Il sepolcro ipogeo degli Scipioni (Sepulcrum Scipionum)

Tipologia funeraria

A camera funeraria sotterranea (ipogea) con ingresso monumentale in opera quadrata di peperino scavata ad una certa altezza dal piano stradale.
Probabilmente ricavato da un’antica cava di tufo.
Utilizzato dal 280 a.C. a non oltre il 100 a.C. dai membri della famiglia degli Scipioni delle branche dell’Africano, dell’Asiatico e dell’Ispanico (ma i tre capostipiti non vi trovarono sepoltura), conteneva circa 30 sarcofagi; ospitò anche le ceneri del poeta Ennio.
Riutilizzato per depositarvi le olle cinerarie di alcuni esponenti dei Cornelii Lentuli in epoca Claudio - Neroniana.

Ubicazione

Anticamente situato su un diverticolo che congiungeva via Appia a via Latina.
Oggi l’ingresso è in via di Porta San Sebastiano, 9; oltre che dalla via Appia si accede all’area dal Parco degli Scipioni (via Latina, 10).
Vedi ubicazione sulla mappa satellitare

Visite

Da molti anni il sito non è visitabile.

La scoperta

Livio in Ab Urbe Condita, Liber XXXVIII parla diffusamente di Scipione l’Africano e in XXXVIII.56 scrive del suo luogo di sepoltura e del sepolcro degli Scipioni fuori porta Capena.
Essendo la famiglia tra le più antiche e illustri di Roma il sepolcro era uno dei più importanti di Roma e Cicerone lo posiziona, assieme a quelli dei Calatini, dei Servilii e dei Metelli, appena fuori di porta Capena, sulla via Appia [Cicerone, Tusc. I.13].
Sulla via Appia numerosissimi sono i mausolei e per secoli si fecero congetture sulla reale ubicazione del monumento; certo non si sospettava la completa assenza di una qualche grandiosa rovina esterna ed inoltre si cercava il monumento all’esterno delle mura Aureliane; l’ipogeo degli Scipioni venne scoperto in parte nel 1614 ed in parte nel 1780.
Il monumento fu acquisito alla città nel 1880 su suggerimento del Lanciani ed era allora liberamente visitabile, al costo di 25 centesimi.
La prima scoperta nel XVII secolo viene documentata dall’epigrafista Giacomo Sirmondo nel 1617; vennero trovati due sarcofagi, quello di Lucio Cornelio Scipione, questore nel 167 a.C., che non venne danneggiato, ed il sarcofago di Lucio Cornelio figlio di Barbato console nel 259 a.C., che venne fatto a pezzi e la cui iscrizione venne venduta ad un tagliatore di pietre vicino Ponte Rotto; la lastra venne acquistata da Agostini per 20 scudi e da questi ceduta al Barberini che la inserì nel muro della scala a chiocciola del suo palazzo,vicino alla porta della biblioteca.
La seconda scoperta avvenne nel XVIII secolo quando gli allora proprietari della vigna al cui interno si trovava l’ipogeo, i fratelli Sassi, nel Maggio 1780 presero ad ampliare la loro cantina per i vini e trovarono un accesso all’ipogeo.
Lanciani scrive che non è dato di conoscere le motivazioni che portarono i due fratelli Sassi a porre deliberatamente in essere la distruzione del sito e di ciò che vi era contenuto né come sia stato possibile che il papa Pio VI, amante delle antichità, permise tale atto o lo lasciò quanto meno impunito; stà di fatto che, con buona pace dei luoghi comuni su Vandali e popolazioni affini, i sarcofagi furono tutti fatti a pezzi, le parti iscritte traslate al vaticano, le strutture della cripta vennero alterate, tutti i corredi funerari dispersi (così ad esempio un anello con sigillo riportante una Vittoria venne venduto al francese Luis Dutens e da questi passò a Lord Beverly), le copie degli originali epitaffi ricollocate nei luoghi sbagliati (furono risistemate nel 1926, quando il sepolcro venne anche restaurato); le ossa degli Scipioni vennero disperse ai quattro venti, tutte, ad eccezione di quelle di L. Cornelio Scipione figlio di Barbato che, per intervento di Angelo Quirini senatore di Venezia, vennero riposte in un’urna di marmo e conservate nella villa dell’Alticchiero, vicino Padova.
Un poco diversamente ne parla nel 1783 Piranesi (o meglio il figlio), in epoca praticamente contemporanea alla scoperta, e sotto lo stesso Papa (e quindi rimanendo forse lievemente condizionato), ipotizzando antiche precedenti distruzioni; pur tuttavia conferma che i due fratelli Sassi, entrambi sacerdoti, ed un loro giovin nipote, volendo ampliare i sotterranei di un loro casino, scoprirono due lastre in peperino incise ed una testa sempre in peperino; avvisato l’abate Giambattista Visconti, commissario delle antichità, questi chiese al Papa il permesso di intraprendere scavi a sue spese, dando adeguata ricompensa ai fratelli proprietari del luogo; viene anche citato l’anello con impressa la Vittoria che il Papa donò a monsieur Luis Dutens.
Anche Hülsen, a cui si devono le trascrizioni nel CIL delle epigrafi del sepolcro, sosteneva che molti dei danni furono inferti nel IV secolo.

