Gli Antichi Acquedotti Romani


L’acqua se pur abbondante era considerata un bene pubblico prezioso ed era consentito allacciarsi direttamente all’acquedotto solo a poche ville e dietro pagamento di una tassa ed in ogni caso era data la priorità all’approvvigionamento pubblico, alle fontane ed alle terme.
La presenza di acqua potabile in abbondanza (e di un adeguato sistema fognario) fu uno dei fattori decisivi che consentirono a Roma di crescere fino a divenire la più grande città dell’epoca con ben oltre un milione di abitanti ai tempi di Augusto; si stima che ogni abitante di Roma potesse disporre di oltre un metro cubo di acqua al giorno.
Dell'importanza della fornitura idrica alla città i romani erano ben consapevoli ed erano orgogliosi delle loro realizzazioni idrauliche:


Strabone in Geografia (V,III 8) individua negli acquedotti e nel sistema fognario, unitamente alle strade, le più importanti realizzazioni tecniche dei romani.

Così commenta Sesto Giulio Frontino dopo aver descritto i nove acquedotti allora in uso:

Frontinus De Aquis I.16
Tot aquarum tam multis necessariis molibus pyramidas videlicet otiosas compares aut cetera inertia sed fama celebrata opera Graecorum.


Frontino Gli Acquedotti I.16
Con una tale schiera di strutture tanto necessarie e che trasportano così tanta acqua compara, se lo desideri, le oziose piramidi o le altre inutili, se pure rinomate, opere dei Greci.


Plinio così esprime la sua ammirazione per la realizzazione degli acquedotti Claudio ed Aniene Nuovo:

Plinius Maior Historia Naturalis 36.123
quod si quis diligentius aestumaverit abundantiam aquarum in publico, balineis, piscinis, euripis, domibus, hortis, suburbanis villis, spatia aquae venientis, exstructos arcus, montes perfossos, convalles aequatas, fatebitur nil magis mirandum fuisse in toto orbe terrarum.


Plinio il vecchio 36.123
ma se qualcuno calcolerà scrupolosamente l'abbondanza di acqua (fornita) alle (fontane) pubbliche, alle terme, alle cisterne, ai canali, alle case, ai giardini, alle ville suburbane, e la distanza da cui proviene l'acqua, gli archi costruiti, le montagne perforate, le vallate livellate, egli vi confesserà che mai è esistita cosa più mirabile sull'intera Terra.



Mappa degli acquedotti

Nella mappa satellitare seguente è il percorso degli undici acquedotti e l’ubicazione delle loro sorgenti e di alcuni ponti che è ancora possibile ammirare; dall’alta valle dell’Aniene provengono L’Anio Novus, il Marcio, il Claudio e l’Anio Vetus (quest'ultimo molto più basso sul livello del mare) ed hanno tutti grosso modo lo stesso percorso: dapprima seguono il corso dell’Aniene fino a Tivoli; da qui deviano verso sud attraversando le colline intorno a Gallicano e Gericomio e seguono la linea pedemontana dei colli Albani giungendo a Capannelle ed al parco degli Acquedotti, dove Anio Novus, Marcio, Claudio, e anche Tepula e Julia, provenienti dai Colli Albani, avevano le loro piscine limarie; da questo punto proseguivano, tutti su arcate monumentali ad eccezione dell'Anio Vetus che rimane sotto terra, dirigendosi verso la località Spes Vetus nei pressi di Porta Maggiore, seguendo la cresta di terra che separa la valle dell'Aniene dalla valle del Tevere.




Visualizzazione ingrandita della mappa degli antichi acquedotti di Roma

In rosso sono evidenziati ii luoghi dove sono ancora visibili resti fuori del terreno su sostruzioni (basse strutture murarie continue) o su arcuazioni relativi agli acquedotti romani antichi; non sono indicati in rosso i tratti sotterranei, ancora in gran parte esistenti seppure inaccessibili.
Le indicazioni sui tratti visibili relativi a Vergine e Traiana sono riportate nella mappa relativa agli acquedotti rinascimentali.
Indicazioni molto più dettagliate sulla mappa dell'acquedotto Alessandrino sono in un'altra pagina.

spring marker Ubicazione delle sorgenti
bridge marker Localizzazione di alcuni ponti ancora esistenti nell’Agro Romano
Sull’esatto luogo di captazione degli acquedotti

Su tale argomento a partire dagli scritti di Frontino e dalle evidenze archeologiche ancora esistenti numerosi archeologi hanno dedicato approfonditi studi i più noti dei quali sono probabilmente quelli di Lanciani e di Ashby.
Nella mappa satellitare le sorgenti della Vergine (nel parco di Salone) è esatto e corrisponde alla posizione che suggerisce Frontino.
La sorgente della Julia corrisponde alla odierna fonte di Squarciarelli a Grottaferrata; probabilmente la sorgente era alcune centinaia di metri più a monte (verso est) delle attuali fontanelle pubbliche di distribuzione, nei pressi del torrente dell'acqua Crabra.
L'ubicazione delle fonti dell’Alessandrina (nei pressi di Pantano Borghese) è verosimilmente esatta; al riguardo il Fabretti, moderno scopritore di questo acquedotto, ipotizzava che le sue fonti piuttosto che coincidere con quelle del Felice potessero essere poste ad alcune centinaia di metri, nel luogo ove scaturiscono le acque del torrente Osa e ad un livello sul mare lievemente inferiore.
La presa dell’Anio Vetus si trovava 850 metri dopo Vicovaro, in uno slargo sul lato sinistro del fiume alla confluenza col fosso di Fiumicino, dove Canina individuò un laghetto artificiale (Lanciani: Ruins and Excavations of ancient Rome).
Il punto di presa dell’Anio Novus come ultima collocazione era in corrispondenza del primo o del secondo dei tre laghetti artificiali costruiti come scenario per la villa di Nerone (per la quale villa venne anche costruita la via Sublacense).
Non è nota l’ubicazione della fonte Appia che nel de Aquis è collocata tra il VII e l'VIII miglio della Prenestina 780 passi sulla sinistra; studiosi quali Nibby e Parker collocavano le sorgenti tra il VII e l'VIII miglio della Collatina 780 passi sulla sinistra, tra il casale della Rustica e l'Aniene, dove, ad una profondità di 50 piedi in fondo ad una antica cava di pietre, era presente (alla fine del 1800) una sorgente descritta anche da Lanciani; la profondità della sorgente corrisponde esattamente a quanto riportato da Frontino (De Aquis II.65); questo implica però pretendere che Frontino riferendone la dislocazione avrebbe confuso tra Prenestina e Collatina, cosa piuttosto strana in quanto in altri punti del suo scritto questi dimostra di conoscere perfettamente entrambe le strade.
Mi pare comunque interessante segnalare che nella zona sono le sorgenti del colle Mentuccia, che credo siano state scoperte solo in epoca recente e che ACEA convoglia nel Nuovo Acquedotto Vergine; queste si trovano appena oltre il VII miglio della Prenestina, in un tratto di terreno situato tra 600 e 840 passi alla sua sinistra.
Sull’ubicazione delle sorgenti di Marcia e Claudia si son fatte numerose ipotesi; i dubbi nascono dall’abbondanza delle sorgenti che si trovano in quei luoghi tutte fra loro molto ravvicinate, di ottima qualità ed utilizzate sin dai tempi antichi; in proposito nei comentarii di Frontino il Lanciani scrive:
"Abbiamo adunque otto capi d’acqua principali e due di secondo ordine [...]
secondo l’ordine della loro distanza da Roma

