Marziale (e altri) - il potere e la condizione del cliente

Il cliente e la sportula
Marziale, I.59 La sportula di Flacco a Baia
Marziale, III.14 Tuccio arriva dalla Spagna
Marziale, V.22 al Domino Paolo
Marziale, VI.88 Un distratto saluto al Domino Ceciliano
Marziale, IX.100 Orgoglio di cliente
Marziale, X.74 Oh, Roma, fammi dormire
I regali, le offerte di cibo, i pranzi
Marziale, XI.67 A Marone
Marziale, XII.40Pontiliano
Catullo, canto 13 Fatti tutto naso, Fabullo mio
La povertà e la ricchezza, la felicità, il fato
Marziale, I.95 Gli strepiti di Elio
Marziale, IV.21 La felicità di Sergio, l'ateo
Marziale, V.81 Ad Emiliano: se sei povero sempre resterai povero
Marziale, VI.70 La vita non è esser vivi, ma star bene
Marziale, X.8 Vecchia, ma non abbastanza
Marziale, X.47 Quel che rende beata una vita
Marziale, XII.10La fortuna a molti da' troppo, a nessuno abbastanza
Marziale, XII.32Lo sfratto della famiglia di Vacerra

Marziale Cliente

Una importante fonte relativa alla condizione di cliente (cliens) ci è stata lasciata proprio da Marziale nei suoi epigrammi.
Arrivato a Roma nel 64 d.C. non si hanno notizie sulla sua vita nella città durante gli ultimi anni di Nerone e sotto il principato di Vespasiano, a parte il fatto che voleva intraprendere la carriera di avvocato; fu con gli Imperatori Tito (79 - 81) e Domiziano (81 - 96) che riuscì a rientrare nelle grazie imperiali conoscendo la fama; nell'80 pubblicò il de liber spectaculorum, una serie di epigrammi celebrativi dell'inaugurazione del Colosseo molto apprezzati da Tito e dall'86 al 98 pubblicò quasi annualmente 11 dei suoi libri di epigrammi; questi gli diedero notorietà anche fuori Roma, ma non esistevano diritti di autore e i pochi libri che riusciva a vendere presso un paio di botteghe di Roma non gli consentivano certo di arricchirsi; egli rimase sempre povero, come dichiara lui stesso, vivendo dei doni dei ricchi ammiratori e protettori; in effetti abitò per molti anni in un'insula sul Quirinale in affitto, se pure possedeva alcuni schiavi (ad esempio Demetrio, Erotion, Alcimo) ed una piccola tenuta a Nomentum, presso l'odierna Mentana; l'attività di Cliente fu comunque per lui un fondamentale mezzo di sussistenza.
I clienti (clientes) vivevano praticamente di sussidi; infatti tutti i romani erano vincolati da un obbligo di rispetto (obsequium) nei confronti dei più ricchi e potenti; questo accadeva da parte del liberto nei confronti del suo liberatore, ma anche gli uomini liberi si recavano a porgere i loro saluti alla mattina (salutatio matutina) di fronte alla villa cittadina (domus) di questo o quel ricco signore (Dominus) per arrotondare i loro guadagni e Marziale in X.10 ad esempio si lamenta del fatto che un porporato di nome Paolo si recasse come cliente alla salutatio, togliendo spazio e risorse agli altri clientes (la toga con una larga striscia di porpora, colore ricavato da un particolare mollusco ed estremamente costoso da estrarre, era riservata ai senatori ed ai membri della famiglia imperiale).
Il Dominus che riceveva i rituali saluti mattutini aveva l'obbligo di onorarli con una ricompensa e gli uomini che porgevano tali saluti ad un certo Signore erano appunto i clienti (clientes) di tal Dominus o Patronus o Pater Familias.
Il Domino offriva protezione ed elargiva doni ai suoi clienti, in cambio del rispetto e dell'obbedienza che questi gli dovevano, cosa che si traduceva in primo luogo nell'appoggio in campo politico votandolo nelle assemblee; l'importanza del Dominus era stabilita in primo luogo dalla sua ricchezza personale ma era anche sancita dal numero di clientes che alla mattina si ritrovavano fuori della sua Domus per ricevere tale elargizione e lo stesso Imperatore non si sottraeva a tale pratica.

