I Puticuli - il cimitero pubblico del campo Esquilino

I puticuli consistevano di semplici profonde buche scavate nel terreno tufaceo appena fuori delle mura ed utilizzate in epoca repubblicana come una sorta di discariche; vi venivano gettati rifiuti di ogni genere, vasellame inutilizzabile, carcasse di animali ed anche i corpi degli schiavi, dei poveri e dei criminali giustiziati; il termine Puticulus prende origine dalla putrefazione dei corpi che lì avveniva (Varro, De lingua latina, Liber V.25, Festo, De Verborum Significatione Liber XIV, Comm. Cruq. H.S. I.VIII); erano quindi dei cimiteri pubblici, delle fosse comuni ove venivano gettati i corpi di schiavi, mendicanti e prigionieri.

La zona che si estendeva fuori dalle mura di Servio Tullio sulla sinistra della antica Casilina per almeno 300 metri (da porta Esquilina verso nord fino a piazza Manfredo Fanti) e per almeno 90 metri fuori della porta (fino a piazza Vittorio) era ricoperta di puticuli; questa estensione, citata da Lanciani, è quella che definisce anche Orazio nella sua satira; ad esempio furono rinvenuti 15 puticuli, profondi 4 o 5 metri e scavati nel cappellaccio, nel ristretto quadrilatero compreso tra Piazza Vittorio, via Napoleone III, via Rattazzi e via Carlo Alberto e molti altri se ne trovarono durante la costruzione del quartiere umbertino avvenuta verso la fine del 1800; Lanciani testimonia di aver esaminato 75 di questi pozzi; rinvenimenti si sono anche avuti in epoca recente in via Giolitti in occasione di lavori di ristrutturazione relativi alla stazione Termini.

Lanciani descrive un’ulteriore scoperta avvenuta nel 1876; durante la gettata delle fondamenta di un palazzo all’angolo tra via Carlo Alberto e via Mazzini (ora via Cattaneo) una parte del terreno improvvisamente venne a mancare e si creò un baratro profondo molti metri; si scoprì che le fondamenta in parte poggiavano sul solido agger tufaceo della cinta Serviana ed in parte sul terreno in cui si trovava il fossato dell’agger e che risultò cedevole; andando a scavare per verificare le cause del cedimento si trovò una grande fossa di 50 metri per 30 metri e profonda 9 metri in cui Lanciani stimò si fossero trovati 24.000 corpi, ormai ridotti in polvere; questo ritrovamento si può collegare a quanto narra Livio a proposito di un periodo dell’epoca repubblicana di prodigiosa mortalità al punto che si arrivò a depositare i cadaveri nel fossato dell’agger fino a riempirlo completamente.

Nel corso di secoli di tali pratiche la zona in cui erano i pozzi rimase ammorbata ed infrequentabile; durante il I secolo a.C., decreto dopo decreto, l’area venne preclusa alle sepolture ed una serie di cippi in travertino contenenti le regole sanitarie furono apposti dai pretori ai limiti dell’area che si estendeva per poche centinaia di metri fuori della porta Esquilina e che doveva essere mantenuta libera da corpi; uno ritrovato dal Lanciani nel 1884 recita:

“C. Sentius, figlio di Caius, Pretore, per ordine del Senato ha fissato questa linea di pietre terminali, a segnare l’estensione della terra che deve essere mantenuta assolutamente libera da sporcizia e da carcasse e corpi. Qui anche la incinerazione dei corpi è strettamente proibita.”

e ai piedi della scritta ufficiale qualcuno che evidentemente abitava nelle vicinanze aggiunse a grossi caratteri:

“Porta la sporcizia un poco più lontano; altrimenti sarai multato”


Il Campo Esquilino era una vasta area sepolcrale che si estendeva a partire dalla porta Esquilina alla sinistra della Casilina fino ad arrivare oltre Piazza Vittorio verso Porta Maggiore e verso la stazione Termini; aveva questo utilizzo già prima della nascita di Roma, e in epoca repubblicana includeva oltre alla zona dei puticuli altre aree caratterizzate da sepolture estremamente povere e colombari e sempre in questo luogo avvenivano delle esecuzioni pubbliche tramite decapitazione.


Cesare Ottaviano Augusto, come suggerito dal suo amico e consigliere Mecenate (Gaius Cilnius Maecenas), decise di bonificare l’intera area di circa 75 ettari facendola ricoprire, tra il 42 a.C. ed il 38 a.C., con uno strato di otto metri di terra e promulgò il divieto assoluto di depositarvi cadaveri; il luogo venne quindi dato in concessione a Mecenate stesso che qui realizzò una parte dei suoi magnifici giardini (Horti Maecenatiani) e la sua domus.
L’intento di Mecenate di trasformazione urbanistica dell’Esquilino si completò successivamente con l’arrivo di altri nobili romani che edificarono in questi luoghi horti e ville tra le più lussuose di Roma.