[risalendo cioé la valle dell’Aniene verso le sue sorgenti]:
I. Sorgente di s. Maria d’Arsoli
II. Sorgente delle mole d’Arsoli
III. Sorgente della casetta delle forme
IV. Sorgente del lago di s. Lucia
V. Sorgente della prima acqua Serena
VI. Sorgente della seconda acqua Serena
VII. Sorgente della terza acqua Serena
VIII. Sorgente delle Rosoline
IX. Sorgente delle mole d’Agosta
X. Sorgente dell’Agosta
Se ora dovessi esaminare una ad una le opinioni dei vari topografi sulla identità 
di ciascuna di queste sorgenti con le cinque frontiniane e la sesta allacciata da
Caracalla, occuperei lo spazio di mezzo volume [...]
" .
Le 5 fonti frontiniane e la sesta cui fa riferimento il Lanciani sono:
• le tre fonti della Claudia: la Cerulea e la Curzia che formavano due laghetti e l’Albudina situata più in alto e che poteva all’occorrenza alimentare anche la Marcia;
• la sorgente della Marcia posta ad un’altezza all’incirca pari a quella di Cerulea e Curzia;
• la fonte Marcia Augusta, allacciata sotto Ottaviano Augusto, posta 800 passi a sud est e situata ad una altezza tale da potersi immettere tanto nella Marcia quanto nella Claudia;
• la nuova fonte Antoniniana che venne allacciata nel 212 d.C. con Caracalla.

Le mappa delle sorgenti di Acqua Claudia tratta dai Comentarii di Frontino

Mappa delle sorgenti di Claudia e Marcia
tratta dai Comentarii di Frontino di R. Lanciani (nel pubblico dominio).
Le Cerulea e Curzia della Claudia corrispondono
alla prima e seconda Serena e forse al lago di S.ta Lucia;
la Marcia alla terza Serena;
la Marcia Augusta alle Rosoline.
La ottocentesca acqua Pia Marcia corrisponde alla
seconda Serena.

Nei Comentarii si trova una mappa delle sorgenti note in epoca moderna e il Lanciani dopo aver esaminato quanto scritto da Tacito e Frontino e quanto riportato dai precedenti studiosi quali Fabretti, Nibby, Gori, Olstenio e Canina e dopo aver descritto i numerosi riferimenti a lui noti ipotizza in un primo momento che la sorgente della Marcia, descritta da Tacito come un tranquillo laghetto di colore verdastro, potrebbe identificarsi nella sorgente delle Rosoline mentre la Marcia Augusta potrebbe essere la sorgente dell’Agosta; ma cercando di far corrispondere i vari riferimenti basati principalmente sui ritrovamenti di parti dei condotti, sulla misurazione delle distanze delle strade comunque alterate dai rifacimenti delle stesse, sul ritrovamento di alcuni cippi che pure potevano essere stati spostati nel corso dei secoli o che potevano essere stati originariamente collocati in posizione errata o che potevano riportare misure errate in conseguenza di rifacimenti posteriori dei condotti che ne abbreviavano il tragitto, e su quanto scritto da Frontino, conclude la sua analisi asserendo che la sorgente Marcia sia da identificarsi nella terza acqua Serena non più dalle sembianze di stagno forse a causa della sopraelevazione del suolo dovuta alle alluvioni del fiume, le sorgenti Cerulea e Curzia della Claudia nella prima e seconda Serena e forse anche nel laghetto di s.Lucia e la sorgente della Marcia Augusta nella sorgente delle Rosoline; con tali posizioni le indicazioni di Frontino risultano assolutamente corrette ma non tutti gli altri riferimenti noti agli studiosi alla fine corrispondono; riguardo alle posizioni di Albudina e Antoniniana dichiarava in sostanza di non essere in grado di fare ipotesi attendibili.
Nel corso dei secoli la vallata è stata soggetta a numerose alluvioni che ne hanno mutato le forme e sopraelevato i terreni già al tempo dei romani rendendo difficile se non impossibile l’individuazione dei riferimenti citati dagli antichi; a riprova delle notevoli trasformazioni idrogeologiche del luogo nel corso dei secoli, dove erano le sorgenti della Marcia vennero eseguite numerose opere di restauro, con Agrippa (741), Augusto (745-749), Tito (79), Severo e Caracalla (196), Caracalla (212-213), Diocleziano (305-306), Arcadio ed Onorio (400); nuove vene vennero allacciate e la stessa Sublacensis venne inondata e distrutta dal fiume e quindi ricostruita in una posizione lievemente diversa; non deve sorprendere quindi la difficoltà incontrata dagli studiosi nell’individuare con certezza tali sorgenti.

La Traiana prelevava l'acqua da diverse vene a nord del lago di Bracciano sul lato meridionale del monte Raschio nel comune di Manziana; la principale vena di captazione era probabilmente la sorgente "la Fiora" situata a ridosso del torrente Fiora che passa per Vigna Grande e va ad alimentare il lago di Bracciano. Sono queste le stesse sorgenti utilizzate dall'acquedotto costruito nel 1575 dalla famiglia Orsini e ricostruito poi nel 1727, probabilmente ricalcando il medesimo percorso, dalla famiglia Odescalchi (acquedotto Odescalchi), per alimentare il piccolo Ducato di Bracciano che contava poche migliaia di abitanti. Nel 1575 ove era la sorgente venne realizzata la cappella della Madonna del Fiore, oggi sconsacrata e allo stato di rovina; questa venne realizzata inglobando una grotta artificiale che solo recentemente è stata riconosciuta essere il ninfeo della principale sorgente dell'acqua Traianea. La grotta intonacata ed affrescata e le strutture idrauliche romane erano note già da tempo ma venivano riferite all'acquedotto utilizzato per il Forum Clodii (Claudii), insediamento romano ubicato circa dove oggi è Vigna Grande, e quindi scarsamente considerate, come del resto è scarsamente considerato l'intero acquedotto settecentesco della cittadina di Bracciano, che pure in molte parti è sopravvissuto ma lasciato in stato di abbandono; è possibile leggere il resoconto di un'esplorazione del sito risalente al 2005 eseguita da un appassionato, Giuseppe Curatolo, insieme ad alcuni speleoarcheologi dell'Associazione Roma Sotterranea, ma tale ricerca esplorativa non ebbe ulteriori sviluppi; nel 2009 due documentaristi britannici, Michael e Ted O'Neill, mentre stavano preparando un documentario sugli acquedotti giunsero in questo luogo, credo indirizzati dallo stesso Curatolo; gli O'Neill, intuendo l'importanza del luogo, hanno saputo o potuto dare un diverso risalto alla scoperta ed alcuni esperti, presa visione delle scoperte, sono allora giunti ad attribuire la sorgente alla Traiana; le strutture rinvenute sono in opera laterizia ed in opera reticolata di ottima fattura.
Alla Tepula si attribuisce la Fonte Preziosa a Grottaferrata, di cui però ancora non conosco l’esatta ubicazione (questione di alcune centinaia di metri).
L’Alsietina captava l'acqua dal lago di Martignano e rimase a secco per un abbassamento del livello dell'acqua già in epoca imperiale; l'ubicazione del punto di presa è nota con esattezza, ma non a me.