Il termine cliente viene probabilmente dal verbo cluere (obbedire) e presupponeva un rapporto di subordinazione; oggi nel significato del termine cliente è forse venuto meno questo significato di subordinazione, ed il cliente, almeno apparentemente, è divenuto il soggetto da esaudire in tutto da parte delle aziende; tuttavia permane anche l'uso del termine clientelare o clientelismo, che allude alla ben nota pratica politica del favoritismo, della concussione, degli scambi e della corruzione, la cui etimologia prende evidentemente spunto dallo stesso termine cliens e che anche oggi presuppone la subordinazione di un vasto gruppo di persone a pochi soggetti che detengono il potere politico-economico.

La elargizione di cibo o di altri beni o direttamente di denaro da parte del Dominus era detta genericamente sportula; la sportula era una borsa in cui il cliente riponeva quel che gli veniva dato dal Dominus.
Per Marziale tale sportula era un importante introito per cui spesso parla nei suoi epigrammi della sua triste condizione di cliente e delle sportule.
Negli epigrammi I.59 e VI.88 Marziale scrive che poteva ricevere una sportula di cento Quadranti, pari a sei Sesterzi e un quarto; in I.59 si lamenta di una tale miseria e quindi si deve pensare che questa dovesse essere la cifra minima elargita da un patronus; un sesterzio ai tempi di Marziale poteva forse corrispondere a 5 euro di oggi.
Il cliente poteva portarsi appresso un servo cuciniere, addetto a mantenere caldo il cibo elargito (Giovenale, Satira III 249-253); talvolta il Dominus invitava ad un pranzo qualcuno dei suoi clienti.
Tutti i Dominus dovevano accogliere i loro clienti pena la perdita della loro stessa reputazione (Marziale I.49).
La sportula era del resto un introito extra per moltissimi romani; questi dovevan giungere di buon'ora al saluto mattutino obbligatoriamente vestiti con la toga e rivolgersi al Patronus usando unicamente il deferente appellativo di Dominus (Marziale VI.88); potevano essere accompagnati in lettiga dai loro servi oppure potevan giungere da soli arrivando a piedi; la toga era un indumento piuttosto costoso ed alcuni romani potevano aver difficoltà a procurarsene una tanto che talvolta era lo stesso Dominus a regalarla a qualche suo cliente, e spesso Marziale invita nei suoi scritti questo o quel Domino a donargliene una o si lamenta perché per recarsi a questi saluti mattutini le consumava.

Le donne generalmente non partecipavano a tale rituale; come clienti potevano a volte accompagnare il marito, che cercava una maggiore compassione da parte del domino; l'elargizione avveniva in ordine di importanza dei clienti a prescindere da quando questi arrivavano dinanzi alla domus: pretori, tribuni, cavalieri, liberi, liberti.






Epigrammaton Liber I carmen 59

Dat Baiana mihi quadrantes sportula centum.
Inter delicias quid facit ista fames?
Redde Lupi nobis tenebrosaque balnea Grylli:
Tam male cum cenem, cur bene, Flacce, laver?


La sportula datami a Baia è di cento quadranti.
Qual'è il senso di una tale miseria da fame tra tante delizie?
Ridammi l'oscuro bagno di Lupo e di Grillo:
Perché mai, Flacco, mangiare tanto male e lavarsi nel lusso?



Liber I.95 - Gli strepiti di Elio

Quod clamas semper, quod agentibus obstrepis, Aeli,
Non facis hoc gratis: accipis, ut taceas.


Per il fatto che urli sempre, Elio, e che strepiti con gli avvocati,
non lo fai gratis: prendi i soldi per tacere.




Epigrammaton Liber III carmen 14

Romam petebat esuritor Tuccius
Profectus ex Hispania.
Occurrit illi sportularum fabula:
A ponte rediit Mulvio.

Tuccio, partito dalla Spagna,
affamato raggiunse Roma. (Alle orecchie)
gli giunse la storia delle sportule:
da ponte Milvio tornò indietro.



Marzialis Epigrammaton IV.21

Nullos esse deos, inane caelum
Adfirmat Segius: probatque, quod se
Factum, dum negat haec, videt beatum.


Gli dei non esistono, vuoto è il cielo
afferma Sergio: e ne da' la prova, poiché, mentre egli
li nega, vede sé stesso diventar ricco.