Scipione l’Africano trascorse gli ultimi anni della sua vita a Literno [Livio, Ab Urbe Condita XXXVIII 53].
...Vitam Literni egit sine desiderio urbis; morientem rure eo ipso loco sepeliri se iussisse ferunt monumentumque ibi aedificari, ne funus sibi in ingrata patria fieret.
La stessa ingrata patria che venti secoli dopo avrebbe permesso la dispersione dei resti degli Scipioni.

descrizione del sito

A fianco all’Appia Antica, è il colle chiamato Clivo di Marte [Piranesi] sotto cui si trova l’ipogeo.
In questo luogo in epoca Repubblicana antica venne realizzato un diverticolo che collegava la via Appia alla vicina via Latina, la cui pavimentazione era ancora visibile ai tempi di Lanciani nei pressi delle due strade (non sò oggi cosa ne sia rimasto); la strada era carrozzabile e seguiva la base di una cresta rocciosa alta 3 - 5 metri ed in parte vi venne anche scavata e lungo questa, nel costone tufaceo, vennero aperte una o più cave di tufo.
Una di queste cave, probabilmente proprietà degli Scipioni, venne riadattata a loro tomba di famiglia all’inizio del III secolo prima di Cristo, intorno al 280 a.C., evidentemente in conseguenza dell’apertura dell’importante via Appia, che avvenne nel 312 a.C.; gli Scipioni furono fra i più grandi sostenitori e artefici dell’espansionismo romano e la scelta della via aveva quindi un significato simbolico.
Si pensa che originariamente fosse una cava di tufo considerando l’irregolarità della pianta degli scavi che se fossero stati eseguiti per il sepolcro sarebbero stati più regolari.
I corridoi della cava furono parzialmente rimodellati; il basso soffitto dell’ipogeo è sorretto da quattro pilastri di roccia, due maggiori verso il retro della struttura e due più ridotti ed irregolari verso l’ingresso, lasciati onde consentire la praticabilità dello scavo senza avere cedimenti; la loro forma è lontana, secondo il Lanciani, dalla regolarità che appare nelle incisioni del Piranesi e sempre Lanciani asserisce che la mappa del Piranesi fosse in talune parti erronea.
Approssimativamente quindi le colonne suddividono lo spazio interno in corridoi paralleli a cui si intersecano perpendicolarmente altri corridoi.

Esternamente l’intera facciata era realizzata in opera quadrata di peperino (pietra albana); al momento della scoperta sopra l’arcata di ingresso era ancora presente il resto di una semicolonna presumibimente ionica (Nibby) (dorica?) (Piranesi) con base attica; la base attica e le statue furono probabilmente aggiunte nel II secolo a.C. durante lavori di ristrutturazione del monumento attribuiti a Scipione l’Emilano.
Secondo una possibile ricostruzione di Filippo Coarelli la facciata si presentava con un ampio podio in cui erano tre archi in conci di tufo di cui il centrale era l’ingresso alla camera, quello a destra l’ingresso all’ampliamento e quello a sinistra era cieco; sopra il podio era la facciata ornata da semicolonne tra cui trovavano poste le statue che si pensava fossero quelle dell’Africano, dell’Asiatico e del poeta Ennio [Cicerone, XXXVIII 56; Livio, XXXVIII 56; Plinio il Vecchio, N.H. XVIII.56].