Sul tracciato degli acquedotti

Per il percorso fuori della città del Vergine ho utilizzato in prima approssimazione la piccola mappa diffusa dall’ACEA integrandola poi con i riferimenti noti.
Per il percorso fino a porta Maggiore di Anio Novus, Vetus, Claudia e Marcia e per il tratto sotterraneo dell’Alessandrino fino al colle Prenestino ho utilizzato principalmente la mappa realizzata da Ashby e pubblicata in The Aqueducts of Ancient Rome.
Ai primi del 1900 erano ancora molte decine i tratti di resti visibili su arcuazioni o su strutture murarie degli acquedotti della valle dell'Aniene descritti da Ashby e da Lanciani, alcuni lunghi anche chilometri, ma non ho idea di quanto ne sia rimasto oggi.
Per la Traiana ho utilizzato i pochi riferimenti noti, le informazioni note sulle località che attraversa ed una approssimativa analisi altimetrica.
Per i tratti sotterranei di Tepula e Julia non ho ancora trovato alcuna informazione.
Per l’acqua Appia, la diramazione della Marcia Antoniniana e l’Alsietina non si ha idea di quale sia il loro reale percorso se non in modo approssimato.
Per la parte interna alle mura mi sono principalmente basato sui lavori di Lanciani: i Comentarii di Frontino e la Forma Urbis Romae.
All’interno delle mura Aureliane una bella mappa interattiva molto dettagliata si trova nella storia cartografica the Waters of the City of Rome (linkato più in basso).

Testi di riferimento
Le acque della città di Roma
Mappa del sistema idrico di Roma Antica dalla nascita (753 a.C.) al 1700 d.C.
Mappa di Roma Antica
Altri riferimenti
Alcune unità di misura romane

pes: un piede romano = 29,64 centimetri
passus: un passo romano (passo doppio) = 5 piedi = 148,2 centimetri
Lanciani utilizzava come riferimento per il passo una misura di 147,9 centimetri
miliarus : un miglio romano = mille passi = 1482 metri


1 Quinaria = 41,73 mc/giorno = 0,483 litri/sec
[dagli studi di C. Di Fenizio, Sulla portata degli antichi acquedotti romani e determinazione della quinaria, Roma, Tipografia del Genio Civile, 1916].
Lanciani assegnava invece alla quinaria il valore di 63,18 metri cubi al giorno.

Per le sezioni delle tubature si utilizzavano (semplificando molto) le seguenti unità di misura (Frontino - De Aquis I.24 e seguenti):
digitus: 1/16 di piede = 1,8525 centimetri
uncia: (pollice): 1/12 di piede = 2,47 centimetri


Sulla portata degli acquedotti c’è da osservare che i romani, se pur abilissimi ingegneri, non definirono chiaramente il concetto di portata di un condotto d’acqua associandolo ad una misura di superfice piuttosto che a quello di superfice per velocità; questo ha comportato una certa qual approssimazione nelle misurazioni effettuate dal Curator Aquarum Sesto Giulio Frontino.
C’è anche da osservare che in generale la portata misurabile all’origine era sempre molto superiore a quella riscontrabile al castello terminale a causa delle perdite, degli allacci autorizzati e dei prelievi abusivi.
A complicare ulteriormente le misurazioni delle portate diversi acquedotti potevano scambiarsi l’acqua a seconda delle esigenze:
la Marcia Augusta alimentava il Marcio, ma poteva essere deviata nel Claudio;
la Tepula, che era piuttosto scarsa, riceveva acqua dalla Julia e dalla Claudia;
la Claudia alimentava anche la Julia;
l’Anio Nuovo poteva in caso di necessità alimentare tanto la Claudia quanto la Marcia.

Stazio scrive che la più fredda fra le acque era la Marcia; il laghetto di Santa Lucia ha una temperatura di meno di 8 gradi; Tacito narra di quando Nerone decise di profanare le sacre acque sorgive della Marcia attraversandone lo stagno a nuoto ed in conseguenza di questa nuotata si ammalò e quasi morì.
La più calda era probabilmente la Tepula che era a 16 - 17 gradi.
Quelle di peggior qualità l'Anio Vecchio e l'Alsietina, usate comunque solo per l'irrigazione e per alimentare i ninfei.

Le quote degli acquedotti di Roma

Gli acquedotti raggiungevano la città a differenti livelli; Frontino li definisce dal più alto al più basso: Aniene Nuovo, Claudia, Julia, Tepula, Marcia, Aniene Vecchio, Vergine, Appia, Alsietina; a questi si devono aggiungere i due posteriori a Frontino: l’Alessandrina sicuramente più bassa del Marcio e la Traiana che arrivava alla quota più alta di tutti; come spiega il Frontino in Aquis I.18 il Marcio arriva in città parecchi metri più basso del Claudio pur partendo da sorgenti molto vicine; questo probabilmente perché o non avevano ancora affinato la tecnica per ottenere la giusta livellazione o preferirono farlo procedere sottoterra per quanto possibile onde minimizzare il rischio che venisse interrotto dai popoli italici con cui i romani erano ai tempi della Repubblica ancora in lotta.

Le piscine limarie

In prossimità della città alcuni acquedotti avevano le loro proprie piscine limarie, una successione di vasche che consentivano all’acqua di liberarsi di tutte le impurità trasportate durante il tragitto; quelle di Claudia, Anio Novus, Marcia, Tepula e Julia erano al settimo miglio della via Latina, al Parco degli Acquedotti (Capannelle).
L’Anio Vetus aveva la sua piscina limaria al IV miglio della via Latina (De Aquis I,21), nelle vicinanze di Porta Furba.
Gli altri acquedotti, Virgo, Appia e Alsietina, non avevano proprie piscine limarie (De Aquis I,22); la piscina limaria del Vergine al vicolo del Bottino venne evidentemente realizzata dopo che Frontino scrisse il de Aquis.

Il cippo (Cippus)

I cippi sono delle pietre di delimitazione e segnalazione ed erano di due tipi: iugerali (lungo il percorso) o terminali; per gli acquedotti venivano disposti ad intervalli di 240 passi ed erano utilizzati per segnalare il corso dell’acquedotto e delimitare lo spazio riservato al condotto e precluso a qualunque altro uso (all’interno della città era stabilito in 15 piedi da ogni lato del condotto); erano numerati e riportavano altre iscrizioni assumendo la medesima funzione che le pietre miliari avevano per le strade; un cippo terminale poteva essere realizzato in travertino di forma squadrata alti due metri e con lati di 50 centimetri.

Il puteo (Puteus)

I putei sono dei pozzi verticali realizzati lungo il tracciato dell’acquedotto sotterraneo utilizzati dai romani per accedere alle gallerie durante gli scavi ed aerarle, per portare all’esterno il materiale di scavo e per eseguire successive ispezioni e manutenzioni; normalmente rimanevano chiusi da una lastra di travertino dotata di un foro centrale chiuso da un ulteriore blocchetto di pietra.


Tipologia costruttiva degli acquedotti

Un acquedotto è una infrastruttura realizzata per trasportare l'acqua dalle sorgenti ad un luogo abitato.
Si tratta sostanzialmente di un condotto realizzato in opera quadrata o in opera cementizia e foderato internamente con coccio pesto per impermeabilizzarlo; tale condotto e sempre interamente coperto per proteggere l'acqua che trasporta dalla contaminazione esterna (terra, animali); la cavità interna in cui scorre l'acqua è chiamata speco. Lo speco aveva delle dimensioni tali da consentire il comodo passaggio di un uomo, onde consentire la manutenzione dello stesso rimuovendo il calcare che nel corso degli anni si depositava sulle pareti e sul fondo.
Il condotto dell'acquedotto romano era costruito in lieve costante pendenza (circa un metro di dislivello per ogni chilomentro) in modo da sfruttare la forza di gravità per far scorrere l'acqua a pelo libero dalla sorgente al luogo di distribuzione; quindi era necessario che le sorgenti si trovassero ad un livello sul mare superiore di quello in cui l'acqua era prelevata per essere consumata; il suo percorso risultava piuttosto tortuoso dovendo seguire l'orografia del terreno in modo da mantenere la giusta quota e velocità per il flusso d'acqua e non perdere altezza in quanto più il castello terminale era alto e maggiore era l'area servita.

