della fontana della Galea per complessivi 1100mq portarono nel 1994 alla prosecuzione degli scavi della Galea
  • settore autoparco
    nell’autoparco e parcheggio all’interno della Città del Vaticano si trovano oltre 400 tombe quasi tutte pagane, ricchissime di corredi mosaici stucchi; scoperte nel 1956, il Vaticano decise la conservazione sul posto di tutto ciò che veniva ritrovato.
  • settore Santa Rosa - necropoli della via Triumphalis
    nel 2003 scavi nel piazzale di Santa Rosa per la realizzazione di un parcheggio portarono al rinvenimento di un nuovo settore su un’area di 500 metri quadrati con 40 edifici e 200 tombe risalenti ad un ampio periodo (dal I secolo a.C. al IV secolo d.C.) rimaste ora nei sotterranei del parcheggio; nel sito si trovano colombari, sarcofagi e numerose tombe povere quali tombe a fossa per l’inumazione e tombe a pozzo per la deposizione delle ceneri contenute in anfore, alcune delle quali segnalate da are e stele iscritte.
    L’area si è salvata nei secoli grazie ad una frana del monte Vaticano che la sepolse già in epoca romana; nel 2006, a soli tre anni dai ritrovamenti, l’area archeologica è stata aperta al pubblico.
    I reperti sono stati mantenuti nel luogo di rinvenimento, salvo quelli più preziosi trasferiti in bacheche, evitando così la decontestualizzazione dell’epigrafe dall’anfora cui è riferita e dal luogo in cui questa stessa venne deposta.
    Alcune delle tombe ritrovate sono:
    • la tomba a camera dei Passieni , con due are risalenti a Nerone ed all’età flavia
    • il sarcofago di Publius Caesilius Victorinus risalente alla fine del III secolo d.C. e dedicata ad un cavaliere di 17 anni probabilmente cristiano; il sarcofago risalente a poco prima dell’Editto di Milano era posto sopra la pavimentazione a mosaico della camera di una tomba pagana
    • il sepolcro di Cocceia Marciano, honesta foemina
    • il sepolcro di Flora figlia di Tiberius Claudius Optatus
    • la stele di Alcimus servo di Nerone addetto alle scene del Teatro di Pompeo
    • la semplice stele di Fabia Xenice la cui iscrizione riporta:

      «D(iis) M(anibus)
      Fabiae Xenices
      Fabius Onesimus
      libertae idemq(ue)
      coniugi
      ob piitate filior
      vix(it) A.XXIV M.III D.VI»


      “Agli Dei Mani.
      (Realizzato da) Fabio Onesimo a Fabia Xenice liberta e al tempo stesso coniuge per la devozione dei figli.
      Visse 24 anni 3 mesi e 6 giorni.”
    Alcune foto del settore Santa Rosa.
Per visite ai settori Santa Rosa ed Autoparco vedi visite archeologiche al Vaticano.