Del campo narra il poeta Orazio (Quintus Horatius Flaccus 65 a.C. - 8 a.C.) nella Satira I VIII sugli esorcismi praticati da Sàgana e Canidia nel campo Esquilino, scritta intorno al 40 a.C., in occasione della bonifica voluta da Augusto.
Il poeta racconta di un inutile tronco di albero di fico che era nel campo Esquilino (il legno di questa pianta è particolarmente fragile e quindi di scarsa utilità) che un giorno venne trasformato da un falegname in Priapo, dio a protezione dei giardini che erano appena sorti là dove prima era il campo; egli non temeva tanto i ladri e gli animali, che poteva facilmente mettere in fuga, quanto le streghe, che si recavano nel campo durante le notti di luna piena per raccogliere erbe velenose e ossa e che non trovava modo di allontanare; una notte vennero le orribili Sàgana e Canidia (due donne romane realmente esistenti ai tempi di Orazio) che presero ad evocare le ombre dei morti; talmente mostruose erano tali scene che la luna si nascondeva dietro le grandi tombe per non vedere; il tronco reso dio, non potendo resistere oltre a tali atrocità, riuscì infine a farle precipitosamente fuggire, in modo inaspettato e ... fragoroso.
Riguardo all’Esquilino Orazio nella Satira I.VIII 8-16 scrive:

Qui un tempo gli schiavi facevan portare in misere casse, a pagamento, i cadaveri de’ loro compagni gettati fuori dalle anguste celle;
qui stavano i mendicanti in sepolcri comuni;
qui a Pantòlabo, il buffone, e a quello spendaccione di Nomentano,
(ed agl'altri come loro), un cippo assegnava mille piedi in fronte (alla strada)
e trecento piedi nei campi, e gli eredi non potevan venderne il monumento;
Ora è possibile abitare sull’Esquilino reso salubre, e si può passeggiare sui bastioni soleggiati, ove prima si scorgeva un campo tristamente biancheggiante d'informi ossa,


Quintus Horatius Flaccus
Liber I - Sermo VIII (41-40 a.C.)

1 Olim truncus eram ficulnus, inutile lignum,
cum faber, incertus scamnum faceretne Priapum,
maluit esse deum. deus inde ego, furum aviumque
maxima formido; nam fures dextra coercet
5 obscaenoque ruber porrectus ab inguine palus,
ast inportunas volucres in vertice harundo
terret fixa vetatque novis considere in hortis.
huc prius angustis eiecta cadavera cellis
conservus vili portanda locabat in arca;
10 hoc miserae plebi stabat commune sepulcrum;
Pantolabo scurrae Nomentanoque nepoti
mille pedes in fronte, trecentos cippus in agrum
hic dabat, heredes monumentum ne sequeretur.
nunc licet Esquiliis habitare salubribus atque
15 aggere in aprico spatiari, quo modo tristes
albis informem spectabant ossibus agrum,
cum mihi non tantum furesque feraeque suetae
hunc vexare locum curae sunt atque labori
quantum carminibus quae versant atque venenis
20 humanos animos: has nullo perdere possum
nec prohibere modo, simul ac vaga luna decorum
protulit os, quin ossa legant herbasque nocentis.
vidi egomet nigra succinctam vadere palla
Canidiam pedibus nudis passoque capillo,
25 cum Sagana maiore ululantem: pallor utrasque
fecerat horrendas adspectu. scalpere terram
unguibus et pullam divellere mordicus agnam
coeperunt; cruor in fossam confusus, ut inde
manis elicerent animas responsa daturas.
30 lanea et effigies erat altera cerea: maior
lanea, quae poenis conpesceret inferiorem;
cerea suppliciter stabat, servilibus ut quae
iam peritura modis. Hecaten vocat altera, saevam
altera Tisiphonen: serpentes atque videres
35 infernas errare canes Lunamque rubentem,
ne foret his testis, post magna latere sepulcra.
mentior at siquid, merdis caput inquiner albis
corvorum atque in me veniat mictum atque cacatum
Iulius et fragilis Pediatia furque Voranus.
40 singula quid memorem, quo pacto alterna loquentes
umbrae cum Sagana resonarint triste et acutum
utque lupi barbam variae cum dente colubrae
abdiderint furtim terris et imagine cerea
largior arserit ignis et ut non testis inultus
45 horruerim voces furiarum et facta duarum?
nam, displosa sonat quantum vesica, pepedi
diffissa nate ficus; at illae currere in urbem.
Canidiae dentis, altum Saganae caliendrum
excidere atque herbas atque incantata lacertis
50 vincula cum magno risuque iocoque videres.