Per dare al condotto la giusta altezza in ogni punto questo era costruito su una base o fondamenta; a seconda dell'altezza dello speco rispetto al livello del terreno si possono individuare tre tipologie realizzative:

  • Speco Sotterraneo - normalmente la maggior parte del percorso di tutti gli acquedotti procedeva sottoterra; se le gallerie venivano scavate direttamente nel tufo questo veniva poi semplicemente ricoperto di signino per rendere le pareti impermeabili; se il condotto procedeva dove il terreno era incoerente veniva realizzata una parete in opera quadrata o opera reticolata oppure in opera laterizia a seconda del periodo con copertura a doppio spiovente o piana nei più antichi (anio vecchio, appio) o copertura a volta.
  • Sostruzione - struttura muraria continua (substructio) utilizzata quando lo speco rimaneva al di sopra del livello del terreno ma non sufficientemente alto da poter realizzare le arcate
  • Su arcate - utilizzate quando lo speco era ad almeno un paio di metri dal suolo; per la realizzazione degli archi nell'epoca Repubblicana veniva utilizzata l'opera quadrata; successivamente, nel corso del periodo Imperiale, si preferì l'utilizzo dell'opera laterizia e le arcate in opera quadrata venivano consolidate utilizzando una incamiciatura in opera laterizia.
    A Roma tale cambiamento avvenne a metà del I secolo d.C.; infatti l'acquedotto di Claudio è in opera quadrata e la sua costruzione fu iniziata nel 38 d.C. e terminata nel 52 d.C. mentre l'acquedotto di Nerone, in opera laterizia, fu realizzato dopo l'incendio di Roma, tra il 64 d.C. ed il 68 d.C..
    Perché usare gli archi e non la muratura piena
    Riguardo la realizzazione degli acquedotti tramite arcate, evidentemente questa era una necessità in taluni punti quali l'attraversamento di un torrente o lo scavalcamento di una strada, ma ci si potrebbe chiedere perché realizzare le arcate lungo tutto il percorso in sopraelevato del condotto, utilizzando cioé una tecnica costruttiva piuttosto complessa.
    Occorre intanto considerare che la realizzazione di una lunga muratura avrebbe impedito il passaggio a persone e animali, creando quindi un certo disagio in chi frequentava quel luogo e probabilmente grossi problemi in caso di forti piogge; ma se fosse stato questo il problema si sarebbero evidentemente potuti limitare a realizzare solo pochi archi nei fondi valle o in punti strategici e non una schiera continua di arcate.
    A mio avviso la motivazione va ricercata nel dimezzamento del materiale da costruzione necessario, introducendo una complicazione tecnica che evidentemente era risolta senza eccessivi problemi da pochi operai molto specializzati ed esperti aiutati da una gran quantità di operai scarsamente specializzati; infatti la realizzazione di un arco, una volta acquisite le necessarie capacità tecniche, non era molto più complessa della realizzazione di una muratura continua; costruire un muro continuo che poteva arrivare ad un'altezza di anche decine di metri richiedeva evidentemente la stessa cura ed attenzione richieste dalla realizzazione di una struttura su arcuazioni: pensando ad una muratura in opera quadrata è evidentemente necessario realizzare i blocchi con altezze uniformi e con tagli precisi e paralleli, e quindi con la stessa precisione richiesta per realizzare i piedritti degli archi altrimenti la struttura non si sosterrebbe; usando gli archi, a fronte della lieve maggior difficoltà tecnica (la realizzazione di alcuni blocchi a concio, la posa in opera della centina ed un maggior lavoro per regolare la lunghezza dei massi), si poteva però utilizzare circa la metà del materiale da costruzione dimezzando così il gravoso problema del reperimento, lavorazione e trasporto del materiale stesso. Analogo discorso può farsi per gli archi in laterizio; l'unica difficoltà tecnica ulteriore è l'utilizzo della centina, ma il risparmio di calce, pozzolana e caementa è evidente, anche se non si ha un risparmio nei mattoni del rivestimento.



Tabella riassuntiva degli 11 acquedotti antichi a Roma

Gli acquedotti di Roma antica sono 11, se per acquedotto si intende una infrastruttura completa, dai luoghi delle sorgenti fino ai castelli di distribuzione; furono costruiti numerosi altri condotti parziali che catturavano acque da nuove sorgenti andandosi poi ad immettere in uno degli undici principali, oppure che partivano da una diramazione di uno degli undici principali nei pressi della città per andare ad alimentare nuove strutture.


Acquedotto Acquedotto parziale Curator Anno di costruzione Portata giornaliera alla sorgente Lunghezza
Aqua Appia   Appio Claudio 312 a.C. 841 quinarie - 34.000 mc
1.825 quinarie - 75.000 mc
11.190 passi
Anio Vetus   Manio Curio Dentato 272 - 270 a.C. 2.362 quinarie 43.000 passi
Aqua Marcia   Quinto Marcio 145 a.C. 4600 187.000 mc 61.710 passi
Aqua Tepula     125 a.C. 16.000 - 18.000 mc
Aqua Iulia   Agrippa 33 a.C. 48.000 - 50.000 mc 15.426 passi
  Specus Octavianus Agrippa      
Aqua Virgo   Agrippa 19 a.C. 100.000 - 103.000 mc 14.105 passi
  Aqua Appia Augusta
(Appia)
Agrippa 11 - 4 a.C. 984 quinarie  
  Aqua Marcia Augusta
(Marcia)
Agrippa 11 - 4 a.C.    
  Rivus Herculaneus        
Aqua Alsietina     2 a.C. 16.000 mc 22.172 passi
Anio Novus     38 - 52 d.C. 190.000 mc 58.700 passi
Aqua Claudia     38 - 52 d.C. 184.000 - 196.000 mc 46.606 passi
  Arcus Neronis
(Claudia)
       
  Aqua Domitiana
(Claudia)
Frontino ? Tra 81 d.C. e 92 d.C.    
Aqua Traiana     109 d.C. 118.000 mc 32 km
  Aqua Marcia Antoniniana
(Marcia)
  212 - 213 d.C.    
Aqua Alexandrina     226 d.C. 22.000 mc 24 km

Aqua Appia

Cronologicamente il primo ad essere costruito nel 312 a.C. ad opera dal Censore Appio Claudio Crasso (Appius Claudius Crassus) (lo stesso che diede il nome alla via Appia).
Nel De Aquis I.5 si legge che le sorgenti erano tra il VII e l’VIII miglio della via Prenestina a 780 passi (circa 1156 metri) per una stradina sulla sinistra in una località denominata Agro Lucullano.
Era lungo 11.190 passi di cui 60 passi su strutture in muratura e su archi a Porta Capena ed 11.130 sottoterra.