Dell’ingresso monumentale restano oggi pochi ruderi.
Secondo la ricostruzione del Piranesi guardando il costone, sulla destra era l’ingresso ornato da un arco e sollevato dal piano della strada che doveva esser l’ingresso ufficiale al sepolcro (Piranesi Tomo 5 Tavola I, lettera C).
Sulla sinistra di questo era un ingresso all’altezza della strada (Piranesi Tomo 5 Tavola I, lettera E), privo di ornamenti e che doveva normalmente restar murato; era questo l’originario accesso alla cava, talvolta riutilizzato per portare all’interno della camera i sarcofagi ricavati da un sol pezzo di peperino, in quanto più agevolmente praticabile dell’ingresso principale.

Il sito del sepolcro degli ScipioniAlta Risoluzione

Il sito ove si trova il sepolcro degli Scipioni, scavato nel costone tufaceo della collina nota in epoca romana come Clivo di Marte, visto dall’ingresso all’area dal Parco degli Scipioni; si vede la casa medioevale costruitavi sopra e in basso dell’opera cementizia; a sinistra tettoie relative a differenti scavi.

Non tutti gli Scipioni vennero qui sepolti ma apparentemente solo i rami chiamati Africani, Asiatici, e Ispanici (Hispalli); eppure pare che nessuno dei capostipiti delle tre branche, Publius Cornelius Scipio Africanus Maior, il conquistatore di Cartagine morto nel 183, Lucius Cornelius Scipio Asiaticus, fratello del primo e Cn. Cornelius Scipio Hispallus, console nel 171 a.C. venne qui sepolto.

Livio (XXXVIII.56) afferma che l’Africano venne sepolto a Roma o a Literno, in quanto in questi luoghi furono trovati suoi busti.

In una epistola Seneca scriveva a Lucilio precisando di trovarsi in quel momento nella vera villa dimora a Literno di Scipione l’Africano e di aver reso omaggio alla sua tomba [Seneca, LXXXVI].

Gli Scipioni praticavano tutti la tumulazione e non l’incinerazione; il primo della gens Cornelia ad abbondonare la tradizione della tumulazione fu il dittatore Silla, che avendo provocato la riesumazione e la profanazione delle spoglie di Gaio Mario ordinò la propria incinerazione affinché non potesse accadere a lui la stessa cosa (a lui infatti poteva essere applicata la legge del taglione per cui a seguito di un danno inferto si subiva la stessa pena) [Plinio, Nat. Hist. VII.LIV.187; Cicerone, De Leg. II.57].
Come descritto da Plutarco le ceneri di Silla furono poste in un mausoleo in Campo Marzio (Lanciani, The Ruins and Excavations of Ancient Rome; Nibby, Roma nell’anno 1838); morto nel 78 a.C. il suo fu il primo sepolcro della tipologia a tumulo di Roma.

I sarcofagi furono inseriti in un loculo scavato nella parete o semplicemente appoggiati alla parete o anche inseriti solo per metà all’interno della parete di tufo della grotta; alcuni furono realizzati con lastre piane di pietra, altri invece scavati in un unico blocco di pietra.
Tra il 150 ed il 130 a.C. la camera risultava ormai piena e venne quindi realizzata lateralmente una galleria in cui trovarono posto per un breve periodo di non più di 50 anni altri sarcofagi.
La cripta venne mantenuta accessibile fino al IV secolo, come mostrano opere di consolidamento all’interno in "opus maxentianum" (opera listata) (Lanciani - opera citata).
Anche Piranesi individuò dell’opus vittatum caratteristico della fine del III secolo; nella sua mappa si notano delle stanze (Tomo 5 Tav.I lettere x) realizzate con laterizi triangolari alternati a blocchetti di tufo, in cui vedeva una muratura di sostegno dei piani superiori di una villa romana e così scrive:
"Ma i popoli caduti nel despotismo pongono assai tosto in non cale le virtù e i monumenti de' liberi loro avi, e scordati di ogni idea di gloria e quasi insensibili al vero merito non riguardano che i loro efimeri bisogni e que' momentanei piaceri che possono istupidirli per qualche istante sui mali attuali del loro stato" (Piranesi, prefazione al Tomo 5).