Marzialis Epigrammaton V.22

Mane domi nisi te volui meruique videre,
Sint mihi, Paule, tuae longius Esquiliae.
Sed Tiburtinae sum proximus accola pilae,
Qua videt anticum rustica Flora Iovem:
5 Alta Suburani vincenda est semita clivi
Et numquam sicco sordida saxa gradu,
Vixque datur longas mulorum rumpere mandras
Quaeque trahi multo marmora fune vides.
Illud adhuc gravius, quod te post mille labores,
10 Paule, negat lasso ianitor esse domi.
Exitus hic operis vani togulaeque madentis:
Vix tanti Paulum mane videre fuit.
Semper inhumanos habet officiosus amicos:
Rex, nisi dormieris, non potes esse meus.


Se non avessi desiderato né meritato di vederti (questa) mattina a casa,
Paolo, che le tue Esquilie potessero esser spostate più lontane da me.
Ma io sto' ad abitare vicino alla colonna tiburtina,
da dove l'agreste Flora vede l'antico (tempio di) Giove:
5 devo superare l'alto sentiero scosceso della Suburra
e le pietre (del selciato) sudicie di passi mai asciutti,
e a stento mi è concesso di spezzare le lunghe file di muli
e superare i blocchi di marmo che vedi trascinare con molte funi.
Ma quel che è ancor più penoso, Paolo, è che, dopo mille sforzi,
10 il tuo guardiano mi dice, stremato dalla fatica (come sono), che tu non sei in casa.
Questa è la fine del (mio) inutil affanno ed (anche) della toguccia zuppa (di sudore):
a mala pena aver visto Paolo la mattina avrebbe avuto un tal valore.
Sempre il (cliente deferente e) cortese ha amici (protettori) rozzi:
a meno che tu non dorma (più a lungo), non puoi esser il mio re.


14] se non dormirai (più a lungo): In modo da poterlo trovare alla mattina quando si reca a salutarlo.



Marzialis Epigrammaton V.81

Semper pauper eris, si pauper es, Aemiliane.
Dantur opes nullis nunc nisi divitibus.


Se sei povero, Emiliano, sempre resterai povero.
Oggi i poteri non vengon dati ad alcuno se non ai ricchi.


Marzialis Epigrammaton VI.70

Sexagesima, Marciane, messis
Acta est et, puto, iam secunda Cottae,
Nec se taedia lectuli calentis
Expertum meminit die vel uno.
5 Ostendit digitum, sed inpudicum,
Alconti Dasioque Symmachoque.
At nostri bene computentur anni
Et quantum tetricae tulere febres
Aut languor gravis aut mali dolores,
10 A vita meliore separentur:
Infantes sumus, et senes videmur.
Aetatem Priamique Nestorisque
Longam qui putat esse, Marciane,
Multum decipiturque falliturque.
15 Non est vivere, sed valere vita est.


Immagino sia di già passata
la sessantaduesima messe per Cotta, Marciano,
e non ricorda di aver mai provato un sol giorno
il tedio del caldo giaciglio del febbricitante.
5 Egli mostra il dito, ma quello impudico,
ad Alcoonte e a Dasio ed a Simmaco, (i dottori).
Ma dei nostri anni occorre calcolar bene
quanta cupezza portano le febbri
o le oppressive fiacchezze o i terribili dolori,
10 e separar questo dalla vita sana:
siamo bambini, e sembriamo dei vecchi.
Chi pensa che la vita di Priamo
e di Nestore sia lunga, Marciano,
si inganna e si illude di molto.
15 La vita non è esser vivi, ma star bene.



5] ostendit digitum impudicum: mostra il dito impudico, il dito medio. Cotta, nonostante abbia ormai 62 anni, non ha bisogno dei dottori, Alcoonte, Dasio e Simmaco, e gli mostra il dito medio, con lo stesso spirito con cui lo si potrebbe fare oggi, un po' scherzoso, un po' scaramantico, un po' anche di sfida (non ho bisogno di voi).
11] Infantes sumus, et senes videmur: siamo bambini e sembriamo vecchi; Marziale vuole dire: se calcolassimo gli anni in cui siamo stati bene, in salute, in cui abbiamo vissuto pienamente la vita, avremmo l'età di un bambino; e invece pur essendo dei bambini quanto a vita sana vissuta, sembriamo dei vecchi. Sembriamo, non siamo, in quanto in realtà avendo vissuto in salute pochi anni, di fatto abbiamo l'aspetto esteriore dei vecchi ma non l'esperienza e la saggezza comunemente attribuita loro. Naturalmente occorre ricordare che le condizioni sanitarie e la cura delle malattie a quei tempi erano assai differenti da oggi; le cure mediche erano piuttosto approssimative e quindi risultava estremamente facile ammalarsi per lunghi periodi senza riuscire a guarire ed anche cronicizzare i disturbi fisici per il resto della vita.
15] Non est vivere, sed valere vita est: la vita non è semplicemente essere vivi, ma è star bene in salute. Valere ha diversi altri significati: esser forte, esser potente, influente, prospero ma nel contesto dell'epigramma evidentemente il significato è: essere in buona salute. Questo motto latino è alle volte citato dai sostenitori dell'eutanasia. È questa una visione stoicista della vita, per cui chi non era in salute, non essendo in grado di contribuire attivamente nella società secondo i canoni di allora, in pratica non viveva.