Arrivava a Porta Maggiore in sotterranea a parecchi metri di profondità seguendo un percorso situato tra Prenestina e Collatina; da porta Maggiore entrava in città e attraversava il colle del Celio e quindi nei pressi di Porta Capena (l’unico tratto su archi dell’intero percorso) passava dal Celio al piccolo Aventino, da questo al Grande Aventino ed infine attraversando il colle sbucava al Foro Boario nei pressi della Porta Trigemina delle mura Serviane, ed il castello terminale era posto vicino al Clivo Publicio, all'incirca a 15 metri sul livello del mare.
Frontino indica solo quattro riferimenti di tutto il percorso: le scaturigini, ad spem veterem, l'opera arcuata nei pressi di porta Capena ed il Clivus Publicius.

Lo speco dell'acquedotto sotterraneo venne individuato nella gola tra i due Aventini in viale Aventino dal Fabretti nel 1677 in una cava di tufo che il Lanciani ritiene essere quella utilizzata in epoca rinascimentale per la realizzazione del Bastione del Sangallo e ubicata all'angolo tra via di Porta S.Paolo (viale Aventino) e via di S.Saba; il Lanciani stesso testimonia di aver esplorato più volte quello stesso sito a partire dal 1876 e di aver percorso lo speco per cento metri.

Fu restaurato nel 144 a.C. ad opera di Quinto Marcio Re in concomitanza con la costruzione dell’aqua Marcia e nel 33 a.C. ad opera di Marco Agrippa il curator aquarum ai tempi di Ottaviano Augusto.

Aqua Appia Augusta

Sotto Augusto tra l’11 ed il 4 a.C. ne fu raddoppiata la portata captando nuove sorgenti situate da Frontino al VI miglio della via Prenestina, raggiungibili prendendo un diverticolo sulla sinistra a 980 passi dalla consolare (1550 metri), nei pressi quindi della Collatina; il nuovo acquedotto di Augusto percorreva 6.380 passi in sotterranea prima di collegarsi al primo in località ad Gemellos della Speranza Antica, nei pressi di Porta Maggiore.

Lanciani individuò il diverticolo che conduceva alla sorgente nel sito che era noto come "muraccio dell'uomo"; la fonte doveva trovarsi all'incirca tra Tor Sapienza ed il Raccordo Anulare.

Anio Vetus

Venne costruito nel 272-270 a.C. impiegando i proventi del bottino catturato a Pirro e fu cronologicamente il secondo dell’antica Roma ad essere realizzato quando era censore Manio Curio Dentato (Manius Curius Dentatus).
L'acqua era prelevata dall'Aniene dopo Tivoli sulla Tiburtina al XX miglio dopo una Porta di cui nel testo originale frontiniano non si legge il nome per una lacuna e Lanciani concorda col Canina che collocava il punto 850 metri sopra San Cosimato, alla confluenza con l'Aniene del fosso di Fiumicino, dove Canina individuò un laghetto artificiale.
Frontino riporta che era lungo 43.000 passi di cui 42.779 sottoterra e 221 passi su strutture murarie sopra il livello del terreno; Lanciani ritiene la lunghezza essere in realtà di 33 miglia e non di 43.
I romani lo costruirono completamente sottoterra e seguendo un percorso molto tortuoso per non far abbassare troppo il livello dell’acqua, forse perché ancora non avevano perfezionato la tecnologia costruttiva degli acquedotti, forse per cercare di proteggerlo da eventuali tentativi di interromperlo ad opera dei popoli italici che via via Roma stava sottomettendo (la terza guerra sannitica che sanciva il dominio di Roma sull’Italia centro meridionale era terminata nel 290 a.C. e la prima guerra punica sarebbe cominciata nel 264 a.C.).
Lo speco sotterraneo era realizzato con pietre squadrate rivestite qua e là in opera reticolata con copertura a doppio spiovente, protetta nei successivi restauri con voltine in mattoni.
Una parte dell'acqua era deviata ad alimentare Tivoli.
Frontino riferisce di una piscina limaria al IV miglio dell'acquedotto che corrisponde all'incirca alla posizione di Porta Furba.

Lungo la Labicana dall'altezza del mulino dell'ex pastificio Pantanella in direzione di Porta Maggiore era il tratto su strutture sopra terra in peperino di 221 passi descritto da Nibby e del quale testimonia anche Lanciani; venne ancora individuato appena alla destra di porta Maggiore (forse nel luogo ove oggi si vede ai piedi delle mura e dal loro lato esterno, dietro le piante e nei pressi dell'acqua marcia, un riquadro in travertino infisso nel muro) e Piranesi nel 1784 lo disegnò nelTomo I Tavola X fig.1 delle Antichità in cui appare come se fosse esterno e non interrato penso in quanto probabilmente fu completamente isolato dal terreno a scopo di studio e inoltre Piranesi amava astrarre l'oggetto del disegno dal contorno; nel 1861 Lanciani scoprì un ulteriore tratto dello speco, 450 metri fuori di Porta Maggiore, tra Prenestina e Casilina (dove oggi è il deposito dei Tram); si manteneva per un breve tratto parallelo alla Prenestina e piegava bruscamente verso la Labicana passando sotto la ferrovia stessa; il fondo dello speco era a 4,60 metri sotto il livello della strada, ad una altezza di 45,40 metri sul livello del mare; si può vedere la mappa di questi tratti nella Forma Urbis Romae Tavola XXXII quadrante Nord Ovest.
Da Porta Maggiore fino al castello terminale all'arco di Gallieno venne individuato numerose volte durante la costruzione del quartiere Esquilino e della stazione Termini come documentato da Lanciani; il condotto non procedeva direttamente verso la porta Esquilina ma effettuava un ampio giro in modo da seguire la linea di massima altezza del colle così da non emergere mai; nel 1861, spianando il terreno per la realizzazione della stazione, al centro della villa Negroni-Massimi venne rinvenuto il VII pozzo (situato quindi ad una distanza di 497 metri dal castello, dove oggi è l'ultimissimo tratto dei binari all'interno della stazione Termini) in opera reticolata di epoca Augustea profondo 16,50 metri ed una coppia di cippi iugerali; da questo verso il castello vennero complessivamente trovati 5 pozzi di accesso, tutti chiusi da lastre di travertino con al centro fori quadrati o tondi tappati con un altro blocchetto di travertino; nel 1873 all'incrocio tra via Principe Umberto (ora via Turati) e le mura serviane vennero rinvenute strutture di una serie di piccole cisterne relative all'Anio Vetus e fu trovato il condotto a 2 metri di profondità; lo stesso anno il condotto ed altre piscine augustee all'angolo tra via Principe Amedeo con piazza Manfredo Fanti ed il condotto anche su via Napoleone III; in seguito ne vennero rinvenuti i resti anche sotto i palazzi che collegano questi tre punti; nel 1877 venne rinvenuto all'angolo tra via Carlo Alberto e via Mazzini (ora via Cattaneo), in prossimità della sua terminazione; infine nel 1881 venne ritrovato pochi metri all'interno delle mura Aureliane all'altezza di Porta San Lorenzo; anche questi tratti sono visibili nella mappa di Lanciani, Tavola XXIV - Esquilinus.

Specus Octavianus

Sotto Augusto venne costruita una diramazione dell'Anio Vetus nota come condotto di Ottaviano che partiva approssimativamente dal II miglio dell'acquedotto principale (De Aquis I,21), situato all'interno della vigna Serventi oggi borgo del Pigneto, mentre la gran parte dell’acqua proseguiva in direzione di Spes Vetus e giungeva quindi alla Porta Esquilina dove aveva il castello terminale.
La derivazione attraversava la zona di Santa Croce in Gerusalemme, San Giovanni in Laterano, porta Metronia e porta Latina conducendo l’acqua agli Orti Asiniani dove in seguito sarebbero sorte le terme di Caracalla.