Il luogo di sepoltura del poeta Ennio

Nell’ipogeo degli Scipioni venne anche sepolto il poeta Ennio (Quintus Ennius, Rudiae in Calabria 289 a.C. - Roma 219 a.C.) (Cicero Pro. Arch. 22; Plinius NH VII.XXX.114; Suetonius de poet. 8; Livius XXXVIII.56; Solino c.7; Valerio Massimo VIII.14.1)

Livio scrive che nel monumento degli Scipioni fuori porta Capena potevano esser viste tre statue; due rappresentavano l’Africano e l’Asiatico mentre la terza era considerata essere quella del poeta Ennio, ma non fa riferimento alla sua reale sepoltura; appare però verosimile ritenere che nel luogo ove era il suo simulacro fossero anche le sue ceneri.

Così scrisse lo stesso Ennio come suo epitaffio (citato da Cicerone, in Tusculanae I.XV.34):

Q. Ennius
Aspicite o cives senis Enni imaginis formam
heic vostrum panxit maxuma facta patrum.
Nemo me lacrumis decoret neque funera fletum
faxit: cur ? volito vivus per ora virum.


Quinto Ennio
Osservate, oh cittadini (romani), la statua (realizzata) a sembianza del vecchio Ennio;
questi narrò le più grandi imprese dei vostri padri.
Nessuno mi onori di lacrime e non sian fatte lamentazioni funebri:
perché? io (ancora) vivo volando per le bocche degli uomini.


Una testa coronata di alloro in peperino venne trovata nel 1780 nella tomba o nei suoi pressi, non si conosce in quale esatta posizione, e portata ai Musei Vaticani; l’aspetto non romano e la corona d’alloro farebbero pensare al poeta ma non se ne ha certezza; l’affermazione di Cicerone secondo cui le statue della facciata del sepolcro erano in marmo sarebbe comunque inesatta in quanto nel III secolo a.C. a Roma il marmo non veniva ancora utilizzato; nei secoli passati era comunque d’uso definire il peperino come marmo Albano (vedi ad esempio Piranesi).

Sul lato esterno del pilastro principale sinistro si trova un piccolo loculo adatto a contenere un’olla cineraria che poteva forse essere quella di Ennio.

Riutilizzo del sepolcro in epoca imperiale

La famiglia degli Scipioni si estinse all’inizio dell’epoca imperiale.
Vennero trovate delle urne cinerarie appartenenti ad alcuni esponenti dei Corneli Lentuli, probabili eredi del sepolcro, che nel primo periodo Imperiale Claudio Neroniano decisero, probabilmente per motivi di prestigio, di utilizzare quello stesso sepolcro.

Nel III secolo la tomba era totalmente dimenticata e vi venne costruita sopra una casa romana per la cui realizzazione vennero apportate notevoli modifiche agli ambienti sepolcrali onde realizzare le mura di sostegno dell’abitazione.

Riutilizzo del sepolcro in epoca medioevale

In epoca medioevale vi venne realizzata sopra una ulteriore abitazione ancora esistente e che oggi è una proprietà privata.

Sarcofago di L. Cornelius Scipio Barbatus

Il primo ad esser sepolto nell’ipogeo fu Lucio Cornelio Scipione Barbato, console nel 298 a.C..
Il suo sarcofago, ora ai musei Vaticani mentre nella camera è stata posta una copia, riporta fregi in stile Dorico consistenti in triglifi e metope adornate con rosette; anche il coperchio è ornato di volute doriche.
L’iscrizione riportata sul fianco del monumento, in arcaici versi italici saturnini riporta:


Cornelius Lucius Scipio Barbatus Gnaivod patre
prognatus fortis vir sapiensque - Quoius forma virtutei parisuma
fuit - Consol, Censor, Aidilis, quei fuit apud vos - Taurasia, Cisauna,
Samnio cepit - subigit omne Loucana opsidesque abdoucit.


che in latino più classico dovrebbe essere:

Cornelius Lucius Scipio Barbatus, Gnaeo patre
prognatus, fortis vir sapiensque, cuius forma virtuti parissima
fuit, Consul, Censor, Aedilis, qui fuit apud vos; Taurasiam, Cisaunam,
Samnio cepit, subigit omnem Lucaniam, obsidesque abducit.


Cornelio Lucio Scipione Barbato
discendente del padre Nievo, uomo tanto intelligente quanto coraggioso,
il cui aspetto attraente era in armonia con la sua virtù
fu Console, Censore, Edile,
conquistò Taurasia e Cisauna nel Sannio,
sottomise completamente la Lucania e condusse (a Roma) ostaggi.