Epigrammaton Liber VI carmen 88

Mane salutavi vero te nomine casu,
Nec dixi dominum, Caeciliane, meum.
Quanti libertas constet mihi tanta, requiris?
Centum quadrantes abstulit illa mihi.


Questa mattina accidentalmente ti ho reso il saluto chiamandoti
familiarmente, e in verità non dissi Mio Signore, Ceciliano.
Mi chiedi quanto mi sia costata siffatta libertà?
Cento quadranti quell'(offesa) mi ha portato via.


4] Un Sesterzio corrisponde a 4 Assi oppure a 16 Quadranti; praticamente quella mattina in conseguenza di tale offesa il Domino non diede la sportula a Marziale; la sportula che riceveva era quindi di sei sesterzi e un quarto.



Epigrammaton Liber IX carmen 100

Denaris tribus invitas et mane togatum
observare iubes atria, Basse, tua,
deinde haerere tuo lateri, praecedere sellam,
ad viduas tecum plus minus ire decem.
Trita quidem nobis togula est vilisque vetusque:
Denaris tamen hanc non emo, Basse, tribus.


Orgoglio di cliente

Mi tenti con tre denari, Basso, e mi obblighi ad omaggiarti
con la toga di prima mattina nei tuoi cortili,
e dopo a restar attaccato al tuo fianco, a precedere la portantina,
ad andar con te più o meno come farebbero una decina di vedove.
La mia logora toghetta è senza dubbio vecchia e di nessun valore:
nondimeno con tre denari, Basso, io non la compro.

1] L'obbligo della toga per andare a rendere la salutatio matutina era vissuto da Marziale come una faticosa costrizione: la toga era scomoda, costava parecchio ed era piuttosto facile danneggiarla quando veniva usata; inoltre indossata nella processione appresso e davanti al patronus era il simbolo dello stato di cliente che assisteva e proteggeva nei suoi spostamenti il benefattore di turno, condizione vissuta da Marziale come umiliante ma a cui era tuttavia costretto per riuscire a vivere a Roma.
Denarius, a, um: Denario; moneta d'argento del valore di 16 Assi o o 4 sesterzi: 12 sesterzi come compenso per la prestazione giornaliera da cliente era probabilmente una discreta sportula ma non favolosa.
4] Eo, ivi (ii), itum, ire: andare, venire; camminare.



Epigrammaton Liber X carmen 8

Nubere Paula cupit nobis, ego ducere Paulam
nolo: anus est. Vellem, si magis esset anus.


Paola desidera sposarmi, ma io non voglio condurla in sposa:
è una vecchia zitella. Se fosse stata più vecchia lo avrei voluto.


Paola non attraeva il buon Marziale in quanto troppo vecchia, ma se fosse stata più vecchia, in prossimità della morte, l'avrebbe sposata, unicamente per ottenere l'eredità.



Epigrammaton Liber X carmen 47

Vitam quae faciant beatiorem,
Iucundissime Martialis, haec sunt:
Res non parta labore, sed relicta;
Non ingratus ager, focus perennis;
Lis numquam, toga rara, mens quieta;
Vires ingenuae, salubre corpus;
Prudens simplicitas, pares amici;
Convictus facilis, sine arte mensa;
Nox non ebria, sed soluta curis;
Non tristis torus, et tamen pudicus;
Somnus, qui faciat breves tenebras;
Quod sis, esse velis nihilque malis;
Summum nec metuas diem nec optes.