Ne vennero rinvenuti i probabili resti in opera reticolata di epoca augustea in 6 punti diversi lungo le mura Aureliane: all'angolo del Sessorio con l'anfiteatro castrense (Piranesi), tra seconda e terza torre a levante di Porta S.Giovanni, sotto il palazzo del Laterano (Nibby), alla seconda torre a levante di Porta Metronia (Piranesi), fra Porta Metronia e Porta Latina in cui per un tratto è parte delle fondamenta delle mura (Gell), a porta Latina dove venne rinvenuta una piscina.

Aqua Marcia

Preso atto che l'aumento della popolazione aveva determinato un abbassamento dell'acqua disponibile a soli 430 litri a testa al giorno, il senato di Roma incaricò nel 145 a.C.il pretore Quinto Marcio Re di costruire il nuovo acquedotto, che da lui prese il nome di Marcius.
Le sorgenti erano ubicate al XXXVI miglio della via Tiburtina Valeria, prendendo un diverticolo sulla destra e seguendolo per tre miglia, oppure arrivando al XXXVII miglio della via Sublacense e seguendo un viottolo sulla sinistra per meno di 200 passi.
Le sorgenti si trovano quindi nell’alta valle dell’Aniene tra Marano Equo e Àrsoli e quest’acqua fu sempre considerata la più pura e salubre tra tutte quelle che arrivavano all’Urbe, come anche ci testimonia Plinio il Vecchio:
“La migliore acqua del mondo per freddo e sanità, a testimonianza di tutta Roma, è l’Acqua Marcia, tra gli altri doni degli dei concessa a Roma.”

La sua lunghezza era di 61.710 passi (91 km) di cui 7.463 passi (11 chilometri) in condotta sopraelevata su arcuazioni.

Sopra il condotto del Marcio successivamente vennero costruite altre due condotte realizzate in opera laterizia onde non appesantire troppo la struttura: l’acqua Tepula che scorreva nel livello intermedio e l’acqua Julia nel livello superiore.
Come inciso sulla Porta San Lorenzo venne restaurato da Augusto, nel 5 a.C..
Altri lavori di restauro vennero eseguiti sotto Tito nel 79 d.C..
Settimio Severo nel 196 d.C. fece realizzare una derivazione per alimentare le terme Severiane.
Caracalla lo restaurò nel 212-213 d.C..
Con Diocleziano nel 305 - 306 d.C. fu realizzata un'altra diramazione per alimentare le Terme di Diocleziano sul Viminale.
Arcadio ed Onorio per ultimi eseguirono lavori di restauro.
Sono rimasti visibili gli spechi dei tre acquedotti a Porta Maggiore e a Porta Tiburtina.
All’interno del raccordo anulare gli archi del Marcio ancora in piedi con sovrastanti resti della Tepula sono solo al parco degli acquedotti (240 metri appena dopo la emersione dal terreno) ed in prossimità del vicolo di Porta Furba (circa 10 archi all’interno del terreno della Banca d’Italia); nel tratto dal Parco degli Acquedotti e fino a porta Furba il Felice poggia interamente sui pilastri del Marcio che vennero tagliati a varie altezze per poi costruirvi sopra il nuovo condotto e che risultano in taluni punti visibili sotto il rivestimento dell’acquedotto rinascimentale.

Aqua Marcia Augusta

Sotto Augusto tra l’11 ed il 4 a.C. ne venne raddoppiata la portata con un ulteriore sorgente posta ad 800 passi a sud est della prima, appena sotto Agosta.

Aqua Marcia Antoniniana

Sotto Marco Aurelio Antonino detto Caracalla intorno al 212-213 d.C. venne ulteriormente arricchita con la Fonte Antoniniana (Fons Antoninianus) e venne realizzata la diramazione dell’aqua Antoniniana.
La diramazione si staccava dall’acquedotto principale all’altezza di Porta Furba, attraversava la via Latina nei pressi dei Cessati Spiriti ed andava ad alimentare le Terme di Caracalla; di questa sono rimasti l’arco di Druso sull’Appia Antica a pochi metri da Porta San Sebastiano ed un breve tratto di ruderi in piazza Galeria.

Rivus Herculaneus

Era una diramazione dell’acqua Marcia che giungeva sino a Porta Capena; non è noto quando fu costruito, presumibilmente era parte dell'originario sistema della Marcia.
Il castello utilizzato per la derivazione era situato in una delle torri (non più esistente) della cinta Aureliana e precisamente in quella che era la quarta torre a sud di Porta San Lorenzo.
Il castello terminale era nei pressi della porta Capena (Frontino 1.19), presumibilmente dal versante del Celio; successivamente Traiano condusse l'acqua Marcia sin sull'Aventino (Frontino 2.87), presumibilmente tramite sifoni.

Aqua Tepula

Realizzata nel 125 a. C. dai censori Cn. Servilio Cepione e L. Cassio Longino Ravilla fu l’ultimo acqua ad essere portata a Roma in epoca repubblicana; proviene dalle sorgenti delle Pantanelle e dell’Acqua Preziosa appena sotto Marino, due miglia sulla destra del decimo miglio della via Latina, alle pendici dell’antico vulcano laziale.
Aveva una scarsa portata e deve il suo nome al fatto che fosse tiepida (intorno ai 16 - 17 gradi).

Aqua Julia

Venne realizzata nel 33 a.C., mentre era edile Agrippa, durante il secondo consolato di Cesare Augusto. La sorgente è situata al dodicesimo miglio della via Latina, a due miglia da questa su di una strada alla destra, in prossimità quindi della fonte di Squarciarelli a Grottaferrata; ha una lunghezza di 15.426 passi, di cui 7.000 in muratura sotterranea, 528 su strutture in muratura sopra terra e 6.472 su archi. La sua lunghezza era di 58.700 passi di cui 49.300 sottoterra, 2.300 fuori della città su strutture in muratura o archi, e dal VII miglio della via Latina 609 passi su strutture sopra terra e 6.491 passi su archi.

Trofei di Mario - Piazza VittorioLocalizza il posto

Vista laterale dei Trofei di Mario, al lato Nord dei giardini di piazza Vittorio Emanuele II.
Sono i ruderi di parte del Ninfeo di Alessandro Severo eretto nel 226 d.C. (data nota grazie al ritrovamento di una moneta risalente a tale anno raffigurante questo monumento) chiamati Trofei di Mario, dal nome dato ai due trofei d’armi in marmo di epoca Dioclezianea ritrovati nel sito e che vennero spostati nel 1589 sulla balaustra del Campidoglio.

Trofei di Mario - Piazza VittorioLocalizza il posto

Trofei di Mario

Giovanni Battista Piranesi: Rovine del Castello dell'Acqua Julia - Tomo 9, Tavole (da Pag. 5 a Pag. 9) [the site is down]

Diramazione dell'acqua Julia verso i Trofei di MarioAlta Risoluzione

I sei archi superstiti della diramazione dell'Acqua Julia tra via Giolitti e via Turati, diretti verso il castello di distribuzione in piazza Vittorio, nel rione Esquilino.