Nell’iscrizione venne cancellato in modo piuttosto rozzo il primo versetto, probabilmente in epoca repubblicana, prima della definitiva chiusura del sepolcro, per ordine di qualche discendente degli Scipioni; Harriet Flower (Ancestor masks and aristocratic power in Roman culture. Oxford, UK: Oxford University Press) osserva che gli Scipioni erano noti per la continua ricerca di precedenti avi; questo era fatto parte inventando e parte sostituendo il cognomen Scipio con quello di precedenti avi della stessa gens che poi si estinsero. È quindi possibile che i primi versi incisi sul sarcofago di Barbatus fossero divenuti un ostacolo per i successivi membri della famiglia desiderosi di trovare più antichi fondatori che potessero competere con la notorietà delle famiglie rivali (per esempio un verso contenente la rivendicazione di essere il capostipite degli Scipioni o qualcosa di simile). Tale ricostruzione, se pure non possa esser provata, è per lo meno plausibile e in accordo con le altre evidenze disponibili.

Riferimenti



sul sepolcro degli Scipioni - i classici

Titus Livius, Ab Urbe Condita [Liber XXXVIII.53]
[...]
Silentium deinde de Africano fuit. Vitam Literni egit sine desiderio urbis; morientem rure eo ipso loco sepeliri se iussisse ferunt monumentumque ibi aedificari, ne funus sibi in ingrata patria fieret. Vir memorabilis, bellicis tamen quam pacis artibus memorabilior. [nobilior] prima pars vitae quam postrema fuit, quia in iuventa bella adsidue gesta, cum senecta res quoque defloruere, nec praebita est materia ingenio. Quid ad primum consulatum secundus, etiam si censuram adicias? Quid Asiatica legatio, et valetudine adversa inutilis et filii casu deformata et post reditum necessitate aut subeundi iudicii aut simul cum patria deserendi? Punici tamen belli perpetrati, quo nullum neque maius neque periculosius Romani gessere, unus praecipuam gloriam tulit.


Livio [XXXVIII,53]
[...]
Successivamente non si parlò più dell’Africano. Proseguì la sua vita a Literno senza rimpianti per l’Urbe. Morendo nella campagna ordinò, si dice, che fosse sepolto in quello stesso luogo, e che venisse lì edificato il suo monumento, perché l’ingrata patria non avesse i resti del suo corpo. Uomo memorabile, dalle notevoli capacità più nella guerra che nella pace. La prima parte della sua vita offuscò l’ultima parte, perché da giovane frequentò assiduamente i campi di battaglia, con la vecchiaia tutto intorno a lui declinò né il suo talento potè essere alimentato. Come fu il suo secondo consolato in rapporto al primo, anche se raggiunse la censura? come fu la sua missione asiatica, resa inutile dal suo cattivo stato di salute, tristemente segnata dalla disgrazia dei figli e, dopo il ritorno, segnata dalla necessità di subire un giudizio e di rompere con la patria? la speciale gloria di aver terminato la guerra punica, la più importante, la più pericolosa delle guerre che i romani abbiano mai combattuto, appartiene a lui solo.

(Versione completa in Francese)


Titus Livius, Ab Urbe Condita [Liber XXXVIII.56]
Multa alia in Scipionis exitu maxime vitae dieque dicta, morte, funere, sepulcro, in diversum trahunt, ut, cui famae, quibus scriptis adsentiar, non habeam. Non de accusatore conuenit: alii M. NaeVium, alii Petillios diem dixisse scribunt, non de tempore, quo dicta dies sit, non de anno, quo mortuus sit, non ubi mortuus aut elatus sit; alii Romae, alii Literni et mortuum et sepultum. Utrobique monumenta ostenduntur et statuae; nam et Literni monumentum monumentoque statua superimposita fuit, quam tempestate deiectam nuper Vidimus ipsi, et Romae extra portam Capenam in Scipionum monumento tres statuae sunt, quarum duae P. Et L. Scipionum dicuntur esse, tertia poetae Q. Ennii.
[...]