Quel che rende felice una vita

Queste, piacevolissimo Marziale,
son le cose che rendono felice una vita:
proprietà non prodotte dal lavoro, ma avute in eredità;
una terra non ingrata, il perenne focolare d'una casa;
mai una lite, usar raramente la toga, un'indole pacifica;
forze genuine, un corpo sano;
una consapevole semplicità, amici appropriati;
vivere insieme senza difficoltà, una mensa senza frugalità;
una notte non ebra, ma una attenzione rilassata;
un giaciglio non malinconico, e tuttavia morigerato;
un sonno ristoratore, che renda brevi le buie notti;
desiderar di essere quel che si è, e null'altro;
non temere e non desiderare l'ultimo fatidico giorno.



Epigrammaton Liber XI carmen 67

Nil mihi das vivus; dicis post fata daturum.
Si non es stultus, scis, Maro, quid cupiam.


Nulla mi dai da vivo; affermi che dopo il compimento del (tuo) destino mi darai (tutto).
Tu sai, Marone, se non sei stupido, cosa io desideri.


2] Ovviamente desidera ricever qualcosa subito non dopo la morte di Marone.



Epigrammaton Liber XII carmen 10

Habet Africanus miliens, tamen captat.
Fortuna multis dat nimis, satis nulli.


Africano ha mille (cose), e tuttavia ancora desidera (altro).
La fortuna a molti da' troppo, a nessuno abbastanza.


1] Coloro che sono ricchi possono avere ogni cosa e solitamente hanno troppo, eppure sempre desiderano ancora di più.
2] L'avidità degli uomini: a sentir loro il fato a nessuno da' abbastanza ricchezze, pur se alcuni li fa' ricchi ed altri poveri: i poveracci si lamenteranno sempre del loro stato ma anche i ricchi, come scritto nel primo verso, non affermeranno mai di aver ricchezza a sufficienza.



Epigrammaton Liber XII carmen 32

O Iuliarum dedecus Kalendarum,
Vidi, Vacerra, sarcinas tuas, vidi;
quas non retentas pensione pro bima
portabat uxor rufa crinibus septem
et cum sorore cana mater ingenti.
Furias putavi nocte Ditis emersas.
Has tu priores frigore et fame siccus
et non recenti pallidus magis buxo
Irus tuorum temporum sequebaris.
Migrare clivom crederes Aricinum.
Ibat tripes grabatus et bipes mensa,
et cum lucerna corneoque cratere
matella curto rupta latere meiebat;
foco virenti suberat amphorae cervix;
fuisse gerres aut inutiles maenas
odor inpudicus urcei fatebatur,
qualis marinae vix sit aura piscinae.
Nec quadra deerat casei Tolosatis,
quadrima nigri nec corona pulei
calvaeque restes alioque cepisque,
nec plena turpi matris olla resina,
summemmianae qua pilantur uxores
quid quaeris aedes vilicesque derides,
habitare gratis, o Vacerra, cum possis?
Haec sarcinarum pompa convenit ponti.


Ho visto, Vacerra, ohimè, la vergogna del primo di luglio,
ho visto i tuoi miseri pacchi e fagottelli; quelli
che non hai dovuto mollare per gl'ultimi due anni d'affitto
li portava tua moglie con quei sette capelli rossi
insieme con la madre canuta e con l'enorme tua sorella.
Ho creduto fossero le Furie emerse dal buio degli inferi.
Loro davanti, tu, rinsecchito per il freddo e per la fame
e pallido più d'un vecchio bosso giallastro, le seguivi,
come un mendicante, miserevole Iro dei nostri giorni.
Si sarebbe potuto pensare a un esodo dal colle di Ariccia.
Avanzavano al passo un lettuccio a tre zampe e un tavolaccio
con due, e con una lucerna ed una coppa di corno anche
un vasetto da notte col bordo spezzato che pisciava da un lato;
da sotto un braciere verdastro sbucava il collo d'una brocca;
il disgustoso odore d'un orcio, come a mala pena potrebbe essere
il fetore d'una piscina marina, svelava che fosse usato
per conservare delle acciughette o altri putridi pescetti.
E non mancava un tocco quadrato di cacio di Tolosa,
e una corona d'erba aromatica nerastra vecchia di quattr'anni
ed anche trecce con aglio e cipolle spellate,
e un vasetto della madre pieno d'una sudicia resina,
di quella che le donnette dei bassifondi usano per depilarsi.
Perché, Vacerra, cerchi case e ti fai beffe dei proprietari,
quando dove arrivi non appena puoi ci resti senza pagare?
Tal processione è più appropriato si rechi al ponte dei pezzenti.