Cosė scrive Lanciani riguardo al Castellum noto come "Trofei di Mario":
"In occasione del restauro che ho fatto a quella mostra d'acqua nel marzo 1879, ho potuto calcolare, con rigorosa livellazione, che il fondo del rivo che l'alimentava trovasi ad una quota di metri 63,45 sul livello del mare, quota che differisce soltanto di metri 0,289 dal livello della Giulia a porta maggiore che č di metri 63,739.
La determinazione di questa identità di livello [...] l'ottenne (anche) il Piranesi [...].
Le questioni principali da risolvere sono due: la prima concerne la cronologia del monumento; la seconda lo scopo pel quale fu edificato.
[...] sappiamo che la mostra è certamente posteriore a Frontino come è a lui posteriore lo speciale acquedotto che l'alimentava.
"

Il monumento di piazza Vittorio era secondo Lanciani alimentato dall'acqua Julia con un condotto proveniente dalla zona di Porta Tiburtina (che era anche chiamata Porta San Lorenzo)
Negli scavi durante la realizzazione di piazza Vittorio furono rinvenuti 27 piloni dell'acquedotto, distrutti, oltre ai 7 piloni ancora esistenti nella scomparsa piazza Guglielmo Pepe (ex orto di S. Eusebio de' Celestini), piazza dove poi sorse il teatro Ambra Jovinelli.

Aqua Virgo

Il condotto sotterraneo dell’acqua Vergine fu realizzato al tempo di Agrippa nel 19 a.C. per alimentare le Terme di Agrippa e sotto Caligola venne anche esteso per rifornire il Campo Marzio; in De Aquis I.10 si legge che la fonte è ubicata all’VIII miglio della Collatina [nei pressi della odierna Salone all’interno del Parco dell’Acqua Vergine] in un punto paludoso, circondato da una muratura in calcestruzzo romano con lo scopo di confinare le acque sgorganti e di convogliarle quindi nel condotto; tale muratura è ancora esistente interrata.
Plinio colloca la sorgente a due miglia dall’ottavo miglio della Prenestina, sulla sinistra, il ché corrisponde allo stesso luogo.
Questa località era chiamata Agro Lucullano (Ager Lucullanus) e singolarmente l’acquedotto termina agli horti lucullani a via Capo le Case, una proprietà sempre di Lucullo.
Oggi dalle sorgenti, oltre all’acqua che alimenta l’antico Vergine, viene prelevata l’acqua potabile del Nuovo Acquedotto Vergine in cui confluiscono parte del Peschiera-Capore e le vicine sorgenti di Colle Mentuccia.
Frontino scrive che il percorso dell’antica acqua Virgo è lungo 14.105 passi di cui 12.865 in canale sotterraneo, 700 passi su archi e 540 su strutture sopra terra; nel condotto si immettono degli affluenti la cui lunghezza è di 1.405 passi.
Lanciani nei Comentarii riferisce che i 540 passi di strutture sopra terra sono riferibili ai 4 brevi tratti in cui emerge dal suolo durante il tragitto verso Campo Marzio:
• a Bocca di Leone località situata dove la Collatina Antica interseca la Palmiro Togliatti e dove sono delle scarse vene sorgive;
• Sul tratto finale di via di Pietralata dove questa costeggia l'Aniene, alla confluenza del fosso della Marranella col fiume Aniene (il fosso oggi arriva all’Aniene correndo lungo la ferrovia in conduttura sotterranea e sbocca a cielo aperto subito prima di confluire nell’Aniene);
• Sul lato orientale della valle della Marranella dove l’acquedotto cambia bruscamente direzione dirigendosi verso Nord;
• nella valle tra Salaria e Nomentana sotto Santa Agnese;
descrivo meglio tali riferimenti nella mappa del Vergine relativa all'epoca rinascimentale; i primi due tratti sono oggi ben visibili, mentre gli ultimi due credo siano oggi entrambi sepolti dalle stratificazioni del terreno, o comunque .. non li ho ancora trovati.
I 700 passi su archi erano relativi al suo tratto terminale.
In sotterranea procede anche a 30 metri di profondità giungendo ad una profondità massima di oltre 40 metri nei pressi di piazza Ungheria e viale Romania e durante i 20 chilometri del suo percorso subisce un dislivello di soli 6 metri; era su arcate sopra terra solo a partire dagli Orti Luculliani (in prossimità dell’incrocio tra Via due Macelli e via Capo le Case) da cui giungeva in Campo Marzio (al Pantheon); precisamente dove ora è lo spigolo di Sant’Ignazio sulla piazzetta di S. Macuto era probabilmente l’ultimo castello di distribuzione.
Il Vergine era provvisto complessivamente di 18 Castelli di distribuzione dislocati nelle Regioni IV, VII e XIV; il castello a S. Macuto è quello di cui si hanno maggiori notizie certe essendosi ritrovate numerose iscrizioni riferite ad Adriano, Antonino Pio, al Tempio di Matidia (Donati riferisce di un condotto in piombo di mezzo palmo di diametro ritrovato sottoterra presso la rotonda del Pantheon con inciso: In Templo Matidiae), a Narcisso, Traiano, Cecilio Capitone; venne anche rinvenuto un enorme hiatus che tramite un lungo sifone andava probabilmete ad alimentare le terme di Agrippa situate appena dietro al Pantheon.


Dell’ultimo tratto su arcate si possono osservare 3 archi in travertino bugnato con un arco monumentale risalenti ad un restauro avvenuto sotto l’imperatore Claudio in via del Nazareno 14; questi risultano al di sotto del piano stradale, a causa delle stratificazioni urbanistiche avvenute nei secoli.
Nei sotterranei di Palazzo Sciarra sono conservati alcuni archi.
Al vicolo del Bottino venne ritrovata una struttura su due piani dell’acquedotto Vergine, descritta e disegnata dal Fabretti, che Lanciani era incerto se definire bottino, piscina, serbatoio o castello di distribuzione; la piscina romana venne comunque realizzata dopo il 100 d.C in quanto Frontino afferma che il Virgo ne era sprovvisto (De Aquis I.22); era collegata al condotto principale mediante una derivazione lunga 100 metri e poteva forse venire utilizzata per la decantazione dell’acqua prima di arrivare ai bagni di Agrippa.
La piscina venne distrutta durante la costruzione della linea A della Metropolitana.

Il condotto, regolarmente perlustrato e monitorato nel suo ultimo tratto esistente (fino alla fontana di Trevi) da archeologi e tecnici comunali, si presenta alto circa 2,50 metri e largo circa 1,50 metri e in lunghi tratti è scavato direttamente nel cappellaccio, il tufo che si trova nel sottosuolo di Roma; dove non si trovava tufo ma terreno incoerente venne realizzata una muratura in calcestruzzo romano con copertura a volta successivamente impermeabilizzata col cocciopesto.

È l’ultimo acquedotto antico, se pur restaurato e riattivato in epoca rinascimentale, ancora funzionante (assieme all’acqua Felice che però risale interamente all’epoca rinascimentale); è stato recentemente danneggiato: nel Giugno 2007 dei lavori eseguiti in una villa ai Parioli ad oltre 20 metri di profondità (mentre ufficialmente dovevano fermarsi a 3 metri) hanno interrotto il flusso d’acqua con un blocco di cemento dello spessore di metri; il flusso è stato ripristinato tramite un by-pass e l'utilizzo di pompe; ad oggi non ho idea se il condotto è stato ripristinato o se l'acqua passa sempre attraverso il by-pass.