Livio [XXXVIII,56]
Su un mucchio di particolari relativi agli ultimi anni di Scipione [l’Africano], della sua messa in giudizio, della sua morte, dei suoi funerali, della sua sepoltura, le tradizioni variano all’infinito e non so' a chi credere, a qual libro riferirmi. Non si è d’accordo sul nome del suo accusatore: alcuni dicono M. Naevio, altri Petilio; lo stesso imbarazzo sull’epoca di queste accuse, sull’anno della sua morte, sul luogo del suo decesso e della sua inumazione. È a Roma secondo alcuni, a Literno secondo altri che morì e fu sepolto. In entrambi i luoghi si vedono la sua tomba e la sua statua. Il fatto è che a Literno si trova la sua tomba e sulla tomba una statua che il tempo ha rovinato, l’ho vista io stesso non molto tempo fa. Allo stesso modo a Roma, fuori della porta Capena, sul monumento funebre degli Scipioni si trovano tre statue, delle quali, si dice, due sono di Publio e Lucio Scipione, la terza del poeta Quinto Ennio.
[...]

(Versione completa in Francese)


Plinius Maior, Naturalis Historia [VII.XXX.114]
Sed et nostrorum gloriam percenseamus. prior Africanus Q. Ennii statuam sepulcro suo inponi iussit clarumque illud nomen, immo vero spolium ex tertia orbis parte raptum, in cinere supremo cum poetae titulo legi.
[...]


Plinio il Vecchio [VII.XXX.114]
Il maggiore degli Africani ordinò che la statua di Ennio dovesse essere sistemata sulla sua tomba, e che l’illustre cognomen che egli aveva acquisito, come sua condivisione dei guadagni sulle conquiste della terza parte del mondo, dovesse essere letto sopra le sue ceneri, insieme con il nome del poeta.
[...]



Plinius Maior, Naturalis Historia [VII.LIV.187]
Ipsum cremare apud Romanos non fuit veteris instituti: terra condebantur. at postquam longinquis bellis obrutos erui cognovere, tunc institutum. Et tamen multae familiae priscos servavere ritus, sicut in Cornelia nemo ante Sullam dictatorem traditur crematus, idque voluisse veritum talionem eruto C. Mari cadavere. [sepultus vero intellegatur quoquo modo conditus, humatus vero humo contectus].


Plinio il Vecchio [VII.LIV.187]
Dell’inumazione e della sepoltura
La bruciatura dei corpi dopo la morte non fu un antico costume fra i Romani: i corpi erano deposti nella terra. Ma dopo che essi compresero, durante le guerre straniere, che i corpi che erano stati sepolti talvolta venivano disotterrati, venne adottata l’usanza della cremazione. Tuttavia molte famiglie ancora osservarono l’antico costume di consegnare i loro morti alla terra. Come la famiglia Cornelia, nessun membro della quale venne cremato prima di (Lucio Cornelio) Silla il Dittatore. Ed egli desiderò espressamente che ciò fosse fatto per paura che a lui stesso potesse essere riservato quello che egli fece a Gaio Mario, al cui corpo egli causò di essere disotterrato. [Il termine sepolto (sepultus) si utilizza per un qualunque tipo di sistemazione del corpo del defunto, mentre il termine inumato (humatus) si utilizza propriamente per chi è semplicemente deposto nella terra].


Nota:
L’affermazione secondo cui la bruciatura dei corpi non era praticata in tempi antichi pare non essere in realtà corretta.


Seneca, Epistulae Morales ad Lucilium [LXXXVI]
In ipsa Scipionis Africani villa iacens haec tibi scribo adoratis manibus eius et ara, quam sepulcrum esse tanti viri suspicor.
[...]


Seneca, Epistola 86
Ti scrivo questa (lettera) mentre mi trovo nella vera villa di Scipione l’Africano, dopo aver riverito la sua memoria e l’altare che molti ritengono essere la sua tomba.
[...]



Svetonio [dal Chronicon di Sofronio Eusebio Girolamo (San Gerolamo)]
Il poeta Ennio morì di artrite reumatoide quando aveva settanta anni e fu sepolto nel monumento degli Scipioni meno di un miglio fuori della città.



M. Tullius Cicero, Rhetorica - Tusculanae Disputationes [I.13]
[...]
an tu egressus porta Capena, cum Calatini Scipionum Serviliorum Metellorum sepulcra vides, miseros illos putes?
[...]