Irus, i: Iro, era un mendicante di Itaca, che per gli avanzi di cibo fece a pugni con Ulisse per scacciarlo quando questi travestito da mendicante giunse nel suo palazzo occupato dai Proci (dall'Odissea di Omero 18mo canto); un Iro: un povero; mendicante, accattone; Properzio, Elegie 3.5.17; Ovidio, Tristia 3.7.42;
pallidus, a, um: pallido, smorto; giallastro, giallo, olivastro; il legno di bosso è giallastro;
Aricia, ae: corrisponde all'attuale Ariccia, la prima stazione di posta sulla via Appia uscendo da Roma, al XVI miglio;
Aricinus, a, um: Aricino, di Aricia, appartenente ad Aricia;
matella, ae: diminutivo di matula; piccolo orinale, vaso da notte; Seneca ed altri;
orcius, i: orcio, grosso vaso in terracotta col ventre rigonfio, imboccatura piuttosto larga e solitamente base piatta e due piccole maniglie ad orecchia utilizzato in genere per contenere liquidi; brocca, boccale, secchiello;
maena, ae: piccolo pesce di mare, conservato salato e mangiato dalla povera gente;
summemmiana, ae: del summemmium;
summemmium: probabilmente da summoenium: sub + moenia: sotto alle mura; la zona popolare misera e malfamata dell'Urbe vicino alle mura ed anche lontana dalle porte della cinta serviana dove, a causa della presenza delle mura, vi era scarso transito di persone; in particolare nella zona est, tra le porte Collina, Viminale ed Esquilina;



Epigrammaton Liber XII carmen 40

Mentiris, credo: recitas mala carmina, laudo:
cantas, canto: bibis, Pontiliane, bibo:
pedis, dissimulo: gemma vis ludere, vincor:
res una est, sine me quam facis, et taceo.
Nil tamen omnino praestas mihi. 'Mortuus,' inquis,
'Accipiam bene te.' Nil volo: sed morere.


Menti, fingo di crederti: declami brutti versi, ti lodo:
canti, canto anch'io: bevi, Pontiliano, e io bevo con te:
scorreggi, faccio finta di nulla: vuoi giocare a dama, vinci:
resta una sola cosa, che fai senza di me, e taccio:
eppure non mi doni mai nulla. 'Da morto' mi dici,
'ti ricompenserò adeguatamente.' Non voglio nulla: ma muori.


gemma ludere: un gioco; essendo gemma traducibile anche con bottone si potrebbe pensare a qualcosa di simile ad un predecessore del gioco della dama; ad esempio il gioco dell'Alquerque, di cui si hanno descrizioni certe a partire dal X secolo d.C. ma che si ritiene venisse praticato in Egitto almeno a partire dal VI sec. a.C.; sono state trovate antiche incisioni relative alla scacchiera coi pezzi nella posizione iniziale su delle maioliche nel Tempio di Kurna, risalente al XIV secolo a.C., ma in cui le maioliche potrebbero essere state inserite successivamente.



Gaius Valerius Catullus, Carmen 13

Cenabis bene, mi Fabulle, apud me
paucis, si tibi di favent, diebus,
si tecum attuleris bonam atque magnam
cenam, non sine candida puella
et vino et sale et omnibus cachinnis.
Haec si, inquam, attuleris, venuste noster,
cenabis bene: nam tui Catulli
plenus sacculus est aranearum.
Sed contra accipies meros amores
seu quid suavius elegantiusve est:
nam unguentum dabo, quod meae puellae
donarunt Veneres Cupidinesque.
Quod tu cum olfacies, deos rogabis,
totum ut te faciant, Fabulle, nasum.


Se gli dei t'assistono, un giorno cenerai bene,
Fabullo mio, nella mia modesta casetta,
se porterai con te una buona e abbondante cena,
senza dimenticarti di procurare una splendida fanciulla
e vino e sale e tutte le smodate sguaiatezze che tu conosci.
Questo occorre portare, ti dico, mio amabile amico,
se vorrai cenar bene: giacché la povera piccola borsa
del tuo Catullo è piena di ragnatele.
Ma in cambio riceverai degli affetti genuini
o, se lo vorrai, anche qualcosa di soave ed attraente:
difatti ti darò un unguento, che
Venere e Cupido donarono alla mia amata.
Quando tu l'annuserai, Fabullo, pregherai gli dei,
perché possano farti divenire tutto naso.


sal, salis: sale, ma in doppio senso anche arguzia, umorismo, acume;





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18 marzo 2014