Aqua Alsietina (o Aqua Augusta)

Realizzata sotto Augusto probabilmente per alimentare la sua Naumachia e non per scopi potabili in quanto l’acqua non risultava adatta all’uso potabile; l’eccedenza andava nei vicini giardini o veniva utilizzata per l’irrigazione; poteva anche essere utilizzata per alimentare le fontane pubbliche dalla parte di Trastevere.
L’acqua proveniva dal lago Alsietino (Lago di Martignano) al XIV miglio della via Claudia, per una strada sulla destra di quest’ultima a 6 miglia e mezza di distanza.
Misura 22.172 passi di cui 358 su archi.
Dopo un breve periodo di funzionamento un abbassamento del livello del lago portò alla messa in secco della bocca di presa del condotto che è ancora oggi visibile e quindi rimase inutilizzato già in epoca romana.

Aqua Claudia

L’acquedotto Claudio, il più imponente fra tutti, fu iniziato da Caligola nel 38 d.C. e portato a termine sotto l’Imperatore Claudio nel 52 d.C..
Le sorgenti si trovano ad un incrocio al XXXVIII miglio della Sublacense, per una strada meno di trecento passi sulla sinistra, a poche centinaia di metri dalla sorgente dell’acqua Marcia, e seconde in qualità solo a questa; erano le fonti Cerulea e Curzia più la fonte Albudina, di così ottima qualità che poteva all’occorrenza alimentare lo stesso Marcio che era l’acqua di qualità massima.
La lunghezza del condotto era di 46.606 passi di cui 36.230 in sotterranea, 3076 passi su archi fuori Roma e, a partire dal VII miglio della via latina 609 passi su strutture sopra terra e 6.491 su arcuazioni.
Venne restaurato sotto Adriano (117 - 138 d.C.) con un rivestimento in opera laterizia consistenti in un doppio ordine di arcate.
In seguito con il restauro di Settimio Severo (193 - 211 d.C.) si riempirono con opera cementizia gli archi in laterizio del precedente restauro e venne realizzato un ulteriore rivestimento in opera laterizia.

Da Capannelle al Castello Terminale sono rimasti numerosi lunghi tratti di arcuazioni in opera quadra di tufo ancora in piedi; e di altri lunghi tratti sono rimaste solo le opere di consolidamento in opera laterizia.

Arcus Neroniani

L’acquedotto degli archi di Nerone è una diramazione della Claudia che parte dallo Spes Vetus immediatamente prima che il Claudio transiti su Porta Maggiore e percorrendo circa 2000 metri giunge al colle del Celio nei giardini della grandiosa domus di Nerone dove alimentava il ninfeo ed il laghetto situato dove successivamente sorgerà il Colosseo.

La gran parte delle arcuazioni sono rimaste in piedi: nel tratto iniziale a Porta Maggiore, negli splendidi giardini di Villa Wolkonsky, nel giardino dei Padri della Passione alla Scala Santa su via Domenico Fontana, in via di Santo Stefano Rotondo dapprima sul lato destro e poi sul lato sinistro, in Piazza della Navicella, all’Arco di Dolabella e nel parco del Ninfeo di Nerone.
L’acquedotto venne originariamente realizzato in opera laterizia con un solo ordine di arcate e successivamente restaurato sotto Settimio Severo e Caracalla con rinforzi, sempre in laterizi, disposti su più ordini di arcate; i resti visibili sono quasi tutti risalenti alle successive opere di consolidamento, ma sono anche visibili tratti delle originali arcuazioni.
Dopo Nerone la diramazione prese il nome di Arcus Coelimontani in considerazione della regione di Roma che attraversava.

Villa Wolkonsky è una villa all’Esquilino nei cui giardini passa un lungo tratto di 36 archi dell’acquedotto neroniano.
Venne fatta costruire dalla principessa russa Zenaide Wolkonskaja negli anni successivi al 1830 quando la zona era utilizzata a pascolo e pur essendo all’interno delle mura Aureliane la costruzione più vicina era la residenza papale di San Giovanni in Laterano ad alcune centinaia di metri di distanza.
Tre archi dell’acquedotto vennero inglobati nelle strutture del primo piccolo villino progettato dall’architetto Giovanni Azzuri; venne realizzato un bellissimo giardino con due sentieri oggi scomparsi che la principessa chiamò sentiero dei morti e sentiero delle memorie e che probabilmente correvano uno a fianco all’acquedotto e l’altro nel boschetto; nel giardino venne impiantato un grande roseto e numerosi alberi; vi vennero collocate anfore e urne antiche ed un certo numero di sculture commissionate dalla principessa e raffiguranti persone a lei care.
Alla morte di questa nel 1862 la villa venne abitata dal figlio Alessandro e nei giardini vennero scoperti il colombario di Tiberio Claudio Vitale ed altre tombe romane in tufo di età repubblicana.
Nel 1870 parte della proprietà venne venduta dalla famiglia Campanari, discendenti della principessa, e nel 1890 - 1900 venne realizzata una nuova grande villa; nel 1922 la famiglia Campanari vendette la villa al governo tedesco che la ampliò ulteriormente con un quarto piano e altre due ali.
Nel 1944 la villa tornò al governo italiano e a partire dal 1947 divenne residenza ufficiale dell’ambasciatore britannico; nel 1951 venne formalmente acquistata dalla Gran Bretagna.

Acquedotto Domiziano

Prolungamento di circa 500 metri dell’acquedotto di Nerone che andava ad alimentare i palazzi imperiali del Palatino; gli alti archi in opera laterizia di epoca domizianea e i successivi restauri severiani che facevano passare il condotto dal Celio al Palatino sono ancora parzialmente visibili in via di San Gregorio.

L'acquedotto di DomizianoAlta Risoluzione

L'acquedotto di Domiziano in via di San Gregorio; a destra le pendici del Palatino.

Anio Novus

Le arcuazioni dell’acqua Claudia trasportavano una seconda condotta sopra questa, la cui acqua era prelevata direttamente dal fiume Aniene al XLII miglio della via Sublacensis poco prima di Subiaco.
L’Anio Novus aveva una grossa portata ma l’acqua era di scarsa qualità e spesso risultava torbida, al punto che il sito di captazione tempo dopo sotto Traiano venne spostato più a monte per cercare di migliorarne la qualità andando a prelevare l'acqua dal bacino del primo o del secondo dei tre laghetti artificiali della villa di Nerone (simbruina stagna) realizzati sbarrando il corso dell'Aniene in tre punti; le strutture delle dighe crollarono nel medioevo e sono stati trovati i resti della prima e della terza diga.

Aqua Traiana

L’acquedotto Traiano venne realizzato nel 109 d.C. per alimentare la parte trans tiberina di Roma (trastevere); captava l’acqua da diverse sorgenti sui Monti Sabatini sul lato settentrionale del lago di Bracciano (lago Sabatino) ad una quota di circa 180 metri sul livello del mare; procedeva in sotterranea verso Roma lungo la via Clodia e la via Trionfale attraversando le zone di Cesano, Olgiata, La Storta e La Giustiniana e poi su arcate ancora in parte visibili lungo l’Aurelia Antica arrivando al colle del Gianicolo sul lato destro del Tevere ad un livello molto elevato rispetto a Trastevere; aveva il castello terminale nei pressi di porta Aurelia che si trova a circa 75 metri s.l.m..
Venne riparato numerose volte da Belisario e dai Papi Adriano I e Gregorio V; nel XVII secolo infine le sue strutture vennero in larga parte riutilizzate per realizzare l’Acqua Paola; il condotto su archi è rimasto in alcuni tratti visibile [vedi acqua Paola].

Aqua Alexandrina

Valid HTML 4.01 Transitional
Pagina modificata il
22 Gennnaio 2011