Cicerone, Tusc.[I.13]
[...]
Quando lasciate la città da porta Capena e vedete le tombe dei Calatini, degli Scipioni, dei Servili, dei Metelli, pensate forse che essi siano dei miserabili?
[...]

(Versione completa in Francese)


M. Tullius Cicero, Orationes - Pro Archia [22]
Carus fuit Africano superiori noster Ennius, itaque etiam in sepulcro Scipionum putatur is esse constitutus ex marmore.
[...]


Cicerone, Pro Arc. [22]
Il nostro concittadino Ennio fu caro al vecchio (Scipione) Africano, e perfino si ritiene che sul sepolcro degli Scipioni sia visibile la sua effige scolpita nel marmo.
[...]

(Versione completa Inglese, Francese)


M. Tullius Cicero, Rhetorica - De Legibus [II.56]
At mihi quidem antiquissimum sepulturae genus illud fuisse videtur quo apud Xenophontem Cyrus utitur: redditur enim terrae corpus, et ita locatum ac situm quasi operimento matris obducitur. Eodemque ritu in eo sepulcro quod (haud) procul a Fontis ara est, regem nostrum Numam conditum accepimus, gentemque Corneliam usque ad memoriam nostram hac sepultura scimus esse usam. C. Mari sitas reliquias apud Anienem dissipari iussit Sylla victor, acerbiore odio incitatus, quam si tam sapiens fuisset quam fuit vehemens.


Cicerone [II 56]
Ma a me personalmente sembra che la più antica specie di sepoltura sia stata quella di cui si serve Ciro in Senofonte; infatti il corpo viene restituito alla terra e così collocato e deposto da essere quasi ricoperto tutt’intorno da sua madre. Ci è stato tramandato che nella stessa maniera fu seppellito il nostro re Numa in quel sepolcro che non è affatto lontano dall’altare del dio Fonte, e sappiamo che la famiglia Cornelia si servì di tal genere di sepoltura fino ad epoca di cui abbiamo ancora il ricordo. Silla, da vincitore, diede ordine che fossero dispersi i resti di Mario seppelliti presso l’Aniene, spinto da un odio piu crudele del normale, se fosse stato tanto saggio quanto fu veemente.

(Versione completa in Italiano)


M. Tullius Cicero, Rhetorica - De Legibus [II.57]
Quod haud scio an timens (ne) suo corpori posset accidere, primus e patriciis Corneliis igni voluit cremari. Dedarat enim Ennius de Africano: 'Hic est ille situs', vere, nam siti dicuntur ii qui conditi sunt. Nec tamen eorum ante sepulcrum est quam iusta facta et porcus caesus est. Et quod nunc communiter in omnibus sepultis venit usu (ut) humati dicantur, id erat proprium tum in iis quos humus iniecta contexerat, eumque morem ius pontificale confirmat. Nam prius quam in os iniecta gleba est, locus ille ubi crematum est corpus nihil habet religionis; iniecta gleba tum et ille humatus est et sepulcrum vocatur, ac tum denique multa religiosa iura conplectitur.
[...]


Cicerone [II 57]
E non so bene se temendo che lo stesso potesse accadere al suo corpo, che per primo fra i patrizi della famiglia Cornelia egli volle essere cremato. Dice infatti Ennio dell’Africano: "Qui egli è sepolto" ed è esatto, poichè si dicono sepolti quelli che sono stati inumati. Eppure non è ancora un sepolcro, se prima non sono celebrate le esequie e sacrificato un maiale. E quello che ora comunemente si dice per tutti i sepolti, che sono detti inumati, questo allora si riferiva in modo specifico a quelli che erano stati ricoperti con la terra gettatavi sopra, ed il diritto pontificale conferma questa usanza. Prima infatti che venga buttata la terra sull’osso, il luogo dove il corpo e stato cremato non ha alcun significato religioso; ma buttatavi sopra la terra, allora dalla terra prende il nome di tumulo il luogo dove è inumato, e soltanto allora diventa soggetto di molti diritti religiosi.

[...]
(Versione completa in Italiano)


Leggi delle XII Tavole - Tavola VIII - Talio
Si membrum rupit, ni cum eo pacit, talio esto


La legge del Taglione
Se (qualcuno) ha mutilato un altro, e se con quello non arriva ad un accordo, sia applicato il taglione



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11 Settembre 2010