Quinto Orazio Flacco
Sermone I.8 - gli esorcismi di Sàgana e Canidia al campo Esquilino

1 Un tempo ero un tronco di fico, inutil legno,
quando il creatore, incerto se farne uno sgabello od un Priapo,
decise che fossi un dio. E dio da allora io sono, il più gran terrore
di ladri e uccelli; dal momento che i ladri li trattengono la mia destra
5 ed il rosso palo oscenamente proteso dal mio inguine,
mentre una corona di ramoscelli sulla mia testa spaventa gl'importuni volatili
scacciandoli dal nuovo giardino senza (ch'essi abbiano a) danneggiarlo.
Qui, prima, gli schiavi facevan portare in una cassa di legno di nessun valore,
e a pagamento, i cadaveri dei compagni gettati fuor dalle anguste celle;
10 qui stava il sepolcro comune della misera plebe;
qui a Pantòlabo, il buffone, e a quello spendaccione di Nomentano,
(ed agl'altri come loro), un cippo assegnava mille piedi in fronte (alla strada)
e trecento piedi nei campi, e gli eredi non potevan venderne il monumento;
ora è possibile abitare le Esquiliae rese salubri
15 e passeggiare sugli assolati bastioni, là dove prima
si scorgeva un campo tristamente biancheggiante d'informi ossa,
e a me a quel tempo davan preoccupazione e lavoro non tanto
i furtivi disgraziati e le bestie avvezze a frequentar questi luoghi,
quanto le maliarde che realizzano magici miscugli e istupidiscono
20 gli animi umani: e quando la vagabonda luna mostra il suo volto splendente,
non poss'io scacciarle né impedire in alcun modo
che raccolgano erbe maligne e financo le ossa.
Ho visto, proprio io, Canidia a piedi nudi e coi capelli sciolti
aggirarsi con la nera veste raccolta ai fianchi,
25 e Sàgana Maggiore ululare: ed il pallore
rendeva entrambe orrende alla vista. Iniziarono a raschiare
con le unghie la terra e a dilaniare a morsi una nera agnella;
ne raccolsero il sangue in una fossa, per strappar da lì (agli abissi)
le rianimate ombre dei morti sì da ottenerne responsi.
30 Avevan (portato) dei pupazzi, uno fatto di lana e l'altro di cera:
il più grande di lana, che costringeva alle punizioni il più piccolo;
quello di cera stava supplice, come lo schiavo
che sa di dover morire. L'una invoca Ècate,
l'altra la feroce Tisìfone: avresti visto girovagare serpenti
35 e cagne infernali e la rosseggiante luna nascondersi
dietro ai grandi sepolcri, per non esser testimone di tali orrori.
E s'io mento, la bianca merda dei corvi m'insozzi il capo,
e possano venire a pisciarmi e a cacarmi addosso
Giulio, quella femminuccia di Pediazia e Vorano quel furfante.
40 Cos'altro poss'io ricordare? Come l'ombre alternandosi nel parlar
con Sàgana risonassero lugubri e stridule?
Come furtivamente nascondessero in terra la barba d'un lupo
ed il dente d'una maculata serpe? Come ardesse con maggior vigore
la fiamma del pupazzo di cera? E come, da inorridito testimone alle grida
45 ed ai misfatti delle due furie, non potess'io lasciarle impunite?
e allora, come la vescica scoppiando rimbomba, così le mie (divine) natiche di fico,
spaccandosi, scorreggiarono; e quelle corsero (spaventate) verso la città.
Con gran riso e sollazzo avresti visto cader (in terra) la dentiera a Canidia
50 e l'immensa parrucca a Sàgana e (dalle lor braccia) erbe e lacci incantati.


[Traduzione: fmsacca]

Sagana Maiore: alcuni riferiscono questo Maiore non al fatto che fosse la maggiore di una eventuale sorella, in quanto assolutamente ininfluente ai fini del racconto; le ipotesi sono numerose:il fatto che il Priapo, guardando le due streghe, la vedesse pił grande, o che potesse esser la pił esperta in praticar magie fra le due, o la più anziana fra le due].


traduzione italiana di Luca Antonio Pagnini (1814)
traduzione italiana di Mario Ramous (1976)





M. Terenti Varronis - De Lingua Latina Liber V.25
Extra oppida a puteis puticuli, quod ibi in puteis obruebantur homines, nisi potius, ut Aelius scribit, puticuli quod putescebant ibi cadavera proiecta, qui locus publicus ultra Esquilias.





Sextus Pompeius Festus - De Verborum Significatione Liber XIV
[Fest.]
Puticulos, antiquissimum genus sepulturae appellatos quod ibi in puteis sepelirentur homines: qualis fuerit locus, quod nunc cadavera projici solent extra portam Exquilinam: quae quod ibi putescerent, inde prius appellatos existimat puticulos Ælius Gallus, qui ait antiqui moris fuisse ut patris familias in locum publicum extra oppidum mancipia vilia projicerent, atque ita projecta, quod ibi ea putescerent, nomen esse factum Puticuli.



[Paul.] Giulio Paolo
puticuli sunt appellati quod vetustissimum genus sepulturae in puteis fuerit, et dicti puticuli, quia ibi cadavera putescerent.




Commentator Cruquianus Horati Satira I.8.10
a puteis fossis ad sepelienda cadavera pauperum locus dictus est puticuli. hic etiam erant publicae ustrinae


Commento di Jacob Cruquius (1578) alla satira di Orazio I.8.10

Valid HTML 4.01 Transitional
Pagina modificata il
13 Agosto 2011